“R: L'esistenza del Muro significava la spaccatura non solo dell'Europa e della Germania, ma del mondo. E comunque, allora, la situazione era molto cambiata: era arrivata la libertà. Nell'Urss si erano tenute elezioni libere, era terminata la guerra fredda. Il Muro doveva cadere perché rappresentava un simbolo ormai finito e in Germania era già in atto un processo di unificazione. Io penso che il merito di noi politici di allora è stato aiutare quello che i tedeschi avevano già deciso: unificare il Paese. Per me questo rappresenterà per sempre un grande orgoglio.”

—  Enzo Biagi

Con Michail Gorbacev; un bilancio della perestroika

Estratto da Wikiquote. Ultimo aggiornamento 21 Maggio 2020. Storia
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Enzo Biagi 202
giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano 1920–2007

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“La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. […] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il Muro di Berlino era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di Hitler (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

11 novembre 1989
il Giornale

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