Frasi di Fëdor Dostoevskij
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235 citazioni che rivelano la saggezza del grande maestro della letteratura

Scoprite la profonda saggezza di Fëdor Dostoevskij attraverso le sue citazioni più famose. Dall'esplorazione della natura umana e della ricerca del significato alle complessità dell'amore e dell'autodistruzione, queste citazioni offrono uno sguardo alla mente di uno dei più grandi maestri della letteratura di tutti i tempi.

Fedor Michajlovič Dostoevskij, noto anche come Teodoro Dostojevski, è stato uno scrittore e filosofo russo considerato uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi di tutti i tempi. Nato nel 1821 a Mosca da una famiglia di origini nobili, Dostoevskij ha studiato ingegneria militare ma ha presto abbandonato la carriera per dedicarsi completamente alla letteratura. Ha scritto molti romanzi e racconti che esplorano temi come la sofferenza umana, la moralità e il senso della vita.

La vita di Dostoevskij è stata segnata da diverse tragedie personali, tra cui la morte del padre quando era ancora giovane e le sue continue crisi epilettiche. Nel 1849 è stato arrestato per partecipazione a un movimento politico e condannato a morte, ma alla fine è stato graziato e deportato in Siberia per lavori forzati. Questa esperienza ha influenzato profondamente le sue opere successive, che esplorano i temi dell'alienazione sociale e della redenzione individuale. Durante la sua carriera letteraria, Dostoevskij ha scritto capolavori come "Delitto e castigo", "L'idiota" e "I fratelli Karamazov". È morto nel 1881 a San Pietroburgo, lasciando un'impronta indelebile nella letteratura mondiale.

✵ 11. Novembre 1821 – 28. Gennaio 1881   •   Altri nomi Fiodor Michajlovič Dostojevskij, Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Fjodor Michailowitsch Dostojewski
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Fëdor Dostoevskij Frasi e Citazioni

“La malattia e l'umore morboso stanno alla radice della nostra stessa società, e intanto chi osa notarlo e indicarlo ha subito contro di sé lo sdegno generale.”

Origine: Dalla lettera a E. A. Štakenštejner, 15 giugno 1879; citato in Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov, introduzione di Igor Sibaldi, Mondadori, 1994.

“Noi siamo tutti fino all'ultimo altrettanti Fëdor Pávlovič.”

Origine: Dal quaderno di appunti per i Karamàzov, 1880; citato in Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov, introduzione di Igor Sibaldi, Mondadori, 1994.

“Pascal ha detto una volta: filosofo è colui il quale si ribella alla filosofia. Che meschina filosofia!”

Origine: Da Lettere, traduzione di Olga Resnevic, Carabba Editore, 2011.

“I fratelli Karamàzov”

1879

“Con una simile bellezza si può rovesciare il mondo!”

Adelaìda guardando un ritratto di Natasja Filippovna; I, 7)

“Questo c'è di buono", notò, "che non si soffre a lungo quando la testa viene troncata."
"Così dicono tutti, e perciò hanno inventato quella così detta ghigliottina. A me invece balenò allora il sospetto: e se invece è quello il colmo della sofferenza? Questo vi parrà strano, vi farà ridere… eppure… Prendiamo, per esempio, la tortura: strazio, piaghe, scricchiolio di ossa, dolore materiale insomma, che distrae la vittima dalle sofferenze morali, fino a che non venga la morte. Ma il dolore principale, il più forte, non è già quello delle ferite; è invece la certezza, che fra un'ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi ora, subito, l'anima si staccherà dal corpo, e che tu, uomo, cesserai irrevocabilmente di essere un uomo. Questa certezza è spaventosa. Tu metti la testa sotto la mannaia, senti strisciare il ferro, e quel quarto di secondo è più atroce di qualunque agonia. Questa non è una mia fantasia: moltissimi ci sono che pensano come me. E ve ne dico anche un'altra. Uccidere chi ha ucciso è, secondo me, un castigo non proporzionato al delitto. L'assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante. La vittima del brigante è assalita di notte, in un bosco, con questa o quell'arma; e sempre spera, fino all'ultimo, di potersi salvare. Si sono dati casi, in cui l'assalito, anche con la gola tagliata, è riuscito a fuggire, ovvero, supplicando, ha ottenuto grazia dai suoi assalitori. Ma con la legalità, quest'ultima speranza, che attenua lo spavento della morte, ve la tolgono con una certezza matematica, spietata. Attaccate un soldato alla bocca di un cannone, e accostatevi con la miccia: chi sa! Penserà il disgraziato, tutto è possibile… Ma leggetegli la sentenza di morte, e lo vedrete piangere o impazzire. Chi ha mai detto che la natura umana può sopportare un tal colpo senza perdere la ragione? A che dunque questa pena mostruosa e inutile? Un solo uomo potrebbe chiarire il punto; un uomo cui abbiamo letto la sentenza di morte, e poi detto:"Va', ti è fatta la grazia!". Di un tal strazio anche Cristo ha parlato… No, no, è inumana la pena, è selvaggia e non può né deve essere lecito applicarla all'uomo".”

Myskin; II, 2

“Ma sarà meglio parlarvi di un altro individuo, che conobbi or fa un anno. C'era, nel suo caso, una circostanza strana: dico strana, perché rara. Era stato condannato, insieme con altri, alla fucilazione. Per non so che delitto politico, doveva essere giustiziato. Gli fu letta la sentenza di morte. Se non che, venti minuti dopo, arrivò la grazia, cioè la commutazione della pena. Nondimeno, durante quei venti o quindici minuti, egli visse nella ferma convinzione che di lì a poco sarebbe morto. […] E così egli distribuì il suo tempo: due minuti per dire addio ai compagni, due altri per raccogliersi e pensare a sé, un minuto per dare un'occhiata intorno. Aveva ventisette anni; era sano e robusto. Accomiatandosi da uno dei compagni, si ricordava di aver fatto una domanda insignificante e di averne aspettato con interesse la risposta. Agli addii successero i due minuti di raccoglimento. Sapeva già a che cosa avrebbe pensato: "Adesso sono vivo; ma fra tre minuti, che sarò? Qualcuno o qualche cosa, e dove?". Non lontano sorgeva una chiesa, e la cupola dorata splendeva nel sole. Aveva guardato fisso a quella cupola: gli pareva che quei raggi ripercossi fossero la sua nuova natura e che fra tre minuti egli si sarebbe con essi confuso. L'ignoto che lo attendeva era certamente terribile; ma più assai l'atterriva l'assiduo pensiero: "E se non morissi? se la vita continuasse?… che eternità! e tutta, tutta a mia disposizione… Oh allora, di ogni minuto io farei una esistenza e non un solo ne perderei!" Questo pensiero a tal segno lo invadeva, che avrebbe voluto esser fucilato all'istante."
[…] "Siete un po' saltuario, principe", osservò Aleksandra. "Che volete provare, insomma? che ogni attimo della vita è prezioso, e che a volte cinque minuti valgono più di un tesoro? E sia, ammettiamolo pure… Ma, scusate, a quel vostro amico che vi contava i suoi spasimi gli commutarono la pena, non è così?… In altri termini, secondo lui e secondo voi, gli fecero dono di una vita senza fine, di un tesoro. E che ne fece egli di questo tesoro? tenne poi conto scrupoloso di ogni minuto?"
"Nient'affatto! Glielo domandai una volta, e mi confessò di averne perduti molti."
"Cosí abbiamo una prova che utilizzare tutti, tutti i minuti della vita è impossibile… Per una ragione o per l'altra, fatto sta che non è possibile.”

II, 5)