“[Sulla sifilide] Il male cosiddetto francese non accorcia la vita quando si è capaci di guarirne; lascia solo delle cicatrici. Ma di queste ci si consola facilmente pensando che ce le si è procurate col piacere, come i soldati si compiacciono dei segni delle ferite.”
volume II, p. 238; 1964
Storia della mia vita
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Syphillis sive de morbo gallico suonava il titolo del famoso poemetto cinquecentesco di Girolamo Fracastoro: mentre i francesi ne davano la colpa ai napoletani e tutti insieme agli abitanti dell'America, appena scoperta) il mal francese, dicevo rappresentava un incubo per ogni persona, per ogni famiglia. Pare che il nonno di quel tale sia morto non già di polmonite, ma di sifilide, si sussurrava. Pare che anche sua sorella, quella che dicono suicidata, fosse affetta da quel venereo male, si insinuava sottovoce. Si diceva ancora, – e i libri di medicina lo raccontavano – che il sifilitico vero e proprio, nell'ansia di vendicarsi del mondo, lasciava in giro di nascosto, da vero untore, delle tracce fisiologiche – vuoi liquide, vuoi solide – della sua malattia.
“La cicatrice della coscienza è dolorosa come una ferita!”
Cicatrix conscientiae pro vulnere est.
Sententiae