Frasi su lepre

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema lepre, mondo, stesso, ancora.

Frasi su lepre

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“"La lepre ama la polenta". Lo dice il cuoco.”

Stanisław Jerzy Lec (1909–1966) scrittore, poeta e aforista polacco

wellerismo
Pensieri spettinati

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“La lepre sempre teme, e le foglie, che caggiano dalle piante per autunno, sempre la tengano in timore e, 'l più delle volte, in fuga.”

Leonardo Da Vinci (1452–1519) pittore, ingegnere e scienziato italiano

Timore over viltà; 1979, p. 55
Bestiario o Le allegorie

“L'umorista corre con la lepre, il satirista insegue con i cani.”

Ronald Knox (1888–1957) teologo, prete e scrittore britannico

Origine: Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 14603-X

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“Il genio purtroppo non parla | per bocca sua. | Il genio lascia qualche traccia di zampetta | come la lepre sulla neve.”

Eugenio Montale (1896–1981) poeta, giornalista e critico musicale italiano

da Il genio, in Satura
Opere in versi

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“Il covo della lepre, anche se la lepre è assente, è sempre pieno di paura.”

Jules Renard (1864–1910) scrittore e aforista francese

23 settembre 1899; Vergani, p. 155
Diario 1887-1910

“Saremo come la lepre che può solo restare nella trappola o saltare nella casseruola.”

Marion Zimmer Bradley (1930–1999) scrittrice, glottoteta e curatrice editoriale statunitense

pag. 94
La signora delle Tempeste

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“La lepre. Il rumore sottilissimo della foglia che cade la mette all'erta. È presa dall'angoscia come noi, quando nella notte sentiamo scricchiolare i nostri mobili.”

Jules Renard (1864–1910) scrittore e aforista francese

settembre 1896; Vergani, p. 111
Diario 1887-1910

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“Eccola dunque col pensiero laggiù.
Le par d’essere ancora fanciulla, arrampicata sul belvedere del prete, in una sera di maggio. Una grande luna di rame sorge dal mare, e tutto il mondo pare d’oro e di perla. La fisarmonica riempie coi suoi gridi lamentosi il cortile illuminato da un fuoco d’alaterni il cui chiarore rossastro fa spiccare sul grigio del muro la figura svelta e bruna del suonatore, i visi violacei delle donne e dei ragazzi che ballano il ballo sardo. Le ombre si muovono fantastiche sull’erba calpestata e sui muri della chiesa; brillano i bottoni d’oro, i galloni argentei dei costumi, i tasti della fisarmonica: il resto si perde nella penombra perlacea della notte lunare. Noemi ricordava di non aver mai preso parte diretta alla festa, mentre le sorelle maggiori ridevano e si divertivano, e Lia accovacciata come una lepre in un angolo erboso del cortile forse fin da quel tempo meditava la fuga.
La festa durava nove giorni di cui gli ultimi tre diventavano un ballo tondo continuo accompagnato da suoni e canti: Noemi stava sempre sul belvedere, tra gli avanzi del banchetto; intorno a lei scintillavano le bottiglie vuote, i piatti rotti, qualche mela d’un verde ghiacciato, un vassoio e un cucchiaino dimenticati; anche le stelle oscillavano sopra il cortile come scosse dal ritmo della danza. No, ella non ballava, non rideva, ma le bastava veder la gente a divertirsi perché sperava di poter anche lei prender parte alla festa della vita.
Ma gli anni eran passati e la festa della vita s’era svolta lontana dal paesetto, e per poterne prender parte sua sorella Lia era fuggita di casa…
Lei, Noemi, era rimasta sul balcone cadente della vecchia dimora come un tempo sul belvedere del prete.”

Grazia Deledda (1871–1936) scrittrice italiana

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