Frasi di Leonardo Sciascia
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Leonardo Sciascia è stato uno scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, politico e critico d'arte italiano.

Sciascia è considerato una delle più grandi figure letterarie del Novecento italiano ed europeo. All'ansia di conoscere le contraddizioni della sua terra e dell'umanità, unì un senso di giustizia pessimistico e sempre deluso, ma che non rinuncia mai all'uso della ragione umana di matrice illuminista, per attuare questo suo progetto. All'influenza del relativismo conoscitivo di Luigi Pirandello si possono ricondurre invece l'umorismo e la difficoltà di pervenire a una conclusione che i suoi protagonisti incontrano: la realtà non sempre è osservabile in maniera obiettiva, e spesso è un insieme inestricabile di verità e menzogna.Ebbe anche un'attività politica importante, attestato inizialmente su posizioni di socialismo democratico e marxismo moderato, poi di radicalismo liberale, garantismo e socialdemocrazia. Dapprima fu consigliere comunale a Palermo per il Partito Comunista Italiano, ed in seguito deputato in Parlamento per il Partito Radicale, infine fu simpatizzante del Partito Socialista. Wikipedia  

✵ 8. Gennaio 1921 – 20. Novembre 1989
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Leonardo Sciascia Frasi e Citazioni

“In Rome, Naples, et Florence en 1817 dice di trovarsi ad Ancona il 27 maggio e a Loreto il 30. In Rome, Naples, et Florence en 1817 del 1826, alla data 29 maggio 1817, dice di trovarsi a Reggio Calabria. La verità è che dai primi di maggio alla fine di luglio di quel 1817 se ne stette a Parigi. A Reggio Calabria non andò quell'anno, né mai andrà. La sua visione, dalle finestre dell'albergo di Reggio, delle case di Messina; il suo desiderio di attraversare quel braccio di mare e di arrivare in Sicilia – l'ottica, insomma, e lo stato d'animo, sembrano provenire da una lettera, che probabilmente non gli era ignota, di Paul Louis Courier (del 15 aprile 1806, appunto da Reggio): "Noi la vediamo come dalle Tuileries voi vedete il faubourg Saint-Germain; il canale non è, in fede mia, più largo; e tuttavia abbiamo difficoltà ad attraversarlo. Lo credereste? Se soltanto mancasse il vento, noi faremmo come Agamennone: sacrificheremmo una fanciulla. Grazie a Dio, ne abbiamo in abbondanza. Ma non abbiamo una sola barca, ecco il guaio. Ci dicono che arriveranno; e fino a quando avrò questa speranza, credetemi, signora, che non volgerò lo sguardo indietro, verso i luoghi dove voi abitate, anche se tanto mi piacciono. Voglio vedere la patria di Proserpina, e sapere perché il diavolo ha preso moglie proprio in quel paese."”

Stendhal e la Sicilia in Fatti diversi di storia letteraria e civile, Opere 1984.1989, p. 696, Bompiani

“[Su I Viceré] Dopo I Promessi sposi, il più grande romanzo che conti la letteratura italiana.”

Origine: Citato in Croce sbagliò "I Viceré" è un grande romanzo http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/11/10/croce-sbaglio-vicere-un-grande-romanzo.html, la Repubblica, 10 novembre 2007.

“[Su Luigi Pirandello] Comunque, per schematicamente abbreviare, i punti da cui partire per un più "attendibile " discorso su Pirandello, per una più libera e acuta lettura dell'opera sua, a me pare siano questi: 1) la Sicilia: non solo come "luogo delle metamorfosi" delle creature in personaggi, dei personaggi in creature, della vita nel teatro e del teatro nella vita – un luogo, insomma, in cui più evidente, concitato e violento si fa "el gran teatro del mundo"; ma il luogo, anche, di una cultura e di una tradizione da cui Pirandello decolla verso spazi vertiginosi (e qui bisogna tenere un certo conto della sua iniziale e poi alquanto persistente affinità al mondo realistico, fiabesco e anche "spiritistico" di Luigi Capuana); 2) la "religiosità": che, si capisce, non ha nulla a che fare con le religioni rivelate, con la chiesa e con le chiese, anche se molto ha a che fare con l'essenza evangelica del Cristianesimo, ma che soprattutto si riconosce in quella che tout court possiamo dire la sua religione dello scrivere, dello scrivere come vivere, dello scrivere invece di vivere ("la vita" diceva "o la si vive o la si scrive": e nella sua scelta di scriverla c'è evidentemente un religioso eroismo); 3) il suo rapporto con Montaigne, mai finora scrutato, e l'antagonistica attrattiva che certamente Pascal esercitò su di lui: e ci vorrebbe una ricerca da elaboratore elettronico – ma meglio se fatta da mente umana – per estrarre dall'opera di Pirandello i momenti diciamo pascaliani, di sentimento e sgomento cosmico particolarmente. E avendo fatto questi due nomi – Montaigne e Pascal, grandi pilastri nell'edificio della letteratura francese – ne discende in definitiva la necessità di esaminare e puntualizzare il rapporto di Pirandello con quella cultura: rapporto che finirà col rivelarsi molto più importante ed effettuale di quello, che è ormai luogo comune riconoscergli, con la cultura tedesca. Ed anche questo punto, cui ho voluto dare rilevanza a sé, in verità si appartiene al Pirandello "siciliano", poiché il rapporto con la Francia è un dato inalienabile della cultura siciliana, e di grande intensità particolarmente lo era negli anni formativi di Pirandello.”

Origine: Dal discorso commemorativo pronunciato a Palermo nel 1986 per il cinquantenario della morte di Luigi Pirandello; riportato in Sciascia: Pirandello http://www.parodos.it/archivio/sciascia_pirandello.htm, Parodos.it.

“[Su Andrea Finocchiaro Aprile] Ho contraddetto e mi sono contraddetto. Ma le contraddizioni e gli errori non ci consentono di ignorare i meriti di un uomo che si è battuto per tutta la vita affinché la Sicilia tornasse ad occupare in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo il posto che la sua storia, la posizione geografica e la operosità del suo popolo le hanno assegnato.”

Origine: Citato in Santo Trovato, Il ricordo di Andrea Finocchiaro Aprile: "Pensò e sognò una Sicilia Nazione" http://palermo.meridionews.it/articolo/13832/il-ricordo-di-andrea-finocchiaro-aprile-penso-e-sogno-una-sicilia-nazione/, Meridionews, 14 marzo 2012.

“Scrittori e artisti, poeti e pittori, attraverso la particolarità e le particolarità della Sicilia, hanno raggiunto l'universalità.”

da Come si può essere siciliani, in Id., Fatti diversi di storia letteraria e civile, Adelphi, Milano 2009, p. 20

“A pensarci bene, sono poi questi strumenti (l'ironia e il gusto) che impediscono lo scatto verso la grandezza. Un grande artista, un grande scrittore, non ha ironia e non ha gusto; e così anche i grandi momenti della letteratura, dell'arte, sono quelli che mancano di gusto e non sono governati dall'ironia.”

citato in Paolo Nifosì, Leonardo Sciascia: la passione di un "incompetente", in La bella pittura. Cfr Leonardo Sciascia e le arti figurative, catalogo della mostra, Racalmuto 1999, a cura di Paolo Nifosì, Edizioni Salarchi Immagini, Comiso 1999, p. 19

“L'aspetto peggiore della morte non è tanto il non esserci quanto il fatto che altri daranno una interpretazione delle tue parole e della tua opera.”

Origine: Citato in BBC a Palermo, nuove indagini sul furto del Caravaggio http://www.siciliainformazioni.com/66250/bbc-a-palermo-nuove-indagini-sul-furto-del-caravaggio, Siciliainformazioni.com, 7 gennaio 2014.

“Anche se toccando il tema dell’Inquisizione, dell’ortodossia che difendeva e della politica cui obbediva, del suo universo giuridico, dei mezzi e delle persone di cui si serviva, immediatamente si e portati a una traduzione visiva in cui prevalentemente gioca la memoria dei quadri del Greco o di Zurbaran, a guardar bene è la pittura di Murillo che, al di là dell’atmosfera da idillio, può meglio spiegare le manifestazioni eterodosse di un vastissimo arco temporale e la conseguente reazione del Sant’Uffizio. E può, soprattutto, spiegarcele a livello di eterodossia spicciola, triviale o soltanto blasfema.
Perchè sarà magari possibile cogliere nella pittura di Murillo influssi dottrinali dell’Inquisizione o dei gesuiti, ma quel che appare più evidente è che siamo di fronte a un pittore che interpreta il sentire religioso del popolo nel modo più autentico e semplice, con una familiarità alle cose della fede da cui è facile travalicare in una eresia di tipo quietista o in un culto talmente umano da diventare blasfemo o che in vera e propria bestemmia si rovescia.
I santini che da secoli moltiplicano e diffondono le immagini del Murillo come di nessun altro pittore, sono in questo senso una prova. Il mondo sacro che egli rappresenta — cosi sospeso tra il terrestre e il celeste, tra la natura e la transumana beatitudine — è un mondo familiarizzabile, familiarizzante; e quindi, nel momento in cui delude, nel momento in cui appare estraneo, in cui non interviene a stornare sventure e a correggere la sorte, bestemmiabile.
Bisogna anche aggiungere che la santità, nelle rappresentazioni di questo pittore, sembra essere un attributo della buona salute, del buon nutrimento, della domestica pace economica: e da ciò l’insinuarsi, nei momenti più affannati e affamati del mondo contadino, di un sentimento che può assomigliarsi all’invidia e comunque di insofferenza, di avversione.”

Ore di Spagna

“Vale la pena soffermarci su quest’incubo [della fine della letteratura e delle arti], per come Borges ce lo racconta in una sua conversazione sui sogni e gli incubi.
Il terribile sogno è del poeta inglese William Wordsworth e si trova nel secondo [rectius: quinto] libro del poema The Prelude — un poema autobiografico, come dice il sottotitolo. Fu pubblicato nel 1850, l’anno stesso della morte del poeta. Allora non si pensava, come invece oggi, a un possibile cataclisma cosmico che annientasse ogni grande opera umana, se non l’umanità interamente.
Ma Wordsworth ne ebbe la preoccupazione e, in sogno, la visione.
Ed ecco come Borges l’assume e riassume nel suo discorso: “Nel sogno la sabbia lo circonda, un Sahara di sabbia nera. Non c’è acqua, non c’è mare. Sta al centro del deserto — nel deserto si sta sempre al centro — ed è ossessionato dal pensiero di come fare per sfuggire al deserto, quando vede qualcuno vicino a lui. Stranamente, è un arabo della tribù dei beduini, che cavalca un cammello e ha nella mano destra una lancia.
Sotto il braccio sinistro ha una pietra; nella mano una conchiglia. L’arabo gli dice che ha la missione di salvare le arti e le scienze e gli avvicina la conchiglia all’orecchio; la conchiglia è di straordinaria bellezza. Wordsworth ci dice che ascoltò la profezia (‘in una lingua che non conoscevo ma che capii’): una specie di ode appassionata, che profetizzava che la Terra era sul punto di essere distrutta dal diluvio che l’ira di Dio mandava. L’arabo gli dice che è vero, che il diluvio si avvicina, ma che egli ha una missione: salvare l’arte e le scienze. Gli mostra la pietra. La pietra, stranamente, è la Geometria di Euclide pur rimanendo una pietra. Poi gli avvicina la conchiglia, che è anche un libro: è quello che gli ha detto quelle cose terribili. La conchiglia è, anche, tutta la poesia del mondo, compreso, perche' no?, il poema di Wordsworth.
Il beduino gli dice: ‘Devo salvare queste due cose, la pietra e la conchiglia, entrambi libri’. Volge il viso all’indietro, e vi è un momento in cui Wordsworth vede che il volto del beduino cambia, si riempie di orrore. Anche lui si volge e vede una gran luce, una luce che ha inondato metà del deserto. Questa luce è quella dell’acqua del diluvio che sta per sommergere la Terra. Il beduino si allontana e Wordsworth vede che è anche don Chisciotte, che il cammello è anche Ronzinante e che allo stesso modo che la pietra è il libro e la conchiglia il libro, il beduino è don Chisciotte e nessuna delle due cose ed entrambe nello stesso tempo”…
l’immagine di don Chisciotte che si allontana invincibilmente richiama quella dipinta da Daumier, forse contemporaneamente. E ci è lecito, in aura borgesiana, chiederci se il poeta e il pittore non abbiano fatto lo stesso sogno.”

Ore di Spagna

“Personalmente, per quel tanto che conosco della storia dell'lnquisizione spagnola in Sicilia, nella mostra di Madrid mi imbatto in vecchie conoscenze e particolarmente in quella di Luis Rincon de Paramo (o Paramo del Rincon) che, per la verità, prima che nei fasti dell'lnquisizione di Sicilia, ho conosciuto nel Dizionario Filosofico di Voltaire, appunto alla voce Inquisizione. “Questo Paramo — dice Voltaire — era un uomo semplice, esattissimo nelle date, che non trascurava alcun fatto che avesse un qualche interesse, e calcolava col massimo scrupolo il numero delle vittime umane che il Sant’Uffizio aveva immolato in tutti i paesi”; e prima lo aveva proclamato “uno dei più rispettabili scrittori e dei più vivi splendori del Sant’Uffizio”. Il fatto è che il libro di Paramo lo divertiva, gli permetteva di affilarvi sopra la più micidiale ironia. Si direbbe, anzi, che, una volta imbattutosi nel libro di Paramo, Voltaire non abbia sentito il bisogno di cercare altro, sull’Inquisizione; e ragionevolmente. Paramo risponde così pienamente, così esattamente all’avversione laica nei confronti dell’istituzione, del fanatismo su cui si fonda, delle sue procedure e dei suoi uomini, che basta soltanto riassumerlo o citarlo testualmente per conseguire l’effetto di alimentare e ingigantire quell’avversione. Voltaire lo riassume: oggettivamente, impassibilmente. Che è sempre il modo migliore di fronteggiare il fanatismo, anche se ben sappiamo che non sempre il ridicolo uccide (avendo attraversato il fascismo negli anni suoi più comici, tra la conquista dell’Etiopia e la seconda guerra mondiale, abbiamo coi nostri occhi constatato che al ridicolo non solo si sopravvive ma se ne può trarre nutrimento e forza).”

Ore di Spagna

“Che resta di una mostra, se non il catalogo?”

Ore di Spagna