Frasi di Juliusz Słowacki

Juliusz Słowacki è stato un poeta polacco.

Poeta romantico annoverato nel gruppo dei Tre Bardi, ovvero dei tre grandi poeti nazionali polacchi, insieme a Adam Mickiewicz e Zygmunt Krasiński.

Nato a Kremenets, nel territorio dell'Impero Russo, conseguì gli studi a Wilno, dove suo padre, anch'egli un letterato, era professore di lingua polacca alla locale Università. Sin da giovane venne fortemente influenzato dalla poesia di Lord Byron e di Shakespeare. Le sue prime opere attingevano ad episodi storici, spesso con un particolare gusto per l'esotico ed il mondo orientale, o erano tragedie che attingevano comunque da episodi storici. Di questo periodo sono anche le sue traduzioni in lingua polacca di Alphonse de Lamartine e Tommaso Moro. Agli inizi del 1829 si trasferì a Varsavia dove aveva ottenuto un posto di impiegato amministrativo ed ebbe così occasione di assistere di persona ai fatti dell'insurrezione polacca di novembre del 1830-31, che influenzarono fortemente la sua creatività artistica dandole un più forte tono nazionalistico. Dopo aver scritto tre poemi di stampo patriottico, che lo resero celebre al pubblico polacco, partì in missione diplomatica per Londra, trasferendosi in seguito a Parigi, seguendo le orme di molti altri dissidenti politici polacchi nella Grande Emigrazione. Con grande ironia della sorte la prima raccolta poetica pubblicata in Francia non raccolse alcun successo nella sua madrepatria.

✵ 4. Settembre 1809 – 3. Aprile 1849
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Juliusz Słowacki Frasi e Citazioni

“Mi sta a cuore che la lingua flessuosa | esprima quanto pensa la mente | ed ora sia chiara e rapida come il fulmine | ora triste come il canto della steppa, | ora dolce come il lamento della ninfa | ora bella come il parlare degli angeli.”

Origine: Traduzione di M. Bersano; citato in Tutto Sapere, Letterature europee, [terza parte, letteratura ceca, slovacca, polacca, russa, ungherese, iugoslave, bulgara, albanese, minoranze linguistiche], autori dei testi per la letteratura polacca Rosa Liotta e Andrzej Litwornia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1991, p. 40.

“La lira accordata dalla fantasia | accompagni un pensiero oscuro e tetro; | poiché, ecco, son entrato nella tomba di Agamennone, | e tacito siedo sotto la volta sotterranea | intrisa del sangue crudele degli Atridi. | Il cuore si è assopito, ma sogna...”

quale tristezza! || Da lungi risuona quell'arpa d'oro, | di cui a me giunge soltanto l'eco eterna! | In questo antro druidico di grandi macigni | il vento penetra e sospira fra i crepacci, | ed ha la voce di Elettra: essa imbianca la tela | e mormora fra i lauri: «Quale tristezza!» [...] || Oh! come voi io taccio, Atridi, | le cui ceneri affidate alla custodia delle cavallette tacciono. | E non sento più la mia pochezza, | né più i miei pensieri si librano come aquile. | Sono qui profondamente umile e silenzioso, | in questo sepolcro di gloria, di delitto, di orgoglio.
Origine: Da La tomba di Agamennone, in Viaggio in Terrasanta da Napoli, 1836, in Scritti scelti, a cura di Bruno Meriggi, traduzione di A. M. Raffo, La Nuova Italia, Firenze, 1959, p. 91-94. In Andrzej Zielinski, Antologia delle letterature polacca-ungherese ceca-slovacca, Fratelli Fabbri Editori, 1970, p. 32.

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