“Mi proposi due obiettivi, entrambi falliti: il primo era farmi intentare un processo dagli amministratori della città che attirasse l'attenzione sui pericoli che Venezia stava correndo. Il secondo era rendere pubblica la convinzione che m'ero formato: che per salvare Venezia la prima cosa da fare era sottrarla allo Stato italiano e affidarlo a un organismo internazionale come l'Onu, con le sue cospicue possibilità finanziarie e i suoi agguerriti uffici tecnici. […] Il Comune di Venezia non aveva più nulla di veneziano, salvo la sede. A dominarlo erano gli elettori di Mestre e Marghera, che con quelli di Venezia si trovavano nella proporzione di tre a uno, e dalla loro avevano tutto: i soldi delle industrie, i sindacati e quindi anche i partiti. Decidendo di restare amministrativamente unita, Venezia ha preferito mettersi al rimorchio delle ciminiere e petroliere di Marghera, alle quali ha sacrificato il suo delicatissimo sistema idraulico. Fu allora che, con grande amarezza, feci atto di rinunzia a Venezia, convinto come ero, e come son rimasto, che una città si può salvare solo se sono i suoi abitanti a volerlo.”
Origine: Soltanto un giornalista, pp. 216-217
Argomenti
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giornalista italiano 1909–2001Citazioni simili

“Venezia: | luogo comune della malinconia.”
da Miracolo a Venezia, n. 10
Scacchi e tarocchi

“Venezia non era più che una città e voleva essere un popolo.”
da Memorie di un italiano, cap. XI
Origine: Citato in Nuova Antologia, luglio-settembre 1980, Feliciano Benvenuti, Venezia nel Settecento, pp. 123 e 142.
da Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Laterza, 1965, p. 46

citato in Anton Gill, Peggy Guggenheim