Frasi su arcivescovo

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema arcivescovo, stato, dio, cardinale.

Frasi su arcivescovo

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“Se tuttavia notate che [gli eretici] non sono disposti a modificare la loro condotta, desideriamo che con grande zelo Voi li arrestiate. Se sono schiavi, domateli con botte e torture al fine di ottenere il miglioramento; ma se sono liberi, devono essere indotti al pentimento con una dura carcerazione.”

Papa Gregório I (540–604) 64° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

Origine: Da un'epistola a Gianuario (arcivescovo di Cagliari); citato in Walter Peruzzi, Il cattolicesimo reale attraverso i testi della Bibbia, dei papi, dei dottori della Chiesa, dei concili, Odradek, Roma, 2008, p. 211.

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“Ma se la natura è realmente strutturata con un linguaggio matematico e la matematica inventata dall'uomo può giungere a comprenderlo, ciò significa che qualcosa di straordinario si è verificato: la struttura oggettiva dell'universo e la struttura intellettuale del soggetto umano coincidono […].”

Papa Benedetto XVI (1927) 265° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

dal Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI all'Arcivescovo Rino Fisichella, Rettore della Pontificia Università Lateranense, in occasione del Convegno sul tema: "Dal telescopio di Galileo alla cosmologia evolutiva. Scienza, filosofia e teologia in dialogo" http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/pont-messages/2009/documents/hf_ben-xvi_mes_20091126_fisichella-telescopio_it.html, 26 novembre 2009
Discorsi

“[A proposito del terremoto di Sendai del 2011] Mons. Orazio Mazzella, (1860-1939) arcivescovo di Rossano Calabro, all'indomani della tragedia fece una serie di riflessioni che vi riassumo (La provvidenza di Dio, l'efficacia della preghiera, la carità cattolica ed il terremoto del 28 di Dicembre 1908: cenni apologetici, Desclée e C., Roma 1909).
In primo luogo le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio, che ci scuote e ci richiama col pensiero ai nostri grandi destini, al fine ultimo della nostra vita, che è immortale.
Infatti se la terra non avesse pericoli, dolori, catastrofi, eserciterebbe sopra di noi un fascino irresistibile, non ci accorgeremmo che essa è un luogo d'esilio, e dimenticheremmo troppo facilmente, che noi siamo cittadini del cielo. […]
In secondo luogo, osserva l'arcivescovo di Rossano Calabro, le catastrofi sono talora esigenza della Giustizia di Dio, della quale sono giusti castighi.
Alla colpa del peccato originale si aggiungono infatti, nella nostra vita, le nostre colpe personali; nessuno di noi è immune dal peccato e può dirsi innocente e le nostre colpe possono essere personali o collettive: possono essere le colpe di un singolo o quelle di un popolo: ma mentre Dio premia o castiga i singoli nell'eternità è sulla terra che premia o castiga le nazioni, perché le nazioni non hanno vita eterna, hanno un orizzonte terreno. […]
Terzo punto infine: le grandi catastrofi sono spesso una benevola manifestazione della misericordia di Dio.
Abbiamo detto infatti che nessuno, mettendosi la mano sulla coscienza, potrebbe dare a se stesso un certificato d'innocenza. Un giorno, quando il velo, che copre l'opera della Provvidenza, sarà sollevato, ed alla luce di Dio vedremo ciò che Egli avrà operato ne' popoli e nelle anime, ci accorgeremo che per molte di quelle vittime, che compiangiamo oggi, il terremoto è stato un battesimo di sofferenza che ha purificato la loro anima da tutte le macchie, anche le più lievi, e grazie a questa morte tragica la loro anima è volata al cielo prima del tempo perché Dio ha voluto risparmiarle un triste avvenire. […]
Le grandi catastrofi sono certamente un male, però non sono un male assoluto, ma un male relativo, dal quale sorgono beni di ordine superiore e più universali. La luce della fede ci insegna che le grandi catastrofi, o sono un richiamo paterno della bontà di Dio, o sono esigenze della divina giustizia, che infligge un castigo meritato, o sono un tratto della divina misericordia, che purifica le vittime aprendo loro le porte del Cielo. Perché il Cielo è il nostro destino eterno.”

Roberto de Mattei (1948) storico italiano

da Riflessioni sul mistero del male – Intervento del prof. Roberto de Mattei a Radio Maria del 16 marzo 2011; citato in Corrispondenza Romana http://www.corrispondenzaromana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1560:intervento-del-prof-roberto-de-mattei-a-radio-maria-del-16-marzo-2011&catid=138:varie&Itemid=55=, 25 marzo 2011

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“Non è cosa ridicola, che tu voglia il papa povero, e i tuoi arcivescovi di Magonza, di Colonia e di Treviri nuotanti nella ricchezza?”

Papa Pio II (1405–1464) 210° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

da una lettera a Martino Mayer; citato in Francesco Fiorentino, Il rinascimento filosofico nel Quattrocento, p. 26

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“L'attuale arcivescovo di Buenos Aires e presidente della Conferenza episcopale argentina, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, descriveva altri sacerdoti come "sovversivi"”

Horacio Verbitsky (1942) giornalista e scrittore argentino

ho trovato un documento che lo prova negli archivi del Ministero degli Esteri – negli anni della dittatura, quando una simile etichetta poteva costare la vita a chiunque. E non a caso, in seguito si è battuto strenuamente contro la politica di verità, memoria e giustizia intrapresa dai governi democratici del paese.
Origine: Dall'intervista di Guido Caldiron, Bergoglio e i rapporti della Chiesa con la dittatura argentina http://temi.repubblica.it/micromega-online/bergoglio-e-i-rapporti-della-chiesa-con-la-dittatura-argentina-intervista-a-horacio-verbitsky/, repubblica.it, 14 marzo 2013.

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“Oggi [2002] la disparità dei redditi è a livelli da Medioevo, quando le economie sono soffocate dal sistema feudale e "l'arcivescovo di Salisburgo è proprietario di un terzo del Pil della regione dove risiede"”

Eric Hobsbawm (1917–2012) storico e scrittore britannico

Anni interessanti. Autobiografia di uno storico, Rizzoli, Milano, 2002, p. 101. ISBN 88-17-87032-3

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“Tutti coloro che hanno svolto pubbliche funzioni in Sicilia sono rimasti e sono tuttora in qualche modo «collusi» con la mafia. Lo furono quotidianamente, e per secoli, il governo e la polizia borbonica. Lo fu Garibaldi che in essa trovò, dopo lo sbarco, la sua prima alleata. Lo furono i governi nazionali sia di destra che di sinistra. Lo fu Giolitti che pure non scese mai, a ch'io sappia, a sud di Napoli. Lo fu il presidente della vittoria, Orlando, che quando tornava a Palermo, la prima visita che rendeva non era al prefetto né all'arcivescovo, ma al capomafia. Tentò di non esserlo Mori che aveva licenza di uccidere garantita da un regime totalitario, e ci rimise il posto. Lo sono stati tutti i politiconi e politicastri della Prima Repubblica. Anche il cautissimo Andreotti? Può darsi, attraverso i suoi proconsoli in loco. Ma il Tribunale deve aver capito che l'imputato non era lui. Era il costume morale e politico della nostra vita pubblica, sul quale un Tribunale non ha, né può né deve avere competenza. […] E il problema, secondo me, è questo: che fin quando noi italiani crederemo di salvarci dalla peste mandando sul rogo una strega o un untore, dalla peste non ci libereremo mai.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

da Il tribunale della storia https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/24/TRIBUNALE_DELLA_STORIA_co_0_991024441.shtml, 24 ottobre 1999, p. 1
Corriere della Sera

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“[Fabrizio] chiedeva perdono a Dio per molte cose; ma, fatto notevole, non pensò neppure ad annoverare tra i suoi peccati il progetto di diventare arcivescovo, per la semplice ragione che il conte Mosca era primo ministro e giudicava quel posto e i suoi svariati privilegi convenienti al nipote della duchessa. Fabrizio l'aveva desiderato senza eccessivo slancio, è vero, però ci aveva pensato spesso, proprio come avrebbe fatto per un posto di ministro o di generale. Non gli era mai passato per la testa che la sua coscienza potesse avere voce in capitolo nel progetto della duchessa: e questo è un esempio concreto della strana forma di religione imparata da Fabrizio presso i gesuiti di Milano. È una religione che toglie il coraggio di pensare alle cose che non rientrano nelle abitudini, e vede nell'esame di coscienza il più grave di tutti i peccati, perché rappresenta un passo avanti verso il protestantesimo. Per sapere di cosa si è colpevoli, bisogna chiederlo al prete, oppure leggere la lista dei peccati così come appare nei libri intitolati "Preparazione al sacramento della Penitenza". Fabrizio sapeva a memoria la lista dei peccati redatta in latino; l'aveva imparata all'Accademia Ecclesiastica di Napoli. Mentre la recitava, arrivato alla voce "delitto", si era accusato davanti a Dio di avere ucciso un uomo, anche se per legittima difesa. Aveva rapidamente elencato, ma senza farci attenzione, i diversi articoli relativi al peccato di simonia (procurarsi attraverso il denaro le dignità ecclesiastiche). Se gli avessero chiesto cento luigi per diventare primo gran vicario dell'arcivescovo di Parma, avrebbe respinto la proposta con sdegno; ma, pur non mancando di intelligenza né di logica, non gli venne mai in mente che impiegare a suo vantaggio l'autorità del conte Mosca fosse una simonia. E qui trionfa l'educazione gesuitica: abituare la gente a non fare attenzione a cose più chiare della luce del sole. Un francese cresciuto all'insegna dell'interesse personale e nutrito di ironia parigina avrebbe facilmente, e in buona fede, accusato Fabrizio di ipocrisia, proprio nel momento in cui il nostro eroe apriva il suo cuore a Dio con la più grande sincerità e la più profonda commozione.”

Libro Primo – Capitolo XII
La Certosa di Parma

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