Massimo Fini: Frasi popolari (pagina 3)

Frasi popolari di Massimo Fini · Leggi le ultime citazioni e frasi celebri nella raccolta
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“Moro non è il santino immaginario della interessata iconografia ufficiale. […] Moro è quello che vien fuori dalle sue lettere, quelle lettere che scrisse quando era prigioniero delle Br e che sono quanto di più penoso ed umiliante sia mai uscito da una prigione. Lo «statista insigne» che, al momento del dunque, sconfessa tutti i principi dello Stato di diritto, sembra considerare lo Stato ed i suoi organismi come un proprio patrimonio privato, invita gli amici del suo partito ed i principali rappresentanti della Repubblica a fare altrettanto. L'uomo che chiede pietà per sé ma, in novanta lettere, non ha una parola per gli uomini della sua scorta, morti ammazzati per lui e, anzi, l'unico accenno che ne fa è gelidamente burocratico per definirli «amministrativamente non all'altezza». Il politico che conferma la tradizione della classe dirigente italiana pronta a chiedere tutto, anche la vita, agli umili, ma mai disposta, le poche volte che capita, a pagare di persona (si pensi a Mussolini in fuga sotto un pastrano tedesco, al modo con cui il re e Badoglio abbandonano Roma). Dire queste cose d'un uomo che è morto come è morto Moro può apparire, anzi è, crudele. Ma è la verità. E poiché ho scritto queste cose quando Moro era ancora vivo («Statista insigne o pover'uomo?»”

Il Lavoro 4 aprile 1978) non ho alcuna remora a ripeterle ora che è morto e che altri tasselli vengono a completarne la figura.
Origine: Da E questo era lo «statista insigne»? http://www.massimofini.it/1986/blog/pagina-2, Massimofini.it, archivio 1986.

“Il giorno del Big Bang non è lontano. Il denaro, nella sua estrema essenza, è futuro, rappresentazione del futuro, scommessa sul futuro, rilancio inesausto sul futuro, simulazione del futuro ad uso del presente. Se il futuro non è eterno ma ha una sua finitudine, noi, alla velocità cui stiamo andando proprio grazie al denaro, lo stiamo vertignosamente accorciando. Stiamo correndo a rotta di collo verso la nostra morte come specie. Se il futuro è infinito ed illimitato, lo abbiamo ipotecato fino a regioni temporali così sideralmente lontane da renderlo di fatto inesistente. L'impressione infatti è che, per quanto veloci si vada, anzi propri in ragione di ciò, questo futuro orgiastico arretri costantemente davanti a noi. O forse, in un moto circolare, niciano, einsteniano, proprio del denaro, ci sta arrivando alle spalle gravido dell'immenso debito di cui lo abbiamo caricato. Se infine, come noi pensiamo, il futuro è un tempo inesistente, un parto della nostra mente, come lo è il denaro, allora abbiamo puntato la nostra esistenza su qualcosa che non c'è, sul niente, sul Nulla. In qualunque caso questo futuro, reale o immaginario che sia, dilatato a dimensioni mostruose e oniriche dalla nostra fantasia e dalla nostra follia, un giorno ci ricadrà addosso come drammatico presente. Quel giorno il denaro non ci sarà più. Perché non avremo più futuro, nemmeno da immaginare. Ce lo saremo divorato.”

Origine: Da Il denaro, sterco del demonio, Marsilio, 1998.

“Nel 1964 [Alan Paton] aveva testimoniato a favore di Nelson Mandela nel processo che doveva poi condannare all'ergastolo il leader dell'African national congress. Nonostante ciò nessuna organizzazione radicale sudafricana, né l'Anc né l'Udf, e nessun leader, né il reverendissimo Desmond Tutu, né Allen Boesak, ha ritenuto di dovere onorare la memoria di Ala F. Paton. Perché? Perché Paton era portatore di un virus che per l'intellighenzia sudafricana (e non solo sudafricana), nera e bianca, è peggiore dell'Aids: era contrario alla violenza. Peggio: sosteneva che la grande maggioranza dei neri sudafricani non è violenta ed è fortemente contraria all'uso della violenza per dare uno sbocco alla complessa situazione politica del Sud Africa. […] Naturalmente gli feci la domanda rituale. «È ancora possibile fermare la rabbia nera?». Rispose: «Lei è stato nello Kwa Zulu Natal, dove vivono sei milioni di Zulu, ed ha visto la rabbia nera? Io ho vissuto al bordo della "valle delle mille colline" per trentacinque anni e non ho mai visto nessuna rabbia nera. E se andrà in Transkei, dove vivono altri quattro o cinque milioni di persone, lei non vedrà nessuna rabbia nera, non sentirà nessun odio nero. La rabbia nera c'è a Soweto, ma dipende molto più da questioni di disgregazione urbana, di perdita totale delle proprie radici contadine, che da questioni razziali che comunque sono continuamente alimentate, fomentate, incoraggiate dall'Anc». […] Paton aveva molto in sospetto questo genere di progressisti che sono soliti far gli eroi sulla pelle degli altri. Di Edward Kennedy, che era stato in Sud Africa qualche anno prima, mi disse: «È venuto solo per farsi propaganda; dei neri, in verità, non gliene importa niente. Se gliene importasse dovrebbe andare ad Harlem prima che a Soweto.»”

Questi sono i motivi per cui nessun fiore progressista è stato posato sulla tomba di Alan F. Paton. Così a quest'uomo, che ha dedicato l'intera sua vita e le sue opere alla battaglia antirazzista, è toccato il paradosso di ricevere, in morte, un solo telegramma di condoglianze: quello del presidente sudafricano Botha.
Origine: Da Sud Africa, pace e astratti furori, L'Europeo, 29 aprile 1988.

“E chissà se Vasco Rossi, con le parole semplici delle canzoni, non finirà per essere più convincente dei tanti intellettuali che, derisi e vilipesi, da decenni denunciano e annunciano il crepuscolo della Modernità.”

Origine: Da «Il crepuscolo della modernità. È ora di fare un passo indietro.» http://www.massimofini.it/2008/il-crepuscolo-della-modernita-e-ora-di-fare-un-passo-indietro, 2008.