Frasi su quesito

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema quesito, essere, risposta, arte.

Frasi su quesito

Fred Uhlman photo
Thomas Mann photo

“L'uomo non vive soltanto la sua vita personale come individuo, ma – cosciente o incosciente – anche quella della sua epoca e dei suoi contemporanei, e qualora dovesse considerare dati in modo assoluto e ovvio i fondamenti generali e obiettivi della sua esistenza ed essere altrettanto lontano dall'idea di volerli criticare quanto lo era in realtà il buon Castorp, è pur sempre possibile che senta vagamente compromesso dai loro difetti il proprio benessere morale. Il singolo può avere di mira parecchi fini, mete, speranze, previsioni, donde attinge l'impulso ad elevate fatiche e attività; se il suo ambiente impersonale, se l'epoca stessa, nonostante l'operosità interiore, è in fondo priva di speranze e prospettive, se furtivamente gli si rivela disperata, vana, disorientata e al quesito formulato, coscientemente o no, ma pur sempre formulato, di un ultimo significato, ultrapersonale, assoluto, di ogni fatica e attività, oppone un vacuo silenzio, ecco che proprio nel caso di uomini dabbene sarà quasi inevitabile un'azione paralizzante di questo stato di cose, la quale, passando attraverso il senso morale psichico, finisce con l'estendersi addirittura alla parte fisica e organica dell'individuo. Per aver voglia di svolgere un'attività notevole che sorpassi la misura di ciò che è soltanto imposto, senza che l'epoca sappia dare una risposta sufficiente alla domanda "a qual fine?", occorre o una solitudine e intimità morale che si trova di rado ed è di natura eroica o una ben robusta vitalità.”

La montagna incantata

Thomas Mann photo
Papa Giovanni Paolo I photo

“Prendendo le mosse da un classico quesito di Mario Pagano, celebre pensatore e giurista napoletano di fine Settecento ("un reo, che chiama il complice, per quante ragioni può ciò fare?"), l'agile volumetto [Il truglio] dovuto alla penna fluida dello storico Nico Perrone si sviluppa su due piani diversi, spesso tra loro intersecati […]. Da un canto vi è il piano della vicenda storica, sullo sfondo dei fermenti giacobini alla vigilia della Repubblica partenopea, soprattutto incentrata sul famoso processo istruito nel 1794 contro Emmanuele De Deo, accusato di lesa maestà per avere cospirato contro la corona borbonica e, perciò, condannato a morte al termine di un giudizio celebrato in forma sommaria, senza reali garanzie e sulla base di prove di scarsa consistenza. […] D' altro canto, e proprio in rapporto alla realtà processuale del tempo, vi è il piano della analisi dedicata a un singolare istituto (il "truglio", per l' appunto, da cui trae titolo il volume) consistente in una sorta di transazione tra accusato e accusatore sulla entità della pena da infliggere al primo, al di fuori di un normale processo, anche sulla base delle dichiarazioni rese dal medesimo a carico di sé o di altri […]. È facile immaginare a quali oscure manovre potesse dar luogo un istituto del genere, soprattutto nel contesto di un sistema sostanzialmente antigarantistico come quello borbonico.”

Vittorio Grevi (1942–2010) giurista e editorialista italiano

da Corriere della sera, 24 novembre 2000

Valerio Evangelisti photo
Nico Perrone photo

“Prendendo le mosse da un classico quesito di Mario Pagano, celebre pensatore e giurista napoletano di fine Settecento ("un reo, che chiama il complice, per quante ragioni può ciò fare?"), l'agile volumetto dovuto alla penna fluida dello storico Nico Perrone si sviluppa su due piani diversi, spesso tra loro intersecati […]. Da un canto vi è il piano della vicenda storica, sullo sfondo dei fermenti giacobini alla vigilia della Repubblica partenopea, soprattutto incentrata sul famoso processo istruito nel 1794 contro Emmanuele De Deo, accusato di lesa maestà per avere cospirato contro la corona borbonica e, perciò, condannato a morte al termine di un giudizio celebrato in forma sommaria, senza reali garanzie e sulla base di prove di scarsa consistenza. […] D' altro canto, e proprio in rapporto alla realtà processuale del tempo, vi è il piano della analisi dedicata a un singolare istituto (il "truglio", per l' appunto, da cui trae titolo il volume) consistente in una sorta di transazione tra accusato e accusatore sulla entità della pena da infliggere al primo, al di fuori di un normale processo, anche sulla base delle dichiarazioni rese dal medesimo a carico di sé o di altri […]. È facile immaginare a quali oscure manovre potesse dar luogo un istituto del genere, soprattutto nel contesto di un sistema sostanzialmente antigarantistico come quello borbonico.”

Nico Perrone (1935) saggista, storico e giornalista italiano

Vittorio Grevi

Frans Eemil Sillanpää photo
Benedetto Varchi photo

“Amo meglio d'esser tenuto ignorante, che bugiardo.”

Benedetto Varchi (1503–1565) umanista, scrittore e storico italiano

quesito IX
L'Ercolano

Costanzo Preve photo

“Negli ultimi decenni in Italia è divenuta corrente l'abitudine a discutere se il termine nicciano di Übermensch debba essere tradotto come Superuomo o come Oltreuomo. A questo rispettabile quesito filologico si unisce spesso anche un'inutile e fuorviante diatriba politica, sul fatto cioè che il termine Superuomo è di "destra", mentre il termine Oltreuomo è di "sinistra". Questa diatriba è ideologica, non filosofica. Si tratta di una diatriba interminabile, che rischia di non cogliere mai il centro storico del problema. Infatti Nietzsche, che, come persona, ai suoi tempi era ideologicamente piuttosto di "destra", come filosofo (che è la sola cosa che conta) non è né di destra né di sinistra, in quanto ha di mira soprattutto una critica radicale dell'intera cultura borghese, cui Hegel, aveva a suo tempo conferito un profilo "ideale" non coincidente con il capitalismo e con la sua dimensione economica. In una fase storica in cui il capitalismo si globalizza e si universalizza nel mondo intero, ed è perciò del tutto post-borghese (e post-proletario), la filosofia di Nietzsche non cambia di natura, ma muta di funzione. Quando si trattava di bastonare i proletari rivoluzionari, lo Übermensch era un Superuomo. Una volta bastonati e resi innocui i proletari, quando si tratta di sciogliere e distruggere gli ultimi resti dell'eticità borghese hegeliana, lo Übermensch può diventare un innocuo ed educato Oltreuomo. È questa la chiave storica per affrontare il segreto di Nietzsche.”

Costanzo Preve (1943–2013) filosofo e saggista italiano

Origine: I Secoli Difficili, p. 96

Roberto Longhi photo

“[Michelangelo Merisi da Caravaggio] Dalle esperienze luministiche dei suoi precursori, fra cui erano anche quel Lotto che il Lomazzo […] chiama "maestro del dare il lume" e quel Savoldo in cui il Pino esalta "le ingegnose descrittioni dell'oscurità", il Caravaggio scopre "la forma delle ombre": uno stile dove il lume, non più asservito, finalmente, alla definizione plastica dei corpi su cui incide, è anzi arbitro coll'ombra seguace della loro esistenza stessa. Il principio era per la prima volta immateriale; non di corpo ma di sostanza; esterno ed ambiente all'uomo, non schiavo dell'uomo […] Che cosa importasse questo nuovo stile nei confronti col Rinascimento ch'era invece partito dall'uomo, e vi aveva sopra edificato una superba mole antropocentrica, cui anche la luce era anodina servente, è facile intendere. All'artificio, al simbolo drammatico dello stile attendeva ora il lume medesimo, non l'idea che l'uomo poteva aver formato di se stesso. Ma quando in un battito del lume una cosa assommasse, e poiché non era più luogo a preordinarla nella forma, nel disegno, nel costume, e neppure nella rarità del colore, essa non poteva sortire che terribilmente naturale. Il dirompersi delle tenebre rilevava l'accaduto e nient'altro che l'accaduto; donde la sua inesorabile naturalezza e la sua inevitabile varietà, la sua incapacità di "scelta". Uomini, oggetti, paesi, ogni cosa sullo stesso piano di costume, non in una scala gerarchica di degnità…”

Roberto Longhi (1890–1970) storico dell'arte italiano

da Quesiti caravaggeschi, "Pinacotheca", 1928-1929; citato in Caravaggio, pp. 186-187

“Iura novit curia? L'interrogativo, più che lecito, è doveroso di fronte al principio di diritto affermato dalla I Sezione penale della Corte di cassazione nella presente sentenza (così definita dalla stessa Corte, anche se parrebbe trattarsi di una ordinanza), a proposito dei criteri di computo dei termini di durata della custodia cautelare fissati per le diverse fasi del giudizio, con particolare riguardo all'incidenza su tale computo dei giorni in cui si sono tenute le udienze. […] Perché mai la Corte di cassazione sia incorsa in un simile sbandamento interpretativo, tanto più in una vicenda processuale di estrema delicatezza, che di per sé avrebbe richiesto il massimo di ponderazione da parte dei giudici della I Sezione penale (i quali, invece, non sembrano essersi impegnati come avrebbero dovuto, almeno a giudicare dalla frettolosità e dalla modestia della motivazione addotta a sostegno della loro pronuncia), è un quesito cui non saprebbe darsi una risposta soddisfacente. Probabilmente la Corte è stata sviata, oltreché dall'andamento della discussione di fronte alla Corte d'assise d'appello, e dall'erronea impostazione già emergente dalle ordinanze impugnate), anche dalla sorprendente assenza di iniziativa mostrata dal rappresentante della procura generale, che nel chiedere l'annullamento delle medesime ordinanze non si è neppure prospettato — a quanto pare — il problema della necessaria neutralizzazione ope legis dei giorni di udienza ai sensi dell'art. 297, 4° comma c. p. p. Senonché tutto ciò non basta a giustificare il contenuto approssimativo e superficiale della decisione annotata, almeno per chi creda ancora nella Corte di cassazione quale «organo supremo della giustizia», cui compete di assicurare «l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge». Il bilancio è mortificante, come sempre quando capita — e non è la prima volta, sebbene si tratti fortunatamente di episodi isolati — di registrare errori di diritto tanto vistosi da parte della Corte di cassazione. Ed allora, se è permesso riprendere l'interrogativo con cui si sono aperte queste brevi osservazioni «a caldo», occorre davvero domandarsi fino a che punto sia consentito ai giudici della Corte regolatrice di ignorare il diritto di cui dovrebbero essere i massimi tutori: o forse si deve ritenere che, almeno per certi giudici, debba ormai valere l'inedito brocardo per cui ignorantia legis excusat?”

Vittorio Grevi (1942–2010) giurista e editorialista italiano

da Una erronea interpretazione in tema di congelamento dei giorni di udienza ai fini dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio, In Giurisprudenza italiana, 1991, Disp. 5a, Parte II

Richard Bach photo
George Schaller photo

“Se [gli studiosi] valutassero le prestazioni mentali dei babbuini con una serie di quesiti di tipo sociale piuttosto che con pezzetti di plastica di forma e colore differenti, dovrebbero incominciare a porsi delle domande sul proprio quoziente di intelligenza.”

George Schaller (1933) naturalista statunitense

Origine: Dalla prefazione a Shirley Strum, Un viaggio nel mondo dei babbuini; citato in Vinciane Despret, Quando il lupo vivrà con l'agnello: sguardo umano e comportamenti animali, traduzione di Grazia Regoli, Elèuthera, Milano, 2004, p. 138. ISBN 88-85060-90-0

Robert Musil photo
Eugenio Scalfari photo

“Mi resta ancora da esaminare i tre quesiti proposti ai tavoli delle firme da Beppe Grillo. Molti che hanno firmato distinguono infatti la firma di quei quesiti dall'adesione al "grillismo". La distinzione è assolutamente legittima: si può firmare anche valutando il movimento dei "Vaffa" per ciò che è. Ma esaminiamoli nella sostanza quei tre quesiti. Il primo stabilisce che tutti i cittadini che concorrono a cariche elettive debbano essere scelti attraverso elezioni primarie preliminari. Questo principio mi sembra meritevole di essere accolto. Il Partito democratico, tanto per dire, ha deciso di farlo proprio. Tutto sta a come saranno organizzate queste primarie. Grillo per esempio ha definito una "mascalzonata" l'esclusione di Pannella e di Di Pietro dalle candidature per la leadership del Pd, ignorando che entrambi fanno parte di altri partiti e anzi li guidano e non hanno accettato di abbandonarli all'atto della candidatura. Come se un nostro condomino, invocando questa qualifica, pretendesse di decidere assieme a noi e ai nostri figli questioni strettamente familiari. Dov'è la logica? Il secondo quesito vieta ai membri del Parlamento di farne parte per più di due legislature. Questo divieto è una pura sciocchezza. Ci obbligherebbe a rinunciare ad esperienze talvolta preziose. Forse anche a molti vizi acquisiti durante l'esercizio del mandato. Ma quei vizi non possono essere presupposti e affidati all'automatismo di una norma. Spetta agli elettori discernere tra vizi e virtù e decidere del loro voto. Per di più una norma automatica del genere sarebbe incostituzionale perché priverebbe l'elettore di una sua essenziale facoltà che è quella di poter votare per chi gli pare. Che cosa sarebbe successo per esempio se nei primi anni Cinquanta fosse stato impedito agli elettori democristiani di votare una terza volta per De Gasperi, a quelli comunisti per Togliatti, ai socialisti per Nenni e ai repubblicani per Pacciardi o La Malfa? Il terzo quesito – impedire ai condannati fin dal primo grado di giurisdizione di far parte del Parlamento – sembra a prima vista ineccepibile. Per tutti i reati? E fin dal primo grado di giurisdizione? La presunzione d'innocenza è un principio sancito dalla nostra Costituzione; per modificarlo ci vuole una legge costituzionale, non basta una legge ordinaria. I reati d'opinione andrebbero sanzionati come gli altri? Quando Gramsci, Pertini, Saragat, Pajetta, furono arrestati io credo che gli elettori di quei partiti li avrebbero votati e mandati in Parlamento se un Parlamento elettivo fosse ancora esistito e se quei partiti non fossero stati sciolti d'imperio. Personalmente ho fatto un'esperienza in qualche modo consimile: entrai alla Camera dei deputati nel 1968 sull'onda dello scandalo Sifar-De Lorenzo nonostante o proprio perché ero stato condannato in primo grado dal tribunale di Roma. Lo ricordo perché è un piccolissimo esempio di una proposta aberrante.”

Eugenio Scalfari (1924) giornalista, scrittore e politico italiano
Luigi Gui photo

“Per Moro occorre andare oltre le emozioni, oltre anche ai quesiti non ancora risolti delle modalità della sua prigionia, del suo sacrificio e delle motivazioni dei suoi assassini, e cercare di continuare ad approfondire l'attualità della sua eredità politica.”

Luigi Gui (1914–2010) politico italiano

Origine: Da un articolo su Prospettive del mondo, citato in La dc ricorda Moro (ucciso 5 anni fa) http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,2/articleid,1027_02_1983_0121_0002_19052313/, La Stampa, 9 maggio 1983.