Frasi di Flavio Claudio Giuliano
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Flavio Claudio Giuliano è stato un imperatore e filosofo romano, l'ultimo sovrano dichiaratamente pagano, che tentò, senza successo, di restaurare la religione romana dopo che essa era stata abbandonata a favore del cristianesimo da suo zio Costantino I e dal figlio Costanzo II.

Membro della dinastia costantiniana , fu Cesare in Gallia dal 355; un pronunciamento militare nel 361 e la contemporanea morte del cugino Costanzo II lo resero imperatore fino alla morte, avvenuta nel 363 durante la campagna militare in Persia.

Per distinguerlo da Didio Giuliano o da Giuliano di Pannonia, usurpatore dell'epoca di Carino, fu chiamato anche Giuliano II, Giuliano Augusto, Giuliano il Filosofo o Giuliano l'Apostata dai cristiani, che lo presentarono come un persecutore ma, per quanto personalmente avverso al cristianesimo, nel suo regno vi fu un'iniziale tolleranza; non ci furono comunque mai persecuzioni anticristiane e venne praticata la tolleranza nei confronti di tutte le religioni, comprese le diverse dottrine cristiane e verso l'ebraismo, al punto di ordinare la ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme secondo un programma di ripristino e rafforzamento dei culti religiosi locali; il tentativo di ricostruzione però venne abbandonato.

Giuliano scrisse numerose opere di carattere filosofico, religioso, polemico e celebrativo, in molte delle quali criticò il cristianesimo. La sua ispirazione filosofica fu in gran parte neoplatonica.

✵ 331 – 26. Giugno 363
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Flavio Claudio Giuliano frasi celebri

“Mosè ha dato della differenza delle lingue una ragione superlativamente favolosa. Dice che i figli degli uomini, riunitisi, volevano fabbricare una città e, in essa, una gran torre; ma Dio dichiarò: qui bisogna scendere e confondere le loro lingue.”

E, perché nessuno creda che io voglia darla ad intendere, leggiamo nel testo stesso di Mosè, quel che segue: «E dissero: "Orsù; fabbrichiamoci una città ed una torre, la cui cupola giunga fino al cielo; e facciamoci un nome prima di essere dispersi su tutta la faccia della terra". E scese il Signore a vedere la città e la torre, che i figli degli uomini edificavano. E disse il Signore: "Ecco, essi sono un medesimo popolo, e una medesima lingua hanno tutti; e questo cominciarono a fare; ed ora non resteranno dal compiere tutto ciò che hanno cominciato. Dunque: discendiamo là, e confondiamo la loro lingua, affinché non capisca l'uno la parola dell'altro". E li disperseil Signore Iddio su tutta la faccia della terra, ed essi cessarono di fabbricare la città e la torre».
Poi volete che a questo crediamo; ma voi non credete a ciò che dice Omero degli Aloadi, che tre montagne meditavano di porre l'una sull'altra, «onde fosse ascendibile il cielo». Per me io dico che questo racconto è ugualmente favoloso che quello. Ma voi, che il primo accogliete, per qual ragione, in nome di Dio, respingete la favola di Omero? Poiché questo - credo - uomini ignoranti non lo capiscono: che, se anche tutte le genti che popolano la terra avessero la medesima voce e la medesima lingua, fabbricare una torre che arrivi fino al cielo non potrebbero affatto, quand'anche facessero mattoni di tutta quanta la terra. Mattoni ce ne vorrebbero infiniti di grandezza pari a tutta intera la terra per arrivare al solo cerchio della luna. Ammettiamo pure che tutte le genti si siano riunite parlando una stessa lingua ed abbiano ridotto in mattoni e cavato le pietre di tutta la terra; come potranno arrivare fino al cielo, se anche la loro opera dovesse stendersi più sottile di un filo allungato? In conclusione: voi che stimate vera una favola così evidentemente falsa, e pretendete che Dio abbia avuto paura della unità di voce degli uomini e per questo sia disceso a confonderne le lingue, oserete ancora menare vanto della vostra conoscenza di Dio?
Contro i galilei

“Mosè ha dato della differenza delle lingue una ragione superlativamente favolosa. Dice che i figli degli uomini, riunitisi, volevano fabbricare una città e, in essa, una gran torre; ma Dio dichiarò: qui bisogna scendere e confondere le loro lingue. - E, perché nessuno creda che io voglia darla ad intendere, leggiamo nel testo stesso di Mosè, quel che segue: «E dissero: "Orsù; fabbrichiamoci una città ed una torre, la cui cupola giunga fino al cielo; e facciamoci un nome prima di essere dispersi su tutta la faccia della terra". E scese il Signore a vedere la città e la torre, che i figli degli uomini edificavano. E disse il Signore: "Ecco, essi sono un medesimo popolo, e una medesima lingua hanno tutti; e questo cominciarono a fare; ed ora non resteranno dal compiere tutto ciò che hanno cominciato. Dunque: discendiamo là, e confondiamo la loro lingua, affinché non capisca l'uno la parola dell'altro". E li disperseil Signore Iddio su tutta la faccia della terra, ed essi cessarono di fabbricare la città e la torre».Poi volete che a questo crediamo; ma voi non credete a ciò che dice Omero degli Aloadi, che tre montagne meditavano di porre l'una sull'altra, «onde fosse ascendibile il cielo». Per me io dico che questo racconto è ugualmente favoloso che quello. Ma voi, che il primo accogliete, per qual ragione, in nome di Dio, respingete la favola di Omero? Poiché questo - credo - uomini ignoranti non lo capiscono: che, se anche tutte le genti che popolano la terra avessero la medesima voce e la medesima lingua, fabbricare una torre che arrivi fino al cielo non potrebbero affatto, quand'anche facessero mattoni di tutta quanta la terra. Mattoni ce ne vorrebbero infiniti di grandezza pari a tutta intera la terra per arrivare al solo cerchio della luna. Ammettiamo pure che tutte le genti si siano riunite parlando una stessa lingua ed abbiano ridotto in mattoni e cavato le pietre di tutta la terra; come potranno arrivare fino al cielo, se anche la loro opera dovesse stendersi più sottile di un filo allungato? In conclusione: voi che stimate vera una favola così evidentemente falsa, e pretendete che Dio abbia avuto paura della unità di voce degli uomini e per questo sia disceso a confonderne le lingue, oserete ancora menare vanto della vostra conoscenza di Dio?”

Contro i galilei

Flavio Claudio Giuliano Frasi e Citazioni

Flavio Claudio Giuliano: Frasi in inglese

“But let us now dismiss these poetical fictions; because with what is divine they have mingled much of human alloy; and let us now consider what the deity has declared concerning himself and the other gods.
The region surrounding the Earth has its existence in virtue of birth.”

From whom then does it receive its eternity and imperishability, if not from him who holds all things together within defined limits, for it is impossible that the nature of bodies (material) should be without a limit, inasmuch as they cannot dispense with a Final Cause, nor exist through themselves.
Upon the Sovereign Sun (362)

“The Phoenicians who from their sagacity and learning possess great insight into things divine, hold the doctrine that this universally diffused radiance is a part of the "Soul of the Stars."”

This opinion is consistent with sound reason: if we consider the light that is without body, we shall perceive that of such light the source cannot be a body, but rather the simple action of a mind, which spreads itself by means of illumination as far as its proper seat; to which the middle region of the heavens is contiguous, from which place it shines forth with all its vigour and fills the heavenly orbs, illuminating at the same time the whole universe with its divine and pure radiance.
Upon the Sovereign Sun (362)

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