“[…]Guadagniamo un'altura, mascherata dalle pieghe del suolo, e un grido d'ammirazione mi sfugge dalle labbra. Via via, sopra un fluttuare di palme, la vista corre, di là dall'oasi di Tagiura, a una rosea catena, che cinge tutto il vilayet, come un arco che abbia per corda il mare. […] Su questa altura, deve essere sorta una villa romana: qua e là tra le palme si scorge qualche frammento. Quale console o quale patrizio ebbe la superba idea di edificarsi una villa in questa solitudine, per contemplare l'incendio del sole, fra gli intercolunnii? È un vero incendio nel cielo…. una incandescenza di metalli; come se, in questo tramonto, un popolo di statue dovesse sorgere, e popolare le solitudini maestose.”

da L'Eden. Tarabolous, 18 gennaio 1905; L'Eden, p. 66
Tripolitania

Estratto da Wikiquote. Ultimo aggiornamento 21 Maggio 2020. Storia
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Domenico Tumiati 14
scrittore e drammaturgo italiano 1874–1943

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“La strada corre via, dormono tutti non ho da fare, mi viene un'idea prendo l'uscita verso il mare.”

Noemi (1982) cantautrice, personaggio televisivo, regista di videoclip e sceneggiatrice italiana

da Tutto questo scorre
Sulla mia pelle

“Garibaldi s'è rifugiato, s'è riposato qui; ma ha vissuto altrove, là dove ha agito, là dove c'erano uomini contro lui o dietro a lui, da villa Pamphily a Bezzecca, dove:
s'udivano | passi in cadenza ed i sospiri | de' petti eroici nella notte.”

Ugo Ojetti (1871–1946) scrittore, critico d'arte e giornalista italiano

Cose viste, Garibaldi piange
Origine: Giosuè Carducci, A Giuseppe Garibaldi, in Odi barbare, vv. 5-7.

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“Il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole.”

I Malavoglia
I Malavoglia
Variante: Il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole

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“[Baia (Bacoli)] Silla, Cesare, Pompeo, Ortensio, ogni illustre romano vi tenne ville; i bagni solforosi abbondanti in quel suolo ve li chiamavano in folla, essi che bisognavano di solfo a purgagione delle acredini d'un sangue guasto dalle libidini. Là erano teatri calcati da celebri mimi; là anfiteatri popolati di famosi gladiatori; danze, corse, banchetti quivi non rifinivano: il clima, e la naturale piacevolezza del sito, l'alitar degli zefiri, la fragranza dei fiori, l'allontanamento delle cure, ogni cosa sbandiva di là i pensamenti austeri, ed inclinava i sensi a voluttà. Il mare trasferiva entro gondole dorate dall'uno all'altro lido, dall'una all'altra villa gli effemminati patrizii, le scioperate matrone; il tuffarsi dei remi era ritmo a' canti di amore modulati al suono delle lire, e de' liuti. Mai arrivava a quella spiaggia lo squillo della tromba guerriera romoreggiante ai confini, freno dello Scita, del Parto, terrore del Datavo, del Britanno: i trionfatori si riposavano a Bajà; e mentre i Cesari vi si tuffavano in ebbrezze senza nome, il mondo schiacciato respirava. Properzio non ebbe appena visitata Baja che sospettò Cinzia d'infedeltà: Marziale scrisse di Levina che vi andò Penelope, e ne partì Elena. Fu rimproverata a Marco Tullio la villa che possedea su quel lido; e Seneca affermò essere malsano respirare un giorno solo quell'aria corrompitrice.”

Tullio Dandolo (1801–1870) scrittore, storico e filosofo italiano

da Lettere su Roma e Napoli, p. 35-36
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