Frasi su discontinuità

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema discontinuità, interno, arte, cultura.

Frasi su discontinuità

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“Ora, un elemento che caratterizza la condizione omosessuale è questo: mentre l'identità del nero o dell'ebreo solitamente è rafforzata dal suo nascere e maturare entro una comunità compatta (in senso spaziale e generazionale), quella dell'omosessuale, come è noto, manca di qualsiasi continuità biologica e ambientale. I gay saltano fuori in qualsiasi ceto, cultura, religione, nazione. Ci si scopre omosessuali quasi sempre da soli. E ovviamente un gay di rado è figlio di altri gay, soprattutto di gay dichiarati. […] C'è questa discontinuità, nella condizione gay, che è qualcosa di importantissimo. […] Perché rende l'omosessualità debole e forte al tempo stesso. Debole perché in principio solitaria, dispersa in centomila città e famiglie, distribuita in gradazioni diseguali e in varianti personali, facile da dissimulare, incline ai vuoti di memoria storica. ma anche forte e tenace, perché a ogni nuova generazione rigermoglia in modo imprevedibile e non immediatamente riconoscibile. […] Finora la cultura dominante ha quasi sempre sentito l'omosessualità come qualcosa di pericoloso – fino a circondarla a volte con un cordone sanitario – perché sapeva che l'omosessuale era ancora più interno a essa rispetto, poniamo, all'ebraismo assimilato del primo Novecento. Paradossalmente, il gay vive in un mondo etero che lo considera "dei suoi": o almeno lo fa finché la differenza non diventa evidente, e anche dopo continua a cercare di dimenticarsene. Del resto il gay stesso è ben cosciente di come, sotto moltissimi aspetti, egli abbia un mondo in comune con gli etero.”

Tommaso Giartosio (1963) scrittore italiano

Perché non possiamo non dirci

“«Il testimone» di Pif è un compendio di osservazioni psicologiche più che sociologiche, sia che si parli di arte contemporanea o dell'oscuro cantante Fabio Roma. Da lui non bisogna pretendere discorsi sistematici, ma piccole osservazioni, graffi, discontinuità, una sorta di antropologia dell'inafferrabile e dell'incompiuto.”

Aldo Grasso (1948) giornalista, critico televisivo e docente italiano

Origine: Da Pif, antropologia dell'inafferrabile https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2013/marzo/07/Pif_antropologia_dell_inafferrabile_co_0_20130307_6f91151a-86f1-11e2-be69-c13993ffdb2b.shtml, Corriere della sera, 7 marzo 2013, p. 63.

Piergiorgio Odifreddi photo

“Secondo un raffinato intellettuale come Edward W. Said, interprete tra i più accreditati della percezione dell'Oriente da parte dell'Occidente lungo i secoli, nessuna cultura o civiltà può essere rappresentata o descritta come un soggetto unitario: tanti i punti di discontinuità e incoerenza presenti al suo interno, tanti gli elementi che cooperano per una sostanziale condizione di eterogeneità o mescidanza, tanti i legami intrattenuti con altre culture o civiltà. La tesi di Said, se è applicabile in generale, trova nella cultura e nella civiltà italiana una delle sue più formidabili conferme. Nessuna nazione europea può competere con la nostra in termini di variabilità interna: sono lì a mostrarcelo le mille lingue del Bel Paese, il miracoloso caleidoscopio dei suoi prodotti vinicoli e delle sue tradizioni alimentari, la straordinaria offerta dei suoi manufatti. Varietà: la nostra più grande debolezza ma, al contempo, la nostra forza più prodigiosa e sincera. L'auspicio, per il rilancio dell'Italia, è allora il recupero del senso di un autentico valore d'origine, di una naturale armonizzazione tra le diverse componenti. Connaturata alla storia stessa della lingua italiana, se ne faceva custode Bruno Migliorini inaugurando – nel 1939 – la rivista "Lingua nostra". Quel grande linguista auspicava che l'italiano riuscisse a conservare il suo equilibrio fra "lingua popolare" e "lingua dotta", fra "lingua istintiva" e "lingua cosciente", fra "rispetto verso una secolare tradizione" e "aperta accettazione delle sempre nuove necessità che la lingua deve soddisfare". Senza però cedere, aggiungeva, né al "plebeismo" né "alle tendenze malsane del pedantismo, dello snobismo, dell'"eburneismo". Un equilibrio a rendere, in generale, se facciamo tesoro di quel che abbiamo.”

Massimo Arcangeli (1960) linguista, critico letterario e saggista italiano

Madrelingua, I, 2013, p. 1

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