“Quel ch' io vorei hora si è che V. S. impetrasse da Sua Santità la spedition d'un breve, del quale io mando la sostantia, o d'un tale simile, tal che ad un tempo stesso io venissi ad esser assoluto et honorato. Et questo si vorebbe trattar senza metter la cosa in riputatione. Ho tanta fede nella bontà vostra, et nella volontà che '1 papa vi tiene meritamente, che tengo certo che se V. S. medesma cerca questa gratia senza tante cerimonie, l'ottenerà, et tanto più impiegandosi in persona d'un homo da bene…”
Di Gaieta, a' 23 di settembre del 62
A Paolo Manuzio
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da Lettera a Francesco Vettori, Firenze, 10 dicembre 1513, in Tutte le opere, a c. di M. Martelli, Firenze, Sansoni, 1971; citato in Classici italiani http://www.classicitaliani.it/machiav/mac64_let_05.htm
Variante: Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch'io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.

da Libro sull'arte del danzare; citato in Luigi Calendoli, Storia universale della danza, Mondadori, 1985
da Stanze sovra la bellezza di Napoli, canto I.52; citato in Cristiana Anna Addesso, Le Stanze del Fuscano sovra la bellezza di Napoli http://www.fedoa.unina.it/2434/1/Addesso_Filologia_Moderna.pdf, Dottorato di ricerca in Filologia moderna, ciclo XVII (2002-2005), Università degli Studi di Napoli Federico II