Frasi su agrario

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema agrario, riforma, stato, essere.

Frasi su agrario

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“[Sulla riforma agraria in India] Se anche mancava la sicurezza contro i tumulti popolari o la rivoluzione, direi che la "sistemazione permanente”

William Bentinck (1774–1839) politico inglese

... ] ha questo grande vantaggio [... ] di aver creato un vasto corpo di ricchi proprietari terrieri profondamente interessati alla continuità del dominio britannico e con un controllo completo della massa del popolo. (1829; citato in Chomsky 2003, p. 257)

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“[In riferimento al disegno di legge sui DICO] E dire che noi abbiamo sudato lacrime e sangue per fare la riforma agraria e per dare la terra ai contadini. Invece, oggi vogliono dare il contadino al contadino.”

Giulio Andreotti (1919–2013) politico, scrittore e giornalista italiano

Origine: Dall'intervista di Claudia Terracina, «Mia madre diceva: guardati dai gay» http://web.archive.org/web/20160304193338/http://www.senato.it/notizie/RassUffStampa/070301/dlx0j.tif, Il Messaggero, 1º marzo 2007, p. 2.

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“Io sono nato il 23 giugno 1923. Dal 28 ottobre 1922, da otto mesi, poco meno, Benito Mussolini era salito al potere con la sua solita ridicola marcia su Roma, fatta in vagone letto. Penso Mussolini in pigiama, o forse in camicia (non nera, speriamo!) farsi la barba la mattina del 27 ottobre all'arrivo a Roma, dopo la sveglia del conduttore, con il giornale ed il caffè! Otto mesi dopo, in Piazza Calderini sono nato: e debbo quindi arguire di essere stato concepito un po' prima di quei fatidici giorni, in una Bologna ormai attesa al destino, ormai quasi pacificata, in vista di un futuro finalmente pieno di promesse. Alla fine di settembre del 1922, mio padre [Aldo Valori] era ancora al Resto del Carlino, il giornale degli agrari emiliani e romagnoli, il giornale liberal-massonico-conservatore che Missiroli aveva diretto e Monicelli spinto verso il fascismo alla fine di un processo di evoluzione incerto e prudente, ma senza speranza di liberazione dell'ormai decisiva rivoluzione reazionaria. Mio padre si trovò coinvolto in quella vicenda. Mi sono chiesto spesso negli ultimi anni dopo la seconda guerra mondiale, perché il babbo aderisse al fascismo. Se ripenso a tutta la vicenda, durata in fondo pochi anni, debbo concludere che noi non comprenderemo mai completamente questo dramma. Il babbo, per educazione e carattere, per formazione culturale e morale, non poteva essere fascista nel senso che ha acquistato in seguito questa parola. Estraneo ad ogni violenza, mansueto di carattere e di modi, anche se molto passionale ed impulsivo, (specialmente negli anni della giovinezza e della maturità), non poteva trovare la sua adesione al Fascismo squadrista. Né poteva trovare, romantico e liberale com'era affinità con il Mussolinismo (culto puerile e comodo della personalità).”

Michele Valori (1923–1979) urbanista e architetto italiano

Posta fatta in casa

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“Meglio, in politica, avere rappresentato venti bandiere che nessuna? – scrisse pensando a lui Benedetto Croce. Indro Montanelli nella sua biografia di Garibaldi, Luigi Magni nel suo film Il generale ce lo hanno rappresentato come un simpatico birbante. E anche Nico Perrone […] ci presenta una non schematica riabilitazione: anche a sorpresa, rispetto a un titolo che sembrerebbe ben altrimenti critico. È vero, riconosce, Liborio Romano era un voltagabbana. Ma non per volgare tornaconto personale, bensì sempre al servizio di progetti autenticamente riformisti. In campo penale, ad esempio, si dovette al suo pur breve passaggio per il governo delle Due Sicilie l'abolizione della pena barbarica delle legnate. E in campo sociale fu promotore alla Camera di una proposta di riforma agraria che forse contribuì al suo isolamento politico più ancora delle troppe giravolte. Naturalmente, molto dipende poi dal modo in cui si vuole valutare il passaggio dal Regno delle Due Sicilie al Regno d'Italia. Perrone non nasconde affatto i nodi dell'Unità, dall'accentramento brutale alla feroce repressione del brigantaggio. Ma non indulge neanche sull'opposta retorica della monarchia borbonica come mitica età dell'oro: prima ancora dei bersaglieri contro i briganti erano stati i soldati di Ferdinando I a tagliare teste in quantità per reprimere la rivolta del Cilento del 1828, e gli investimenti infrastrutturali e industriale che pur la dinastia borbonica aveva fatto si concentravano a Napoli dimenticando il resto del Regno. Romano, a suo modo, era stato appunto fautore di un fallito progetto di riscatto del Sud accettando la nuova logica unitaria, ma salvaguardandone gli interessi specifici.”

Nico Perrone (1935) saggista, storico e giornalista italiano

da il Foglio, 27 luglio 2010

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“Sembra che Pol Pot concepisse sé stesso come un erede dell'impero di Angkor Wat, i cui sovrani regnavano da questi templi durante il decimo secolo. Nell'ideologia dei Khmer Rossi, il comunismo veniva raramente menzionato. Invece, c'era «Angka», ovvero «l'Organizzazione», che esigeva la schiavitù in una società agraria senza città o macchine.”

John Pilger (1939) giornalista australiano

It seems that Pol Pot imagined himself as an heir to the empire of Angkor Wat, whose kings ruled from these temples in the tenth century. In Khmer Rouge ideology, communism was seldom mentioned. Instead, there was the "angka" or "organisation", which demanded slavery in an agrarian society without towns or machines.
Variante: Sembra che Pol Pot si vantava da erede dell'impero di Angkor Wat, i cui re regnavano su questi templi durante il decimo secolo. Nell'ideologia dei Khmer Rossi, il comunismo veniva appena menzionato. Invece, c'era «Angka», ovvero «l'Organizzazione», che insisteva sulla schiavitù in una società agraria senza città o macchine.

“Lo scià era stato un despota a tratti illuminato e innovatore, a tratti incline alla repressione e ignaro della rivolta che covava tra i sudditi. Aveva regnato trentasette anni e anche lui aveva fatto la sua Rivoluzione bianca. In particolare una riforma agraria che non aveva colpito troppo i latifondisti. A restituirgli il trono travolto da un'insurrezione popolare, nel 1953, era stata la Cia. Non gli erano poi mancati gli ossequi di mezzo mondo. Ossequi di un'intensità proporzionata alla produzione petrolifera della Persia. Persia era il nome che lo scià preferiva per il suo paese. Lo voleva storicamente collegato all'epoca preislamica. La protezione della superpotenza americana gli era garantita. Migliaia di esperti militari venuti dagli Stati Uniti erano la prova concreta che per questi ultimi la Persia di Pahlevi era il migliore alleato nella regione, insieme a Israele. L'idea di poter essere scalzato dai religiosi non l' aveva forse mai sfiorato. Lui aveva seguito le orme del padre, umiliandoli in più occasioni. Reza scià, il genitore, aveva destituito la vecchia dinasta Qajar e si era proclamato imperatore nel 1925, quando era un semplice ufficiale venuto dalla gavetta. Imitando il turco Ataturk, suo grande ispiratore, entrava a cavallo nelle moschee per dimostrare in quale conto tenesse la religione e i religiosi. Cosi aveva fondato una nuova dinastia, quella dei Pahlevi, giudicati dei parvenus da chi poteva vantare un antico sangue reale.”

Bernardo Valli (1930) giornalista e scrittore italiano
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“La nostra nazione è una nazione rimasta allo stadio agrario e per questo non può essere altro che una nazione religiosa, una nazione che crede nei miracoli.”

Sukarno (1901–1970) politico indonesiano

Origine: Citato in Passa per la "democrazia guidata, la via al socialismo in Indonesia?" https://archivio.unita.news/assets/main/1959/11/24/page_003.pdf, L'Unità, 24 novembre 1959

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