Arthur Schopenhauer: Essere (pagina 2)

Arthur Schopenhauer era filosofo e aforista tedesco. Esplorare le virgolette interessanti su essere.
Arthur Schopenhauer: 509   frasi 239   Mi piace

“Ogni animale ha il suo intelletto evidentemente solo allo scopo di trovare e procacciarsi il cibo, e secondo ciò è anche determinata la misura del suo intelletto. Non altrimenti stanno le cose per l'uomo; solo che la maggiore difficoltà della sua conservazione e l'infinita moltiplicabilità dei suoi bisogni ha reso necessaria una misura maggiore di intelletto. Soltanto quando questa misura viene superata, per una anormalità, si ha un'eccedenza assolutamente esente dal servizio della volontà, che, se è considerevole, si chiama genio. Per questa ragione soltanto un tale intelletto diventa dapprima oggettivo; ma può avvenire che, a un certo grado, diventi anche metafisico, o per lo meno aspiri a esserlo. Infatti, proprio in conseguenza della sua oggettività, la natura stessa, la totalità delle cose, diventa il suo oggetto e il suo problema. Soltanto in lui, cioè, la natura comincia a percepirsi proprio come qualcosa che è, e pur tuttavia potrebbe anche essere diversamente; mentre, nell'intelletto comune, normale, la natura non si percepisce chiaramente – come il mugnaio non ode il rumore della macina, o il profumiere non sente il profumo del suo negozio. Sembra per lui una cosa pacifica: ne è prigioniero. Solo in certi momenti più chiari la percepisce, e quasi se ne spaventa: ma si rassegna ben presto. È facile vedere che cosa questi cervelli normali possono dare in filosofia, anche quando si riuniscono in grandi masse. Se invece l'intelletto fosse metafisico per origine e destinazione, essi potrebbero, specialmente unendo le loro forze, promuovere la filosofia come ogni altra scienza.”

Parerga e Frammenti postumi
Origine: Da Alcune considerazioni sul contrasto; in Parerga e paralipomena, Adelphi, § 67, pp. 128-129.

“Quando A apprende che i pensieri di B sul medesimo oggetto differiscono dai propri, egli non rivede anzitutto il proprio pensiero per trovare l'errore, ma presuppone quest'ultimo nel pensiero dell'altro: l'uomo, cioè, per natura pretende di aver sempre ragione. […] Da cosa deriva questo? Dalla naturale malvagità dell'essere umano. Se questa non ci fosse, se noi fossimo fondamentalmente onesti, in ogni dibattito tenderemmo semplicemente a portare alla luce la verità, senza curarci che questa risulti conforme alla nostra opinione annunciata in precedenza o a quella dell'altro: ciò sarebbe indifferente o perlomeno una questione del tutto marginale. Ma ecco la questione principale: la vanità innata, che è particolarmente eccitabile riguardo alle forze della ragione, non vuole accettare che ciò che noi abbiamo enunciato in precedenza risulti falso, e ciò che ha detto l'avversario, giusto. Di conseguenza, ciascuno dovrebbe semplicemente impegnarsi a giudicare rettamente; e per farlo, dovrebbe prima pensare e poi parlare. All'innata vanità, però, si accompagnano nei più il cicaleccio e l'innata disonestà. Essi parlano prima di aver pensato, e anche se poi si rendono conto che la loro affermazione è falsa, deve tuttavia sembrare che sia il contrario. L'interesse per la verità, che è certamente l'unico movente della enunciazione della proposizione ritenuta vera, cede ora del tutto all'interesse per la vanità: il vero deve apparire falso, e il falso vero.”

L'arte di ottenere ragione

“Questa teoria, che ogni molteplicità sia soltanto apparente, che in tutti gli individui di questo mondo, per quanto si presentino in numero infinito l'uno dopo l'altro e l'uno accanto all'altro, si manifesti un essere solo e il medesimo, presente e identico in tutti e veramente esistente, questa teoria […] verrebbe voglia di dire che c'è sempre stata. Difatti essa è la dottrina principale e fondamentale dei sacri Veda, il libro più antico del mondo, del quale possediamo la parte dogmatica o, meglio, la dottrina esoterica nelle Upanishad. Là troviamo, si può dire a ogni pagina, questa grande dottrina che instancabilmente viene ripetuta in forme infinite e commentata con svariate immagini e similitudini. Non c'è da dubitare che abbia costituito il fondamento della sapienza di Pitagora […]. Tutti sanno che in essa soltanto era contenuta quasi tutta la filosofia della scuola eleatica. In seguito ne furono pervasi i neoplatonici […]. Nel secolo IX la vediamo comparire all'improvviso in Europa per merito di Scoto Eriugena il quale, preso dall'entusiasmo, si affanna a rivestirla delle forme e delle espressioni della religione cristiana. La ritroviamo tra i maomettani quale entusiastico misticismo dei Sufi. In Occidente però Giordano Bruno dovette pagare con la morte ignominiosa e crudele il fatto di non aver saputo resistere all'impulso di esprimere quella verità. Tuttavia vediamo anche i mistici cristiani invilupparcisi, loro malgrado, quando e dove compaiono. Il nome di Spinoza è identico con essa.”

IV, § 22; 1981, pp. 277-278
Il fondamento della morale