Bernardo Valli: Frasi popolari (pagina 3)

Frasi popolari di Bernardo Valli · Leggi le ultime citazioni e frasi celebri nella raccolta
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“Dietro indicazione dei belgi, gli americani (la Cia) puntarono su Mobutu. Mobutu non si sarebbe mai rivolto a Mosca. Avrebbe fatto del Congo, diventato Zaire, una roccaforte antisovietica al centro dell'Africa. In questo senso fu un investimento proficuo per l'Occidente. Non lo fu altrettanto per il paese. Mobutu l'ha infatti saccheggiato, spogliato, rovinato.”

Variante: Dietro indicazione dei belgi, gli americani (la Cia) puntarono su Mobutu. Mobutu non si sarebbe mai rivolto a Mosca. Avrebbe fatto del Congo, diventato Zaire, una roccaforte antisovietica al centro dell' Africa. In questo senso fu un investimento proficuo per l' Occidente. Non lo fu altrettanto per il paese. Mobutu l'ha infatti saccheggiato, spogliato, rovinato.

“Dopo essere stata una colonia tedesca, il Ruanda è diventato nel 1918, in seguito alla sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale, una colonia belga, vale a dire un paese francofono. Qualità che più tardi, ottenuta l'indipendenza, gli ha consentito di entrare nel privilegiato club dei paesi africani protetti dalla Francia. In quel club conta senz'altro il fascino per la cultura francese. Conta altresì la preferenza per i prodotti e la tecnica francesi ben inteso, anche se gli scambi con l'Africa francofona rappresentano soltanto il 3 per cento del commercio con l'estero di Parigi. In compenso i vari regimi hanno la garanzia di essere assistiti dall'Armée. Così quello ruandese, dominato dalla maggioranza hutu (85 per cento della popolazione) ha avuto un appoggio militare quando è cominciato il conflitto con la minoranza tutsi. La quale aveva tra l'altro un difetto, quello di essere per lo più anglofona, per via degli stretti rapporti con la vicina Uganda, ex colonia britannica. È dunque con armi e istruttori forniti dai francesi, che è cominciato il genocidio dei tutsi compiuto dalle milizie hutu. Ed ora che i primi, i tutsi, hanno vinto, e che gli hutu fuggono per timore di essere a loro volta massacrati, i francesi intervenuti per ragioni umanitarie sono costretti a proteggerli, e con loro proteggono gli autori del genocidio.”

Variante: Dopo essere stata una colonia tedesca, il Ruanda è diventato nel 1918, in seguito alla sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale, una colonia belga, vale a dire un paese francofono. Qualità che più tardi, ottenuta l'indipendenza, gli ha consentito di entrare nel privilegiato club dei paesi africani protetti dalla Francia. In quel club conta senz'altro il fascino per la cultura francese. Conta altresì la preferenza per i prodotti e la tecnica francesi ben inteso, anche se gli scambi con l'Africa francofona rappresentano soltanto il 3 per cento del commercio con l'estero di Parigi. In compenso i vari regimi hanno la garanzia di essere assistiti dall'Armée. Così quello ruandese, dominato dalla maggioranza hutu (85 per cento della popolazione) ha avuto un appoggio militare quando è cominciato il conflitto con la minoranza tutsi. La quale aveva tra l'altro un difetto, quello di essere per lo più anglofona, per via degli stretti rapporti con la vicina Uganda, ex colonia britannica. È dunque con armi e istruttori forniti dai francesi, che è cominciato il genocidio dei tutsi compiuto dalle milizie hutu. Ed ora che i primi, i tutsi, hanno vinto, e che gli hutu fuggono per timore di essere a loro volta massacrati, i francesi intervenuti per ragioni umanitarie sono costretti a proteggerli, e con loro proteggono gli autori del genocidio.

“Chi comanda in Ungheria da più di trent'anni, fino alla vigilia dell'89, è Janos Kadar: il più riuscito esempio di leader restauratore di un comunismo afflitto dall'incapacità di rendersi tollerabile. La sua carriera politica ha seguito un percorso zigzagante, tra stalinismo e riformismo, scandito da scomuniche e promozioni. Il suo è il classico curriculum vitae di un dirigente dell'Est. All'inizio non ha osteggiato l'insurrezione del'56, ma poi è stato uno dei "normalizzatori". Il pragmatico Kadar ha preso le distanze dal tumultuoso disordine, troppo traboccante di sognie di passioni, al tempo stesso rivolto contro il comunismo e in favore di un comunismo migliore. E ha finito col chiedere l'intervento sovietico, che comunque ci sarebbe stato. Con lo stesso realismo, arrivato al vertice del partito, ha adottato la politica dell'indulgenza. Non verso la contestazioneo la critica politica; ma verso i piaceri più individuali. LL'Ungheria è diventata con lui la meta dei privilegiati degli altri paesi comunisti, attirati dalle vetrine in cui erano esposti, non senza gusto e con insolita abbondanza, tanti prodotti introvabili nelle loro città, dai tessuti di qualità ai cosmetici più raffinati. Non mancavano la buona cucina e la vita notturna con la sua dose di erotismo. L'ideologia dei consumi, accompagnata da un certo laissezfaire nell'illusoria satira dei cabaret, funzionava da surrogato delle libertà fondamentali chieste durante l'insurrezione del'56 e respinte con la repressione. Con il suo comunismo "al gulash" Kadar raggiunse un consenso passivo invidiabile nelle altre capitali del socialismo reale, alcune delle quali assai più dotate di risorse dell'Ungheria, paese economicamente gracile con una testa enorme e fantasiosa quale era (ed è) la sua capitale.”

“Nei primi giorni di gennaio del 1980 fui fortunato. Kabul era invisibile. I carri armati sovietici appena arrivati, nei giorni di Natale, dall'Uzbekistan e dal Tagikistan sembravano elefanti galleggianti su un oceano immacolato, con le proboscidi, i cannoni, puntati contro il nulla. Perché la capitale era deserta. Le principali tribù a confronto in quelle ore, perlomeno a Kabul, erano comuniste. Da un lato i comunisti Khalq (popolo) e dall'altro i comunisti Parsham (bandiera). Ma lo schieramento non era cosi netto. La tragedia delle ultime settimane si era svolta con una mischia in cui era difficile distinguere le fazioni. Breznev aveva deciso di far intervenire l'Armata Rossa proprio per far cessare quella rissa tra compagni. Il segretario generale del partito sovietico era stato colpito dall'assassinio di Nuhr Mohammad Taraqi, suo amico personale. Taraqi era stato strangolato dagli uomini di Hafizullah Amin. Il quale sarebbe stato a sua volta fucilato dai sovietici, sostenitori di Babrak Karmal. Erano al tempo stesso faide personali e convulsioni rivoluzionarie, sulle quali pesavano le interferenze di Mosca.”

Variante: Nei primi giorni di gennaio del 1980 fui fortunato. Kabul era invisibile. I carri armati sovietici appena arrivati, nei giorni di Natale, dall'Uzbekistan e dal Tagikistan sembravano elefanti galleggianti su un oceano immacolato, con le proboscidi, i cannoni, puntati contro il nulla. Perché la capitale era deserta. Le principali tribù a confronto in quelle ore, perlomeno a Kabul, erano comuniste. Da un lato i comunisti Khalq (popolo) e dall' altro i comunisti Parsham (bandiera). Ma lo schieramento non era cosi netto. La tragedia delle ultime settimane si era svolta con una mischia in cui era difficile distinguere le fazioni. Breznev aveva deciso di far intervenire l' Armata Rossa proprio per far cessare quella rissa tra compagni. Il segretario generale del partito sovietico era stato colpito dall'assassinio di Nuhr Mohammad Taraqi, suo amico personale. Taraqi era stato strangolato dagli uomini di Hafizullah Amin. Il quale sarebbe stato a sua volta fucilato dai sovietici, sostenitori di Babrak Karmal. Erano al tempo stesso faide personali e convulsioni rivoluzionarie, sulle quali pesavano le interferenze di Mosca.

“Lo scià era stato un despota a tratti illuminato e innovatore, a tratti incline alla repressione e ignaro della rivolta che covava tra i sudditi. Aveva regnato trentasette anni e anche lui aveva fatto la sua Rivoluzione bianca. In particolare una riforma agraria che non aveva colpito troppo i latifondisti. A restituirgli il trono travolto da un'insurrezione popolare, nel 1953, era stata la Cia. Non gli erano poi mancati gli ossequi di mezzo mondo. Ossequi di un'intensità proporzionata alla produzione petrolifera della Persia. Persia era il nome che lo scià preferiva per il suo paese. Lo voleva storicamente collegato all'epoca preislamica. La protezione della superpotenza americana gli era garantita. Migliaia di esperti militari venuti dagli Stati Uniti erano la prova concreta che per questi ultimi la Persia di Pahlevi era il migliore alleato nella regione, insieme a Israele. L'idea di poter essere scalzato dai religiosi non l' aveva forse mai sfiorato. Lui aveva seguito le orme del padre, umiliandoli in più occasioni. Reza scià, il genitore, aveva destituito la vecchia dinasta Qajar e si era proclamato imperatore nel 1925, quando era un semplice ufficiale venuto dalla gavetta. Imitando il turco Ataturk, suo grande ispiratore, entrava a cavallo nelle moschee per dimostrare in quale conto tenesse la religione e i religiosi. Cosi aveva fondato una nuova dinastia, quella dei Pahlevi, giudicati dei parvenus da chi poteva vantare un antico sangue reale.”

“Mi è capitato da giovane reporter di frequentare i principali personaggi di quella lunga tragedia africana – Lumumba Tschombé, Kasavubu, Mobutu…- e francamente non so se l'avvenire del Congo-Zaire sarebbe stato diverso, migliore, se invece di Mobutu fosse rimasto in sella uno dei perdenti. Ma il ricordo che ho di Lumumba è quello di un uomo che non ebbe il tempo – come ho detto – di corrompersi. Era un ambiziosissimo sognatore. Mobutu era un uomo d'azione. Un uomo di mano.”

Variante: Mi è capitato da giovane reporter di frequentare i principali personaggi di quella lunga tragedia africana - Lumumba Tschombé, Kasavubu, Mobutu...- e francamente non so se l'avvenire del Congo-Zaire sarebbe stato diverso, migliore, se invece di Mobutu fosse rimasto in sella uno dei perdenti. Ma il ricordo che ho di Lumumba è quello di un uomo che non ebbe il tempo - come ho detto - di corrompersi. Era un ambiziosissimo sognatore. Mobutu era un uomo d'azione. Un uomo di mano.