“Solo crescendo aveva capito che la fede di Sir William era qualcosa che si stagliava al di sopra delle confessioni e allo stesso tempo le attraversava tutte. Nella sua valle c'era posto per chiunque. Il re d'Inghilterra e il papa erano molto lontani, e il Padrone della Vita adorato dai Mohawk non era indegno d'essere chiamato Dio, anche se ci si rivolgeva a lui in modi selvatici e pittoreschi. Fin da piccolo Peter sapeva che non tutte le cerimonie nella foresta erano indiane. La notte di San Giovanni, nel fitto della boscaglia, si accendevano piccoli fuochi e si parlava gaelico, celebrando messe che la luce del giorno avrebbe proibito. I profughi scozzesi e i coloni irlandesi di suo padre s'intendevano con dialetti antichi come le rocce. La Lingua della Notte. Sir William la usava quando voleva dirgli qualcosa di intimo, che gli altri non dovevano cogliere.- È la lingua della fede, del sangue e della guerra, - diceva. - Non la si parla per caso.L'inglese invece serviva a comandare, a scrivere e a capirsi da un capo all'altro della valle. A Philadelphia gli avevano insegnato anche il francese, la lingua del nemico.Ma era il mohawk l'idioma che preferiva. Il mohawk odorava di rum e di pellicce. Era la lingua del commercio e della caccia; dei concili e della diplomazia. Ma prima di tutto, per lui, quella delle ninne nanne.” Wu Ming libro Manituana Manituana