Lev Nikolajevič Tolstoj: Stesso (pagina 2)

Lev Nikolajevič Tolstoj era scrittore, drammaturgo, filosofo, pedagogista, esegeta ed attivista sociale russo. Esplorare le virgolette interessanti su stesso.
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“Ogni uomo, per agire, ha bisogno di credere importante e buona la propria attività. E per questo, qualunque sia la sua condizione, egli non mancherà di crearsi una visione della vita umana in genere, alla luce della quale la sua attività possa apparirgli importante e buona.
Di solito si pensa che il ladro, l'assassino, la spia, la prostituta, riconoscendo cattiva la propria professione, debbano vergognarsene. Invece accade esattamente il contrario. Gli uomini che il destino e i loro peccati o errori hanno posto in una determinata condizione, per quanto sbagliata sia, si creano una visione della vita in genere alla luce della quale questa condizione possa apparir loro buona e rispettabile. Per sostenere poi tale visione gli uomini si appoggiano istintivamente a una cerchia di persone in cui venga riconosciuto il concetto che si sono creati della vita e del loro posto in essa. La cosa ci sorprende quando i ladri si vantano della loro destrezza, le prostitute della loro depravazione, gli assassini della loro crudeltà. Ma ci sorprende solo perché la cerchia, l'ambiente di queste persone è circoscritto, e soprattutto perché noi ne siamo al di fuori. Ma non capita forse lo stesso fenomeno fra i ricchi che si vantano delle loro ricchezze, cioè di ladrocinio, fra i capi militari che si vantano delle loro vittorie, cioè di omicidio, fra i sovrani che si vantano della loro potenza, cioè di sopraffazione? Noi non vediamo in queste persone un concetto distorto della vita, del bene o del male, volto a giustificare la loro condizione, solo perché la cerchia di persone con tali concetti distorti è più vasta, e noi stessi vi apparteniamo.”

“Allargai il raggio delle mie osservazioni, esaminai la vita di enormi masse di uomini, sia di quelli passati sia di quelli contemporanei. E di uomini che avevano capito il senso della vita, che avevano saputo vivere e morire io ne vedevo non due, tre, dieci, bensì centinaia, migliaia, milioni. E tutti loro, infinitamente diversi per indole, intelligenza, educazione, condizione, tutti allo stesso modo e in completa contrapposizione alla mia ignoranza conoscevano il senso della vita e della morte, sopportavano privazioni e sofferenze, vivevano e morivano vedendo in ciò non la vanità, ma il bene.
Ed io fui preso da amore per quegli uomini. Quanto più penetravo nella loro vita di uomini viventi e nella vita degli uomini che erano già morti, dei quali leggevo o sentivo raccontare, tanto più io li amavo, e tanto più mi diventava facile vivere. Vissi così circa due anni e in me si verificò quel rivolgimento che da tempo già si preparava e del quale erano sempre esistite dentro di me le premesse. Mi accadde che la vita della nostra cerchia – dei ricchi, delle persone istruite non solo mi disgustò, ma perse qualsiasi senso. Tutto quello che noi facevamo, i nostri ragionamenti, la nostra scienza, le nostre arti, tutto ciò mi apparve come un trastullo da ragazzi. Io capii che non si doveva cercare un senso in tutto ciò. E invece quel che faceva il popolo lavoratore, il quale costruisce la vita, mi appariva come l'unica occupazione degna di rispetto. E capii che il senso che veniva attribuito a quella vita era la verità, e l'accettai.”

cap. X

“Non siamo struzzi, e non possiamo credere che se non guarderemo, ciò che non vogliamo vedere non esisterà più. E tanto meno lo possiamo, quando ciò che non vogliamo vedere è quel che vogliamo mangiare. E soprattutto, se almeno fosse necessario tutto ciò! O magari non necessario, ma se non altro almeno utile a qualcosa. E invece? Niente, non è di nessuna utilità. (Coloro che ne dubitano leggano quei numerosi libri che sono stati scritti a questo proposito da scienziati e da medici, e nei quali viene appunto dimostrato che la carne non è affatto necessaria all'alimentazione umana. E non ascoltino invece quei medici veterotestamentari che difendono a spada tratta la necessità di far uso di carne solamente perché la carne è stata ritenuta necessaria per lungo tempo dai loro predecessori e poi anche da loro stessi; costoro la difendono caparbiamente, con malevolenza, così come si difende sempre quel che è vecchio e va ormai cadendo in disuso.) Serve soltanto a educare la gente ai sentimenti bestiali, a sviluppare la bramosia, la lussuria, l'ubriachezza. Il che trova perennemente conferma nel fatto che uomini giovani, buoni, non guastati ancora, e in particolar modo le donne e le fanciulle, sentono, pur senza saperlo, che così come da una cosa ne deriva un'altra, allo stesso modo la virtù non è compatibile con la bistecca, e non appena desiderano esser buoni, abbandonano appunto i cibi a base di carne.”