Frasi su insofferenza

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema insofferenza, proprio, mondo, due-giorni.

Frasi su insofferenza

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“[Su Luigi Pirandello] E voglio finire con un aneddoto che riguarda il Pirandello siciliano e che, nella dilagante stupidità di oggi, che tende a relegare la Sicilia in una particolare etnia (si ha il pudore di non usare la parola "razza": ma soltanto di non usarla), assume un grande significato. Nel 1932 Emilio Cecchi, che dirigeva la Cines, comunica a Pirandello l'intenzione di trarre un film dalla novella Lontano. Ma ha uno scrupolo: "nella novella come sta scritta, il marinaio norvegese si sente irresistibilmente attratto da una vita più vasta, e dai ricordi della patria, per il fatto di trovarsi legato, con il matrimonio, ad un ambiente meno che meschino; in fondo è in lui l'insofferenza dell'uomo appartenente a civiltà più energiche e libere, naufragato in un'isola abitata da gente ristretta, fra la quale egli sente mancarsi il fiato". Cecchi, scrittore che tuttora amo, era affetto da una invincibile idiosincrasia nei riguardi della Sicilia, dei siciliani: e la si può più immediatamente riscontrare nei suoi Taccuini, oltre che in questa sua lettura della novella Lontano. La novella non sta scritta come lui la leggeva; e Pirandello infatti così risponde: "Caro Cecchi, il contrasto non è tra due civiltà; ma tra due vite naturalmente diverse, quella di un uomo del Nord e quella di una donna del Sud; e il dramma che ne nasce, il dramma di restar "lontano" tra i vicini più vicini: la propria donna, il proprio figlio. Non c'è dunque da farsi scrupoli sulla natura di quelli a cui Lei mi accenna. Tutt'altro! Non era, né poteva essere nelle mie intenzioni di rappresentar barbara o di civiltà inferiore la Sicilia…"”

Leonardo Sciascia (1921–1989) scrittore e saggista italiano

Naturalmente, il film non si fece. Ma queste parole di Pirandello restano, ci restano.

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“Recentemente a Teano Sedicíno arrivò il console. Sua moglie espresse il desiderio di prendere un bagno nello stabilimento riservato agli uomini. Fu dato incarico al questore di Teano Sedicíno, Marco Mario, di mettere fuori dallo stabilimento quelli che vi si stavano bagnando. La moglie riferisce poi al marito che il bagno le è stato lasciato libero con ritardo, e che non era pulito. Fu piantato allora un palo in mezzo al fòro e vi fu condotto Marco Mario, l'uomo più insigne della sua città; gli furono tolti gli abiti e fu battuto con le verghe. Quelli di Cales quando seppero la cosa decretarono che nessuno usasse più il bagno pubblico, fin tanto che fosse sul posto un magistrato romano. A Ferentino per la stessa ragione un nostro pretore ordinò l'arresto dei questori: uno si buttò giù dalle mura, l'altro fu preso e battuto con le verghe. Mi basterà un solo esempio per mostrarvi quanta sia la sfrenatezza e l'insofferenza dei giovani. Pochi anni or sono fu mandato dall'Asia, con funzione di legato, un giovane che ancora non aveva rivestito magistrature. Viaggiava in lettiga. Un bovaro di Venosa s'imbatté nel convoglio e, ignorando chi fosse il viaggiatore, per scherzo domandò se portavano un cadavere. Quello, come lo udì, ordinò di posare la lettiga e con le corregge, con cui la lettiga era legata, lo fece battere fino a che rese l'ultimo respiro.”

Gaio Sempronio Gracco (-154–-121 a.C.) politico romano

1968

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“I duecento metri mondiali di Mennea per noi sono stati rabbia e poesia, talento e geometria, insofferenza e razionalità. E la sua maniera di correrli ci ha sempre fatti restare appesi al finale, meglio di un film giallo: ce la farà o sarà preso prima del traguardo? E lui lì ad arrancare, almeno così sembrava, e invece ecco che lui spuntava dalla curva, ecco che quando lo davano per finito lui cominciava a mangiare i metri e lì veramente cominciavano a scoppiare i cuori, anche quelli più introversi. E lui che finalmente aveva combattuto e vinto il mostro interno che lo azzannava alzava il dito. Non come il padrone che reclama una sua proprietà, ma come uno schiavo che si libera delle catene e mostra orgoglioso il frutto della sua liberazione. Non era un'Italia atletica quella di Mennea: jogging, esercizio fisico, palestra non andavano ancora di moda. E non era un'Italia mentalmente attrezzata ad affrontare alla pari gli avversari. Con Mennea qualcosa cambiò: il suo record dimostrò che non eravamo solo un paese pieno di talenti, spesso incompiuti, ma che avevamo anche la scienza e l'applicazione per costruire un primato che sarebbe durato quasi vent'anni. Lo sprint non era più Little Italy. In questo Mennea è stato e continua ancor oggi ad essere la nostra diversità. Ci ha fatti correre, soffrire, vincere. E soprattutto vivere controvento la nostra fragilità.”

Emanuela Audisio (1953) giornalista e scrittrice italiana

la Repubblica
Origine: Da Mennea. Il campione controvento http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/12/08/mennea-il-campione-controvento.html, 8 dicembre 1999.

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“A Poussin, nulla piaceva del Caravaggio, secondo lui venuto al mondo per distruggere la pittura. Né ci si deve meravigliare di una tale insofferenza, perché se Poussin cercava il decoro nelle proprie composizioni, il Caravaggio si lasciava trascinare dal vero naturale così come gli appariva: erano ai poli opposti. Tuttavia, a considerare l'essenza reale della pittura, che consiste nell'imitare ciò che si vede, bisogna ammettere che il Caravaggio la possedeva a fondo […] ha imitato così perfettamente il soggetto che null'altro può desiderarsi.”

André Félibien (1619–1695) architetto e storico francese

da Entretiens sur les Vies et sur les Ouvrages des plus excellens Peintres Anciens et Modernes, tomo terzo, sesto colloquio, 1725, pp. 194-195 http://www.archive.org/stream/entretienssurle00unkngoog#page/n210/mode/2up
Origine: Citato in Francesca Marini (a cura di), Caravaggio, 1ª ed., introduzione di Renato Guttuso, Rizzoli/Skira, Milano, 2003. ISBN 8817008087

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“Quanta resistenza | e quanta esagerata insofferenza | qualche volta anche per niente. | E questa strana unione | che ogni giorno si trasforma | lentamente.”

Giorgio Gaber (1939–2003) cantautore, commediografo e regista teatrale italiano

da Ora che non son più innamorato, n. 2
I borghesi

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“Il manifesto di convocazione, nella sua indubitabile rozzezza (dire che "dal '43 a oggi in Italia non è cambiato niente" è, per dirla con Grillo, una notevole belinata), era di contenuto squisitamente politico. Almeno due dei tre punti in oggetto (negare ai condannati il diritto di rappresentare il popolo, impedire alle segreterie dei partiti di nominare di straforo i candidati senza passare attraverso il vaglio degli elettori) sono molto difficilmente liquidabili come "qualunquisti". Esprimono, al contrario, un'insofferenza per larga parte condivisibile e condivisa da milioni di italiani, molti dei quali (senza bisogno di vaffanculo) hanno appena fatto la coda per il referendum Segni contro questa indecorosa legge elettorale proprio perché non sopportano più il piglio castale e l'autoreferenzialità malata delle varie leadership di partito. E chiedono la partecipazione diretta dei cittadini alla scelta della propria classe dirigente. Più controverso il terzo punto, perché non è detto che congedare un ottimo politico dopo due sole legislature coincida con il miglioramento della qualità professionale della classe politica (anzi). Ma quello che lascia il segno, vedendo decine di migliaia di cittadini mobilitarsi attorno a Grillo, alle sue drastiche parole d'ordine, al suo ringhio esasperato, perfino alla sua presunzione di Unto dalla Rete, è constatare, piaccia o non piaccia, che un uomo famoso ma isolato, popolare ma ex televisivo, antimediatico suo malgrado o fors'anche per sua scelta, sia in grado di mobilitare una folla che molti dei piccoli partiti, pur radicatissimi nei telegiornali e sui giornali, neanche si sognano.”

Michele Serra (1954) giornalista, scrittore e autore televisivo italiano

9 settembre 2007
la Repubblica

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“Anche se toccando il tema dell’Inquisizione, dell’ortodossia che difendeva e della politica cui obbediva, del suo universo giuridico, dei mezzi e delle persone di cui si serviva, immediatamente si e portati a una traduzione visiva in cui prevalentemente gioca la memoria dei quadri del Greco o di Zurbaran, a guardar bene è la pittura di Murillo che, al di là dell’atmosfera da idillio, può meglio spiegare le manifestazioni eterodosse di un vastissimo arco temporale e la conseguente reazione del Sant’Uffizio. E può, soprattutto, spiegarcele a livello di eterodossia spicciola, triviale o soltanto blasfema.
Perchè sarà magari possibile cogliere nella pittura di Murillo influssi dottrinali dell’Inquisizione o dei gesuiti, ma quel che appare più evidente è che siamo di fronte a un pittore che interpreta il sentire religioso del popolo nel modo più autentico e semplice, con una familiarità alle cose della fede da cui è facile travalicare in una eresia di tipo quietista o in un culto talmente umano da diventare blasfemo o che in vera e propria bestemmia si rovescia.
I santini che da secoli moltiplicano e diffondono le immagini del Murillo come di nessun altro pittore, sono in questo senso una prova. Il mondo sacro che egli rappresenta — cosi sospeso tra il terrestre e il celeste, tra la natura e la transumana beatitudine — è un mondo familiarizzabile, familiarizzante; e quindi, nel momento in cui delude, nel momento in cui appare estraneo, in cui non interviene a stornare sventure e a correggere la sorte, bestemmiabile.
Bisogna anche aggiungere che la santità, nelle rappresentazioni di questo pittore, sembra essere un attributo della buona salute, del buon nutrimento, della domestica pace economica: e da ciò l’insinuarsi, nei momenti più affannati e affamati del mondo contadino, di un sentimento che può assomigliarsi all’invidia e comunque di insofferenza, di avversione.”

Leonardo Sciascia (1921–1989) scrittore e saggista italiano

Ore di Spagna