Frasi su scarpone

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema scarpone, due-giorni, tre-giorni, montagna.

Frasi su scarpone

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“Teneva diciott'anne Sarchiapone, | era stato cavallo ammartenato, | ma,.. ogne bella scarpa 'nu scarpone | addeventa c' 'o tiempo e cu ll'età.”

Totò (1898–1967) attore, commediografo, paroliere, poeta e sceneggiatore italiano

da Sarchiapone e Ludovico
Poesie, A livella

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“Non m'interessa parlare della notte che cambiò la vita, che ha reso il mio carattere per sempre sospettoso e diffidente. Avevo visto la durezza della guerra. Il giorno prima con i miei amici, partigiani, giocavamo a calcio, il giorno dopo erano nella chiesetta, cadaveri, sfigurati in viso dagli scarponi chiodati. Ho visto la fucilazione dei gerarchi fascisti, ero a piazzale Loreto quando appesero Mussolini a testa in giù come un maiale, sapevo cos'era la cattiveria, ma ignoravo l'infamia. Ho aspettato due mesi che Compagnoni venisse a darmi una pacca sulla schiena, a dirmi che aveva fatto una fesseria, a chiedere scusa, perché può capitare di essere vigliacchi, ma deve anche capitare di ammetterlo. Invece niente, invece sono finito sul banco degli accusati, ero io la carogna, non loro che avevano mentito sull'uso delle bombole, delle maschere, sull'orario del balzo finale alla vetta. Nella relazione ufficiale di Desio che il Cai ha accettato è sbagliata la quota del mio bivacco, quella del campo di Compagnoni e Lacedelli, l'uso e la durata delle bombole di ossigeno, niente affatto esaurito prima dei duecento metri di dislivello sotto il K2, e l'ora in cui dettero l'assalto alla vetta. E tutto questo perché? Perché l'impresa oltre ad avere successo doveva essere anche eroica. Far vedere che gli italiani erano stati non solo bravi, ma anche straordinari. Ne abbiamo fatto una montagna di merda, coperta di menzogne, perfino la stampa straniera ci chiede "perché?". E tutto questo perché non riusciamo ad essere un paese pulito, dobbiamo strumentalizzare le occasioni, la verità, sporcare gli uomini. L' Italia è un paese di complici, dove non esiste solidarietà tra onesti, ma solo scambio tra diversi interessi, dove il sogno di Desio doveva restare immacolato. Dove solo io potevo essere infangato, disprezzato, accusato. Non solo, ma qualsiasi controversia non viene mai affrontata, si preferisce accantonarla, non prendere la responsabilità di una scelta. Mentre oggi agli idoli sportivi imbottiti di droga tutto viene perdonato perché sono l'immagine del paese. E se solo guardo quello che passa in tv mi viene schifo: quelle persone sull'isola, che si fanno riprendere, quella buffonata. Con quale rispetto verso i padri dell'avventura, verso chi ha cercato frontiere e parole nuove come Melville, Jack London e Stanley? Io sul K2 in una notte del '54 sono quasi morto, ma quello che mi ha ucciso è questo mezzo secolo di menzogna. Ho urlato così tanto quella notte nella mia disperazione che adesso non voglio avere più voce. La puzza del K2 la lascio a voi, io preferisco respirare […].”

Walter Bonatti (1930–2011) alpinista italiano
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“Era una di quelle persone malvagie per natura. Aveva gli occhi in fuori, il collo corto, largo, con un porro scuro dietro. E i pugni come mattoni. Quando tornava a casa, mi bastava il rumore dei suoi scarponi in corridoio, il tintinnio delle chiavi, il suo canticchiare. Quando si infuriava, soffiava dal naso e serrava gli occhi, come fosse sprofondato nei pensieri, poi si strofinav la faccia e diceva: "va bene, ragazzina, va bene" e sapevi che la tempesta stava per scoppiare, e niente l'avrebbe fermata. Nessuno poteva aiutarti. A volte bastava che si strofinasse la faccia o soffiasse attraverso i baffi e io vedevo nero. Da allora ne ho incrociati altri uomini cosi. Mi piacerebbe poter dire diversamente. Ma purtroppo è la verità. E ho imparato che, se scavi un po', scopri che sono tutti uguali, chi più chi meno. Alcuni sono più raffinati, lo ammetto. Possono persino avere del fascino e tu ci puoi cascare. Ma in realtà sono tutti ragazzini infelici che sguazzano nella loro stessa rabbia. Si sentono vittime. Non hanno ricevuto quello che si meritavano. Nessuno li ha amati abbastanza. Naturalmente si aspettano che sia tu ad amarli. Vogliono essere coccolati, cullati, rassicurati. Ma è un errore accontentarli. Non sono in grado di accettare ciò che ricevono, ciò di cui hanno più bisogno. La conclusione è che ti odiano. Ma è un tormento senza fine, perché non riescono ad odiarti quanto meriti, e l'infelicità, le scuse, le promesse, l'abiura, lo squallore, tutto questo non finisce mai.”

E l'eco rispose

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“L'abitato superiore, con necropoli di incinerati che rivelano la presenza di guerrieri-pastori giustificata da necessità di difera della strada rivierasca che vi passava, era chiamato in dialetto Crées, nome celtico pure, indicante la presenza di abitazioni in pietra; quello inferiore, con sepolture più tarde di inumati era invece Piaàg, di probabile derivazione latina da plaga. Ebbene, la popolazione del primo villaggio era estroversa, allegra, malleabile, piuttosto variabile nelle opinioni e nei rapporti sociali, a costituzione familiare in cui l'uomo faceva sentire maggiormente la propria podestà; alla sera le vie del paese erano animate sino alla mezzanotte; al mattino, in compenso, gli uomini si levavano tardi e andavano al lavoro sulla montagna a giorno fatto; non era raro il caso che sue bisticciassero oggi, venendo anche alle mani, e che domani li si incontrasse a braccetto. Al contrario la gente di sotto era piuttosto taciturna, sensibilmente introversa. Se nasceva uno screzio tra famiglie, ne veniva un'avversione che durava talora per generazioni. La donna era più considerata che nell'altro villaggio e il marito le si rivolgeva con il "voi", anziché col "tu" come lassù. Al mattino – e io ho fra i ricordi della mia fanciullezza il battere a notte sul selciato sotto le mie finestre degli scarponi di chi passava – gli uomini andavano al lavoro prima che baluginasse l'alba; alla sera, viceversa, dopo le otto le vie del paese diventavano deserte. La parola data era sempre mantenuta e assai difficile era far mutar parere. […] I diversi caratteri dei due paesi portarono, all'inizio di questo secolo, a comportamenti assai diversi di fronte alla depressione in atto. Mentre la gente di sotto emigrava piuttosto che contrarre un debito, quelli di sopra ipotecarono con facilità anche le terre, allorché accennò il ruttiamo e, buoni muratori quali erano, costruirono case d'affitto procurandosi denaro a prestito. Rimontarono la china mentre, di sotto, il paese, un tempo più fiorente per territorio ricco di campi e di boschi, si spopolava.”

Pietro Pensa (1906–1996) ingegnere e dirigente d'azienda italiano

Origine: Noi gente del Lario, p. 496

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“Massimo Carrera. Scarpone? Pilastro!”

Sandro Veronesi (1959) scrittore italiano

I difensori

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