Frasi su mitragliatrice

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema mitragliatrice, ancora, paura, armato.

Frasi su mitragliatrice

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“Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d'acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l'affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d'incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l'incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell'incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l'intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.”

American Pastoral

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“[Al padre che gli chiedeva se avesse paura] Papà, in Corea mi sono alzato in volo per ottanta volte, e mi sparavano addosso da tutte le parti. Adesso non c'è nessuno che punti le mitragliatrici contro di me. Lo spazio è libero, e questa è un'impresa preparata e studiata, non un'avventura.”

Neil Armstrong (1930–2012) astronauta e aviatore statunitense, primo uomo a posare piede sulla Luna nel 1969

Origine: La luna è nostra – le storie e i drammi di uomini coraggiosi, Rizzoli, 1969.

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“È una macchina diabolica, l'esercito, e il militarismo un ingranaggio mortale. Lo sai qual è la ricetta per fotter le reclute fin dal momento in cui arrivano alla caserma, Bernard? Prima si schierano sul piazzale coi loro abiti borghesi affinché ricordino d'appartenere a una società priva di uguaglianza, vale a dire un consorzio nel quale c'è chi veste bene e chi veste male. Poi gli si infila l'uniforme affinché si illudano d'accedere a un sodalizio di uguali, vale a dire un consorzio nel quale tutti vestono i medesimi panni. Subito dopo si rimbecilliscono con le esercitazioni e le marce che stroncano. E-marciando-cantate-così-tenete il passo. (Però il passo non c'entra, Bernard. C'entra che a cantare non pensano, e a non pensare non s'accorgono di venir fottuti.) Infine si cancella la loro personalità, la loro individualità. Perché il soldato non deve essere un individuo, una persona: deve esser parte d un nucleo perfetto che agisce all'unisono. E lo sai qual è l'ingrediente per ottenere un nucleo perfetto o quasi perfetto? L'odio. L'odio collettivo cioè diretto verso lo stesso bersaglio, e non il bersaglio rappresentato dal nemico che la guerra ti procura o ti procurerà: il bersaglio rappresentato da un paria coi gradi di sergente. Il sergente becero, ignorante, di cui subisci la tirannia che gli è stata delegata dal tenente al quale è stata delegata dal capitano al quale è stata delegata dal maggiore al quale è stata delegata dal colonnello al quale è stata delegata dal generale al quale è stata delegata dalla Macchina, a cui hanno insegnato a berciare come a un cantante si insegna a gorgheggiare do-re-mi-fa-sol-la. Sì, gli hanno insegnato a usare la voce per comandarti e sfotterti e umiliarti, Bernard. E lui la usa nel modo prescritto. «Sei laureato, tu? Bene, allora va' a pulire i cessi.» Al contadino e all'operaio, invece: «Razza di piercolo, da che fogna vieni? Non sai nemmeno contare, somaro?» Poi dispetti, addestramenti forzati, canagliate, fino a quando laureati e contadini e operai lo odiano in uguale misura, e il nucleo quasi perfetto è ottenuto. "Quasi" perché manca il tocco finale, l'ingrediente decisivo, e indovina qual è il tocco finale. L'ingrediente decisivo. È l'amore. L'amore concentrato sullo stesso bersaglio che stavolta è il tenente o meglio ancora il capitano. Insomma l'ufficiale buono, comprensivo, paterno, che ascolta e consola e magari si rivolge a te con il Lei. «È laureato, lei? Bravo, me ne rallegro. È contadino, lei? Bravo, me ne compiaccio. È operaio, lei? Bravo, me ne complimento.» Oppure: «Sì, la rampogna del sergente è stata eccessiva: lo rimprovererò a mia volta. Voglio essere un amico, per voi, in caso di bisogno rivolgetevi a me.» Bisogno? Che bisogno? Ormai l'unico bisogno di cui hanno bisogno è ricevere amore, darlo, e dall'odio per il sergente passano all'amore per il tenente o il capitano. Il-mio-capitano. Per il loro capitano accettano qualsiasi sacrificio, qualsiasi martirio, sono pronti a crepare. Con lui salteranno fuori dalla trincea, con lui si lanceranno contro la mitragliatrice che falcia, con lui uccideranno il nemico cioè il disgraziato che dall'altra parte della barricata ha subìto l'identico trattamento, con lui creperanno come bovi al macello. E questo, inutile dirlo, senza che sospettino d'esser le vittime d'un lurido imbroglio, le ruote di un ingranaggio ben oliato e ben collaudato. Perenne.”

I, IV, I; pp. 110–112
Insciallah

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“I guerrieri erano tenuti a rispettare tutta una serie di regole di condotta. Non dovevano mai stringere la mano di un non-simba, non dovevano lavarsi, né pettinarsi i capelli o tagliarsi le unghie, altrimenti sarebbero diventati di nuovo vulnerabili. Molte di quelle regole erano meno bizzarre di quanto sembrasse a prima vista. La maggior parte dei simba non aveva uniformi ed era praticamente priva di armi da fuoco. Andavano a combattere a torso nudo, coperti di ramoscelli e di pelli di animali e muniti solamente di lance, machete e randelli. Con tale equipaggiamento dovevano affrontare l'armata governativa di Mobutu che, pur essendo ancora un'accozzaglia di persone male organizzate, era comunque dotata di mitragliatrici semiautomatiche. Quelle regole magiche imponevano ai simba una forma di disciplina militare. Il sesso era proibito, perché altrimenti i guerrieri si sarebbero abbandonati a stupri continui. Farsi prendere dal panico era proibito, altrimenti si sarebbero dati alla fuga. Guardarsi dietro era proibito, così come il nascondersi. Il guerriero simba doveva gettarsi contro il nemico urlando "Simba, simba! Mulele mai! Mulele mai! Lumumba mai! Lumumba oyé!" (Leone, leone, acqua di Mulele, acqua di Lumumba, viva Lumumba!). Se avessero gridato quelle parole, i proiettili degli avversari si sarebbero trasformati in acqua al contatto con i loro torsi. Quelli che venivano colpiti evidentemente non avevano rispettato una qualche regola di condotta. Assurdo? Sì, ma non più assurdo di determinati attacchi durante la Prima guerra mondiale, in cui si ordinava ai soldati di avanzare sotto un fuoco di sbarramento. E la cosa bizzarra era che non erano soltanto i simba a credere nel loro potere magico, ma anche gli uomini dell'esercito governativo. I soldati di Mobutu avevano una paura del diavolo di quei bruti isterici e drogati che si gettavano contro di loro gridando e con gli occhi sgranati.”

Origine: Congo, pp. 346-347

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“Lei, signor generale, doveva venire da me con una mitragliatrice, non una stilografica; sappia intanto che io possiedo tre sole case possibili: il palazzo del governo, il carcere e il cimitero.”

Arturo Frondizi (1908–1995) politico argentino

Origine: Citato in Come Frondizi dominò con freddo coraggio l'ultimo tentativo di insurrezione militare http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0078_01_1961_0002_0003_17112107/, La Stampa, 3 gennaio 1961