Frasi su ordinanza

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema ordinanza, due-giorni, giorno, tre-giorni.

Frasi su ordinanza

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“Quando mi arrivò il disco di Rino Gaetano, io fui contentissimo perché trovai uno che era fuori ordinanza come me. In realtà erano anni in cui i cantautori erano impegnati, se non eri "impegnato"”

Renzo Arbore (1937) cantautore, showman e conduttore radiofonico italiano

una parola maledetta, maledettamente di moda – eri fuori dal giro e invece arrivò Rino Gaetano con queste sue canzoni apparentemente disimpegnate.
Origine: Dal programma televisivo Vite Straordinarie, Rete 4, 1 maggio 2010. Video http://www.youtube.com/watch?v=nayNROaDBHM&NR=1 disponibile su Youtube.com.

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“Non c'entro niente con queste inchieste, con la guerra di mafia e con le nuove ordinanze che avete emesso nei miei confronti.”

Pasquale Condello (1950) criminale italiano

al suo secondo arresto
Origine: Citato in 'Ndrangheta, il superboss Condello in carcere fuori dalla 'sua' Calabria http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/cronaca/arresto-condello/dettagli-arresto/dettagli-arresto.html, la Repubblica.it, 19 febbraio 2008.

“Iura novit curia? L'interrogativo, più che lecito, è doveroso di fronte al principio di diritto affermato dalla I Sezione penale della Corte di cassazione nella presente sentenza (così definita dalla stessa Corte, anche se parrebbe trattarsi di una ordinanza), a proposito dei criteri di computo dei termini di durata della custodia cautelare fissati per le diverse fasi del giudizio, con particolare riguardo all'incidenza su tale computo dei giorni in cui si sono tenute le udienze. […] Perché mai la Corte di cassazione sia incorsa in un simile sbandamento interpretativo, tanto più in una vicenda processuale di estrema delicatezza, che di per sé avrebbe richiesto il massimo di ponderazione da parte dei giudici della I Sezione penale (i quali, invece, non sembrano essersi impegnati come avrebbero dovuto, almeno a giudicare dalla frettolosità e dalla modestia della motivazione addotta a sostegno della loro pronuncia), è un quesito cui non saprebbe darsi una risposta soddisfacente. Probabilmente la Corte è stata sviata, oltreché dall'andamento della discussione di fronte alla Corte d'assise d'appello, e dall'erronea impostazione già emergente dalle ordinanze impugnate), anche dalla sorprendente assenza di iniziativa mostrata dal rappresentante della procura generale, che nel chiedere l'annullamento delle medesime ordinanze non si è neppure prospettato — a quanto pare — il problema della necessaria neutralizzazione ope legis dei giorni di udienza ai sensi dell'art. 297, 4° comma c. p. p. Senonché tutto ciò non basta a giustificare il contenuto approssimativo e superficiale della decisione annotata, almeno per chi creda ancora nella Corte di cassazione quale «organo supremo della giustizia», cui compete di assicurare «l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge». Il bilancio è mortificante, come sempre quando capita — e non è la prima volta, sebbene si tratti fortunatamente di episodi isolati — di registrare errori di diritto tanto vistosi da parte della Corte di cassazione. Ed allora, se è permesso riprendere l'interrogativo con cui si sono aperte queste brevi osservazioni «a caldo», occorre davvero domandarsi fino a che punto sia consentito ai giudici della Corte regolatrice di ignorare il diritto di cui dovrebbero essere i massimi tutori: o forse si deve ritenere che, almeno per certi giudici, debba ormai valere l'inedito brocardo per cui ignorantia legis excusat?”

Vittorio Grevi (1942–2010) giurista e editorialista italiano

da Una erronea interpretazione in tema di congelamento dei giorni di udienza ai fini dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio, In Giurisprudenza italiana, 1991, Disp. 5a, Parte II

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“Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio. Il generale Manhès, a ciò eletto, passò il seguente ottobre in apparecchi, aspettando che le campagne s'impoverissero di frutta e foglie, aiuti a' briganti per alimentarsi e nascondersi; e dipoi palesò i suoi disegni. Pubblicate in ogni comune le liste de' banditi, imporre a' cittadini di ucciderli o imprigionarli; armare e muovere tutti gli uomini atti alle armi; punire di morte ogni corrispondenza co' briganti, non perdonata tra moglie e marito, tra madre e figlio; armare gli stessi pacifici genitori contro i figli briganti, i fratelli contro i fratelli; trasportare le gregge in certi guardati luoghi; impedire i lavori della campagna, o permetterli col divieto di portar cibo; stanziare gendarmi e soldati ne' paesi, non a perseguire i briganti, a vigilare severamente sopra i cittadini. Nelle vaste Calabrie, da Rotonda a Reggio, cominciò simultanea ed universale la caccia al brigantaggio. Erano quelle ordinanze tanto severe che parevano dettate a spavento; ma indi a poco, per fatti o visti o divulgati dalla fama e dal generale istesso, la incredulità disparve. Undici della città di Stilo, donne e fanciulli (poiché i giovani robusti stavano in armi perseguitando i briganti), recandosi per raccorre ulivi ad un podere lontano, portavano ciascuno in tasca poco pane, onde mangiare a mezzo del giorno e ristorare le forze alla fatica. Incontrati da' vigilatori gendarmi, dei quali era capo il tenente Gambacorta (ne serbi il nome la istoria), furono trattenuti, ricercati sulla persona, e poiché provvisti di quel poco cibo, nel luogo intesso, tutti gli undici uccisi. Non riferirò ciò che di miserevole disse e fece una delle prese donne per la speranza, che tornò vana, di salvare, non sé stessa, ma un figliuolo di dodici anni. […]Lo spavento in tutti gli ordini del popolo fu grande, e tale che sembravano sciolti i legami più teneri di natura, più stretti di società; parenti e amici dagli amici e parenti denunziati, perseguiti, uccisi; gli uomini ridotti come nel tremuoto, nel naufragio, nella peste, solleciti di sé medesimi, non curanti del resto dell'umanità. Per le quali opere ed esempi viepiù cadendo i costumi del popolo, le susseguenti ribellioni, le sventure pubbliche, le tirannidi derivavano in gran parte dal come nel regno surse, crebbe e fu spento il brigantaggio. Questa ultima violenza non fu durevole: tutti i Calabresi, perseguitati o persecutori, agirono disperatamente; e poiché i briganti erano degli altri di gran lunga minori, e spicciolati traditi, sostenitori d'iniqua causa, furono oppressi. Sì che, di tremila che al cominciare di novembre le liste del bando nominavano, né manco uno solo se ne leggeva al finire dell'anno; molti combattendo uccisi, altri morti per tormenti, ed altri di stento, alcuni rifuggiti in Sicilia, e pochi, fra tante vicissitudini di fortuna, rimasti, ma chiusi in carcere.”

Charles Antoine Manhès (1777–1854) generale francese

Pietro Colletta

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“Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio. Il generale Manhès, a ciò eletto, passò il seguente ottobre in apparecchi, aspettando che le campagne s'impoverissero di frutta e foglie, aiuti a' briganti per alimentarsi e nascondersi; e dipoi palesò i suoi disegni. Pubblicate in ogni comune le liste de' banditi, imporre a' cittadini di ucciderli o imprigionarli; armare e muovere tutti gli uomini atti alle armi; punire di morte ogni corrispondenza co' briganti, non perdonata tra moglie e marito, tra madre e figlio; armare gli stessi pacifici genitori contro i figli briganti, i fratelli contro i fratelli; trasportare le gregge in certi guardati luoghi; impedire i lavori della campagna, o permetterli col divieto di portar cibo; stanziare gendarmi e soldati ne' paesi, non a perseguire i briganti, a vigilare severamente sopra i cittadini. Nelle vaste Calabrie, da Rotonda a Reggio, cominciò simultanea ed universale la caccia al brigantaggio.
Erano quelle ordinanze tanto severe che parevano dettate a spavento; ma indi a poco, per fatti o visti o divulgati dalla fama e dal generale istesso, la incredulità disparve. Undici della città di Stilo, donne e fanciulli (poiché i giovani robusti stavano in armi perseguitando i briganti), recandosi per raccorre ulivi ad un podere lontano, portavano ciascuno in tasca poco pane, onde mangiare a mezzo del giorno e ristorare le forze alla fatica. Incontrati da' vigilatori gendarmi, dei quali era capo il tenente Gambacorta (ne serbi il nome la istoria), furono trattenuti, ricercati sulla persona, e poiché provvisti di quel poco cibo, nel luogo intesso, tutti gli undici uccisi. Non riferirò ciò che di miserevole disse e fece una delle prese donne per la speranza, che tornò vana, di salvare, non sé stessa, ma un figliuolo di dodici anni. […]
Lo spavento in tutti gli ordini del popolo fu grande, e tale che sembravano sciolti i legami più teneri di natura, più stretti di società; parenti e amici dagli amici e parenti denunziati, perseguiti, uccisi; gli uomini ridotti come nel tremuoto, nel naufragio, nella peste, solleciti di sé medesimi, non curanti del resto dell'umanità. Per le quali opere ed esempi viepiù cadendo i costumi del popolo, le susseguenti ribellioni, le sventure pubbliche, le tirannidi derivavano in gran parte dal come nel regno surse, crebbe e fu spento il brigantaggio. Questa ultima violenza non fu durevole: tutti i Calabresi, perseguitati o persecutori, agirono disperatamente; e poiché i briganti erano degli altri di gran lunga minori, e spicciolati traditi, sostenitori d'iniqua causa, furono oppressi. Sì che, di tremila che al cominciare di novembre le liste del bando nominavano, né manco uno solo se ne leggeva al finire dell'anno; molti combattendo uccisi, altri morti per tormenti, ed altri di stento, alcuni rifuggiti in Sicilia, e pochi, fra tante vicissitudini di fortuna, rimasti, ma chiusi in carcere. (Libro VII, Regno di Gioacchino Murat”

Pietro Colletta (1775–1831) patriota, storico e generale italiano

1808-1815), Capo II "Fatti di guerra e di brigantaggio, poi distrutto.", XXVII-XXVIII, Tip. e libreria Elvetica, Capolago, 1834
Storia del reame di Napoli

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