Indro Montanelli: Stato

Indro Montanelli era giornalista italiano. Esplorare le virgolette interessanti su stato.
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“Mi sono sentito in imbarazzo per lui, e il mio primo pensiero è stato il rifiuto - «no, povero Montanelli» - quando all'ingresso dei giardini di via Palestro mi sono trovato davanti alla sua statua, al punto che ho pensato che ci sono vandali che distruggono e vandali che costruiscono, e che anzi, per certi aspetti, il vandalismo che crea è ben peggiore, perché tenta di disarmarti con le sue buone intenzioni. Dunque era di mattina, molto presto, e i giardini erano vuoti, al sole. Ebbene in questo vuoto, la statua mi è apparsa all'improvviso: una figurina in gabbia che non ha niente a che fare con Montanelli, se non perché lo offende anche fisicamente, lui che era così "verticale", e che ci invitava a buttare via «il grasso» e la retorica monumentale. Il giornalista che ogni volta si ri-definiva in una frase, in un concetto, in un aforisma, in una citazione, è stato per sempre imprigionato in una scatola di sardine. Perciò ho provato il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, la similpelle che non è pelle, perché non solo questo non è Montanelli, come ci ha insegnato Magritte che dipinse una pipa e ci scrisse sotto "questa non è una pipa". Il punto è che questa non è neppure una statuta di Montanelli, ma di un montanelloide in bronzo color oro, che ha la presunzione ingenua e goffa di imprigionare il Montanelli entelechiale, il Montanelli che era invece l'asciuttezza, era il corpo più "instatuabile" del mondo, troppo alto, troppo energico, troppo nervoso, incontenibile nello spazio e nel tempo com'è l'uomo moderno, che è nomade e ha un'identità al futuro. Era il più grande nemico delle statue il Montanelli che sempre ci sorprendeva, fascista ma con la fronda, conservatore ma anarchico, con la sinistra ma di destra, un uomo di forte fascino maschile che tuttavia non amava raccogliere i trofei del fascino maschile, ingombrante ma discreto, il solo che nella storia d' Italia abbia rifiutato la nomina a senatore a vita perché, diceva, «i monumenti sono fatti per essere abbattuti», come quello di Saddam, o di Stalin o di Mussolini. Come si può fare una statua ingombrante e discreta? Come si può fare un monumento all'antimonumento?”

Francesco Merlo

“Certamente Mussolini fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa […]. E quindi non è vero che lui… le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. […] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una gerarchia talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore… tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani.”

da Questo secolo, 18 maggio 1982
Interviste

“Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani: allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle foibe. Questo avvenne dopo la fine della guerra, sia chiaro. Perché gli orrori di guerra, non dico che siano giustificabili, ma sono comprensibili, la guerra è di per sé stessa un orrore. No, queste… le foibe furono un'infamia commessa dopo la Liberazione, dopo la fine della guerra, e purtroppo vi hanno collaborato parecchi comunisti italiani, alcuni dei quali non solo sono ancora a piede libero, pur essendo vivi, ma ricevono delle pensioni di Stato. Ricevono delle pensioni di Stato. Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose, da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare. Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo è fatale, ecco. Quindi non facciamo tanto i moralisti. […] No, questo [tesi sloveno-croata sulla pulizia etnico-culturale da parte degli italiani durante il periodo di occupazione fascista] è assolutamente falso. Pulizie etniche noi non ne abbiamo mai fatte, in nessun Paese occupato. Quando sento dire che noi facemmo anche la pulizia etnica in Etiopia, beh vabbè, mi cascano le braccia. Mi cascano le braccia. Quelle son menzogne infami, di gente o che non sa nulla, o che mente sapendo di mentire. Non è vero. Furono episodi, ma non di pulizia etnica, di rappresaglie.”

dall'intervista al TG2, Massacri delle foibe http://www.youtube.com/watch?v=s9UXM_pKpqY, 6 settembre 1996
Interviste

“Che un giudice spagnolo in vena di protagonismo abbia chiesto all'Inghilterra la consegna di un ospite straniero andato a Londra in forma privatissima per ragioni di salute, non mi stupisce: un Di Pietro può nascere dovunque. Ma che l'Inghilterra si proponga di consentire, non mi stupisce. Mi sbalordisce, come ha sbalordito e indignato la signora Thatcher che aveva ospitato in casa il Generale. Ma ancora di più mi sbalordirebbe che la Giustizia spagnola, cioè di un Paese che non solo ha accettato per quarant'anni il potere di un Generale, ma gli ha consentito (per sua fortuna) di disporne anche dopo morto, portasse davanti a una Corte di Giustizia quello cileno. Per non parlare delle conseguenze che tutto questo potrebbe provocare in Cile dove, nel caso che il governo Frei si mostrasse esitante e accomodante, le Forze Armate potrebbero riprendere il potere per rompere i rapporti diplomatici con Spagna e Inghilterra e dimostrare al mondo che i processi alla Norimberga hanno fatto il loro tempo. Se a qualcuno il Generale cileno Pinochet deve rendere conto del suo operato, è soltanto al Cile e ai suoi tribunali. E se io fossi un cileno che ha votato Frei (come certamente avrei fatto se fossi stato un cileno), in questa occasione mi schiererei con le Forze Armate. Con tanti saluti a tutto il sinistrume italiano passato, presente e futuro.”

24 ottobre 1998
Corriere della Sera, La stanza di Montanelli – rubrica

“La fine del Muro è una cosa buona, la fine di una vergogna: non possiamo che salutarla con soddisfazione. Ma guardiamoci dal prendere abbaglio sui suoi moventi. Ulbricht concepì e Honecker realizzò il muro per impedire che i tedeschi dell'Est fuggissero in massa nella Germania dell'Ovest: già 9 (diconsi nove) milioni lo avevano fatto fin allora. E il rimedio fu, come tutti quelli che escogitano nei regimi totalitari, drastico e semplicistico: murare viva la gente dietro una colata di cemento, senza pertugi. […] Abbiamo in uggia le astrazioni. Ma ciò che distingueva le due Germanie è l'idea morale e giuridica dell'uomo: che a Ovest è padrone di se stesso, e quindi può andarsene dove vuole: ad Est è proprietà dello Stato che ne regola i movimenti. Per chi non ricorda questo, il Muro di Berlino era, oltre che barbaro, incomprensibile e irrazionale: mentre invece ha obbedito a una sua logica. Nel momento in cui il bunker si affloscia e sopravvive come mero ammasso di cemento ricordandoci un altro bunker, quello che fece da fossa di Hitler (anche questo pare impossibile: ma i regimi in Germania muoiono nei bunker), il Muro va ricordato per ciò che è stato: non un'aberrazione del comunismo, ma una sua conseguente applicazione. E se crolla così, nel silenzio assordante di un giornale-radio, è perché è crollata, prima, l'ideologia che lo aveva eretto.”

11 novembre 1989
il Giornale