Frasi dal lavoro
Riccardo II

Riccardo II è un dramma storico composto da William Shakespeare intorno al 1595 e basato sulla vita del re Riccardo II d'Inghilterra, ultimo del ramo principale dei Plantageneti. È la prima parte di una tetralogia, denominata in seguito Enrieide, a cui seguono tre parti, dedicate ai successori di Riccardo: Enrico IV, parte 1, Enrico IV, parte 2, Enrico V. Sebbene l'edizione delle opere nel First Folio ponga l'opera tra i drammi storici di Shakespeare, la precedente Quarto edition del 1597 la chiamava tragedia.


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“La sventura fa di un'ora un giorno.”

atto I, scena III, p. 90, Utet, 1923
Riccardo II

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“Il dolore allorché è profondo e vero è un peso che non si sgrava mai dal cuore.”

atto I, scena I, p. 83, Utet, 1923
Riccardo II

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“Nessuna virtù può eguagliare il bisogno.”

Gaunt: atto I, scena III
Riccardo II

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“Oltre ai significati storico-politici, la sostanza di questo dramma shakespeariano è fortemente psicologica, in quanto al centro del testo è posta la crisi – che psicanaliticamente definiremmo narcisistica – del protagonista, il quale è progressivamente condotto a fare i conti con il passaggio da una visione eroica di Sé come "anointed King", re di origine divina prescelto dal destino, a un'immagine infranta del suo Io […]. Nello scoprirsi subjected – termine da intendersi nella duplice accezione di "suddito", ma anche di "soggetto umano"”

Riccardo scopre la vanità (egli definirà hollow, "vuota", la sua corona) del suo essere e, di conseguenza, la fallacia della sua regalità legittima. Ciò che la crisi narcisistica del protagonista del dramma in ultima analisi esprime è un ben preciso messaggio di carattere culturale: alla crisi narcisistica di Riccardo fa da specchio un mutamento epocale, poiché il Re non è più tale in virtù della sua natura divina e trascendente, bensì in forza del consenso popolare e delle contingenze. Con Bolingbroke, possiamo ben dire, finisce il tempo della Cavalleria e ha inizio quello della modernità, aprendo la strada a una visione secolarizzata del potere umano e delle sue prerogative. Il capolavoro di Shakespeare fotografa questa mutazione radicale nello spirito e nella storia dell'Europa. (Cesare Catà, Eretico Potere Ieratico. Il Liber Augustalis di Federico II di Svevia e il Riccardo II di Shakespeare, in "Tabulae. Rivista del Centro Studi Federiciani", XXIV, (Dicembre 2012), pp. 137-158)
Riccardo II, Citazioni sull'opera

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“Egli viene ad aprire il testamento vermiglio d'una guerra sanguinosa.”

Riccardo: atto III, scena III; traduzione di Goffredo Raponi
Riccardo II
Origine: Citato in Ai confini della realtà, prima stagione: «Egli è venuto ad aprire il testamento purpureo della sanguinosa guerra.»

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“RICCARDO - Continuo a chiedermi come paragonare questa prigione dove vivo al resto del mondo, e siccome il mondo è pieno di gente e qui non c'è anima viva, fuori che me, non posso farlo. Pure, continuo a battere su quel chiodo.
La mia immaginazione farà da femmina al mio spirito, il mio spirito è il maschio, e fra tutti e due concepiranno una generazione di pensieri prolifici, e saranno essi a popolare questo microcosmo di personaggi irrequieti quanto la gente di questo mondo: poiché nessun pensiero è mai contento. I migliori, come i pensieri del divino, sono frammisti ai dubbi: tali da mettere il Verbo stesso in conflitto col Verbo.
Come "Venite, pargoli"; oppure ancora "È difficile per un cammello passare per la cruna d'un ago".
I pensieri che spronano all'ambizione, progettano imprese irrealizzabili: come queste vane, fragili unghie possano aprirsi una breccia tra le strutture granitiche di questo duro universo - le mura scabre della mia prigione.
E poiché non possono, si annullano nella loro superbia.
I pensieri che aspirano alla rassegnazione si consolano di non essere i primi, fra gli schiavi della Fortuna, e neppure gli ultimi: come stolti mendichi che, inchiodati alla gogna, si sentono meno umiliati perché è toccato a tanti, e toccherà a tanti altri. E in questo pensiero trovano una sorta di sollievo, caricando le proprie sventure sul dosso di quelli che prima di loro ebbero simile sorte.
Così io recito in un sol personaggio la parte di molti: e nessuno contento. Qualche volta faccio il re: allora il tradimento mi fa sospirare di essere un poveraccio - ed io tale divento. Poi però l'opprimente miseria mi convince che me la passavo meglio da re.
Ed eccomi rimesso sul trono: solo che di lì a poco mi vedo bello e detronizzato da Bolingbroke, e subito non sono più nulla. Ma chiunque io sia, né io né alcun uomo che possa dirsi uomo sarà contento di nulla finché non avrà il sollievo di non esser più nulla.

Suono di musica.

Sento della musica. Ah, ah! Andate a tempo! Come è aspra la dolce musica quando non tiene il ritmo e non rispetta il tempo.
Così è per la musica delle umane vite: e qui io ho un orecchio talmente affinato da avvertire la stonatura in una corda non bene accordata.
Ma per accordare il mio regno ai bisogni del tempo, non ebbi orecchio da avvertire le mie stonature.
Ho fatto pessimo uso del tempo, e il tempo fa pessimo uso di me, ché ora il tempo ha fatto di me il suo orologio.
I miei pensieri sono minuti, che i miei sospiri vanno ritmando sul quadrante dei miei occhi; mentre il mio dito, come la punta della lancetta, continua a segnare il tempo, nettandoli delle lacrime.
Ora, signore, il suono che indica lo scadere dell'ora è il clamore dei gemiti che mi squassano il cuore - che è la campana. Così sospiri, e lacrime, e gemiti, scandiscono i minuti, i quarti e le ore; mentre il tempo mio va galoppando a portare la gioia del superbo Bolingbroke, e io me ne sto qui a fare il pupazzo, a guardia del suo orologio.
Questa musica mi fa uscir di senno. Fatela smettere! Può darsi abbia ricondotto dei folli a rinsavire, ma io dico che può portare chi è savio alla follia.
Pure, benedetta l'anima buona che me la infligge, poiché essa è segno d'affetto, e l'affetto per Riccardo è un ben raro gioiello, in un mondo così saturo d'odio.”

Richard II

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“Scenderò, scenderò sempre più giù, come un Fetonte sfavillante.”

Riccardo, Atto III, scena III
Riccardo II

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