“Dalle inchieste che Ottone concordava coi redattori più arrabbiati e più pietosi veniva fuori un cupo affresco medievale. I treni non erano più treni, ma "veicoli per deportati". Le stazioni non erano più stazioni ma "bolge dantesche". Il colera del napoletano non era più una malattia, ma "la fase acuta che mette in risalto il male cronico della nostra società". L'industria non era più l'industria, ma un moloch avido di carne umana che «continua a ferire e uccidere l'operaio». Il sistema capitalistico veniva raffigurato come la metafora del sistema tout court e bollato col marchio di «istigazione a delinquere». Il mondo del lavoro appariva un vivaio di microbi portatori di «paralisi flaccida, silicosi, polinevrite, asbestosi, saturnismo». I delinquenti non erano più tali, perché vittime della società, mentre quelli veri indossavano «il camice bianco negli ospedali psichiatrici», oppure dirigevano «da una poltrona di velluto rosso i desperados della lupara». Altri ancora, dai loro grattacieli in vetrocemento, erano puntigliosamente intenti ad «avvelenare l'aria, l'acqua, il cibo.»”

—  Enzo Bettiza

L'Italia appariva come inghiottita da un cataclisma di dimensioni apocalittiche.

Estratto da Wikiquote. Ultimo aggiornamento 22 Maggio 2020. Storia

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“E' come costruire una stazione. Una cosa bella e di valore, che è stata importante anche per poco tempo, non svanisce nel nulla per un piccolo errore. Cominciamo col costruirla la stazione, anche se non è perfetta. Se non ci fossero le stazioni, i treni non potrebbero fermarsi lì e non potremmo incontrare le persone a cui vogliamo bene. Se poi si scoprono dei difetti, si può sempre rimediare dopo. Prima di tutto costruisci la stazione. Una stazione speciale per lei, dove il treno desideri fermarsi, in cui trovare un rifugio, così, anche senza uno scopo preciso. Cerca di immaginarla nella tua mente, quella stazione, di darle concretamente forma e colore. Poi incidi con un chiodo il tuo nome sulla base, e soffiaci la vita. Questa forza ce l'hai.”

Colorless Tsukuru Tazaki and His Years of Pilgrimage
Variante: è come costruire una stazione. Una cosa bella e di valore, che è stata importante anche per poco tempo, non sparisce nel nulla per un piccolo errore. Cominciamo col costruirla la stazione anche se non è perfetta. Se non ci fossero le stazioni, i treni non potrebbero fermarsi lì e non potremmo vedere le persone a cui vogliamo bene. Se poi si scoprono dei difetti, si può rimediare dopo. Prima di tutto costruisci la stazione. Una stazione speciale per lei, dove il treno desideri fermarsi, in cui trovare un rifugio, così, anche senza uno scopo preciso. Cerca di immaginarla nella tua mente, quella stazione, di darle concretamente forma e colore. Poi incidi il tuo nome sulla base, e soffiaci la vita.

Questa traduzione è in attesa di revisione. È corretto?
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“[La Cronica di Dino Compagni] è l'opera più viva e più bella di tutta la storiografia medievale.”

Natalino Sapegno (1901–1990) critico letterario e storico italiano

da Compendio di storia della letteratura italiana, Firenze, 1963
Origine: Citato in Antologia della critica, p. 16, Letteratura Italiana, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1965.

“Il cancro non è una malattia: è un'industria e una compagnia.”

Franco Rossi (1944–2013) giornalista italiano

Con data
Origine: Da un tweet https://twitter.com/francorossicom/status/358303254221815809 del 19 luglio 2013; citato in Lutto nel giornalismo sportivo, è morto Franco Rossi http://www.repubblica.it/sport/2013/10/30/news/lutto_nel_giornalismo_sportivo_morto_franco_rossi-69848807/, Repubblica.it, 30 ottobre 2013.

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“Cos'altro potrei dire, se non che mi piaceva tutto della metropolitana? Amavo le lunghe gallerie, i treni fumosi, i collegamenti intricati delle linee, ciascuna delle quali possedeva caratteristiche proprie, una propria identità, per così dire. Avevo l'abitudine di bighellonare nella stazione di Richmond solo per guardare il cerchio rosso trafitto da una barra blu, il viavai dei convogli, e soprattutto per studiare la piantina, con quella forma che ricordava vagamente un insetto, il groviglio di fili colorati che, a un esame più attento, si rivelava qualcosa di più sensato: un simulacro di concatenazioni, un gioco di alternative. Me ne restavo lì impalato per ore a pormi domande tipo: Se dovessi andare da Chancery Lane a Rickmansworth, quale sarebbe il tragitto più breve? E il più lungo? Quale mi consentirebbe di percorrere le linee più colorate? Scegliere il percorso più veloce mi sembrava banale, rozzo persino, una scelta priva di immaginazione. Trovavo preferibile – o avevo fede – nel percorso più lungo.
Il cerchio rosso trafitto dalla barra blu conteneva il nome della stazione. Era una promessa di altre stazioni: Richmond prometteva i Kew Gardens, che promettevano Gunnersbury, che prometteva Turnham Green, Stamford Brook, Hammersmith e Londra. Londra! Le linee sotterranee, la Piccadilly, la Northern e la Bakerloo! Le scale mobili che sembravano sprofondare per miglia e miglia, gli interminabili corridoi tubolari col loro caldo odore di gas di scarico, il vento dei treni, il misterioso vento sotterraneo dei treni. E altre stazioni verso nord. Altre ancora verso est e ovest. Stazioni che si moltiplicavano come isole, tutte in attesa di essere visitate, con il nome racchiuso, in modo identico, in quel cerchio rosso, con quella barra blu!”

David Leavitt (1961) scrittore statunitense

IV; pp. 56-57
Mentre l'Inghilterra dorme

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