“Tansillo: Poneno, e sono, piú specie de furori, li quali tutti si riducono a doi geni: secondo che altri non mostrano che cecità, stupidità ed impeto irrazionale che tende al ferino insensato; altri consisteno in certa divina abstrazione per cui dovegnono alcuni megliori, in fatto, che uomini ordinarii. E questi sono de due specie […].
Cicada: Di questi doi geni quali stimi megliori?
Tansillo: Gli primi hanno piú dignità, potestà ed efficacia in sé, perché hanno la divinità; gli secondi son essi piú degni, piú potenti ed efficaci, e son divini. Gli primi son degni come l'asino che porta li sacramenti; gli secondi come una cosa sacra. Nelli primi si considera e vede in effetto la divinità; e quella s'admira, adora ed obedisce; ne gli secondi si considera e vede l'eccellenza della propria umanitade.”

parte prima, dialogo III

Ultimo aggiornamento 21 Maggio 2020. Storia
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Giordano Bruno 248
filosofo e scrittore italiano 1548–1600

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“Cicada: Da qua si vede che l'ignoranza è madre della felicità e beatitudine sensuale; e questa medesima è l'orto del paradiso de gli animali; come si fa chiaro nelli dialogi de la Cabala del cavallo Pegaseo e per quel che dice il sapiente Salomone: chi aumenta sapienza, aumenta dolore.
Tansillo: Da qua avviene che l'amore eroico è un tormento, perché non gode del presente, come il brutale amore; ma e del futuro e de l'absente, e del contrario sente l'ambizione, emulazione, suspetto e timore. Indi dicendo una sera dopo cena un certo de nostri vicini: – Giamai fui tanto allegro quanto sono adesso; – gli rispose Gioan Bruno, padre del Nolano: – Mai fuste piú pazzo che adesso. –
Cicada: Volete dunque, che colui che è triste, sia savio, e quell'altro ch'è piú triste, sia piú savio?
Tansillo: Non, anzi intendo in questi essere un'altra specie di pazzia, ed oltre peggiore.
Cicada: Chi dunque sarà savio, se pazzo è colui ch'è contento, e pazzo è colui ch'è triste?
Tansillo: Quel che non è contento, né triste.
Cicada: Chi? quel che dorme? quel ch'è privo di sentimento? quel ch'è morto?
Tansillo: No; ma quel ch'è vivo, vegghia ed intende; il quale considerando il male ed il bene, stimando l'uno e l'altro come cosa variabile e consistente in moto, mutazione e vicissitudine (di sorte ch'il fine d'un contrario è principio de l'altro, e l'estremo de l'uno è cominciamento de l'altro), non si dismette, né si gonfia di spirito, vien continente nell'inclinazioni e temperato nelle voluptadi; stante ch'a lui il piacere non è piacere, per aver come presente il suo fine. Parimente la pena non gli è pena, perché con la forza della considerazione ha presente il termine di quella. Cossí il sapiente ha tutte le cose mutabili come cose che non sono, ed afferma quelle non esser altro che vanità ed un niente; perché il tempo a l'eternità ha proporzione come il punto a la linea.”

Giordano Bruno (1548–1600) filosofo e scrittore italiano

parte prima, dialogo II

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