Frasi su sapienza
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“L'arte è come il sale: dove casca condisce e dà sapienza.”

Fabio Tombari (1899–1989) scrittore italiano

Cronaca XVII
Tutta Frusaglia

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“Questa teoria, che ogni molteplicità sia soltanto apparente, che in tutti gli individui di questo mondo, per quanto si presentino in numero infinito l'uno dopo l'altro e l'uno accanto all'altro, si manifesti un essere solo e il medesimo, presente e identico in tutti e veramente esistente, questa teoria […] verrebbe voglia di dire che c'è sempre stata. Difatti essa è la dottrina principale e fondamentale dei sacri Veda, il libro più antico del mondo, del quale possediamo la parte dogmatica o, meglio, la dottrina esoterica nelle Upanishad. Là troviamo, si può dire a ogni pagina, questa grande dottrina che instancabilmente viene ripetuta in forme infinite e commentata con svariate immagini e similitudini. Non c'è da dubitare che abbia costituito il fondamento della sapienza di Pitagora […]. Tutti sanno che in essa soltanto era contenuta quasi tutta la filosofia della scuola eleatica. In seguito ne furono pervasi i neoplatonici […]. Nel secolo IX la vediamo comparire all'improvviso in Europa per merito di Scoto Eriugena il quale, preso dall'entusiasmo, si affanna a rivestirla delle forme e delle espressioni della religione cristiana. La ritroviamo tra i maomettani quale entusiastico misticismo dei Sufi. In Occidente però Giordano Bruno dovette pagare con la morte ignominiosa e crudele il fatto di non aver saputo resistere all'impulso di esprimere quella verità. Tuttavia vediamo anche i mistici cristiani invilupparcisi, loro malgrado, quando e dove compaiono. Il nome di Spinoza è identico con essa.”

Arthur Schopenhauer (1788–1860) filosofo e aforista tedesco

IV, § 22; 1981, pp. 277-278
Il fondamento della morale

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“Sono entrato nella vita sapendo che la legge è di uscirne. Come aveva detto Saint-Savin, si impersona la propria parte, chi più a lungo, chi più in fretta, e si esce di scena. Me ne sono visti molti passar davanti, altri mi vedranno passare, e daranno lo stesso spettacolo ai loro successori. D'altra parte, per quanto tempo non sono stato, e per quanto non sarò più! Occupo uno spazio ben piccolo nell'abisso degli anni. Questo piccolo intervallo non riesce a distinguermi dal niente in cui dovrò andare. Non sono venuto al mondo che per far numero. La mia parte è stata così piccola che, anche se fossi rimasto dietro alle quinte, tutti avrebbero detto lo stesso che la commedia era perfetta. E' come in una tempesta: gli uni annegano subito, altri si spezzano contro uno scoglio, altri rimangono su un legno abbandonato, ma non per molto anch'essi. La vita si spegne da sola, come una candela che ha consumato la sua materia. E ci si dovrebbe essere abituati, perché come una candela abbiamo cominciato a disperdere atomi sin dal primo momento che ci siamo accesi. Non è una gran sapienza sapere queste cose, d'accordo. Dovremmo saperle dal momento che siamo nati. Ma di solito riflettiamo sempre e soltanto sulla morte degli altri. EH sì, tutti abbiamo abbastanza forza per sopportare i mali altrui. Poi viene il momento che si pensa alla morte quando il male è nostro, e allora ci si accorge che né il sole né la morte si possono guardare fissi. A meno che non si abbiano avuti dei buoni maestri.”

The Island of the Day Before

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“Le parole sopravvivono ai sistemi perchè vivono di loro stesse: sono fuochi di memoria, segnali di trasmissione, transiti tra passato e presente, ancoraggi per evitare derive, non certo approdi definitivi, ma porti sicuri nel mare aperto della verità. Le parole, com'è noto, sono sapienti di per sè e per questo, ogni volta, prima ancora di pronunziarle bisognerebbe ascoltarle: come all'inizio. Infatti, non sono nostre, ma ci sono state donate, le abbiamo apprese.

Perchè non suonino vane è necessario che non se perda l'eco profonda, che nel dirle si sia ancora capaci di risentirle - quasi a trattenerle - per evitare che con il suono ne svanisca anche i senso. La sapienza delle parole ha preceduto la filosofia e per molti versi l'ha preparata: in essa, poi, le parole sono maturate come frutti, si sono fissate in idee, si sono trasformate in concetti.

Variamente definite, hanno acquisito spessore e pur rimanendo le stesse nel corso del tempo sono divenute polisemiche, in taluni casi anche equivoche. Una stratificazione di significati tutta da indagare. Le parole della filosofia, come del resto tutte le parole, sono poi vincolate dalla logica del contesto, ma, ora, nell'attenuarsi dei vincoli di tradizione hanno acquistato una loro singolare libertà perchè nessuno più ha l'autorità di sottoporle a una previa restrizione.

Non si sono affatto sgravate del passato, ma sono più che mai feconde in forza di quel passato: eccedono se stesse per un sovraccarico di storia che mettono a disposizione senza ipoteche per la più ampia e e libera interpretazione. Per fare una buona filosofia basta, quindi, meditare sulle sue parole, seguirle nelle loro peripezie, procedere a una loro delucidatio, vincolarle di nuovo a più alti e differenziati livelli di definizione. Consapevoli, nel far questo, di prendere decisioni su di esse, di fare, appunto, teoria.

Le parole, poi, sono depositi di sapienza, sono tradizione e perciò garanzia di continuità pur nella variazione dei significati: certo, per investigare, scoprire, bisogna disfarsi del peso del passato, ma il già noto se non costringe sostiene, rassicura, è piattaforma per il futuro, è possibilità di mettersi al riparo se si perde la rotta e si fa naufragio.”

Parole della filosofia, o dell'arte di meditare

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“Non credo che la pratica della scienza possa andar disgiunta dal coraggio. Essa tratta il sapere, che è un pro¬dotto del dubbio; e col procacciare sapere a tutti su ogni cosa, tende a destare il dubbio in tutti. […] I moti dei corpi celesti ci sono divenuti più chiari; ma i moti dei potenti restano pur sempre imperscruta-¬bili ai popoli. […] Finché l'umanità continuerà a brancolare nella sua nebbia millenaria di superstizioni e di venerande sentenze, finché sarà troppo ignorante per sviluppare le sue proprie energie, non sarà nemmeno capace di svilup¬pare le energie della natura che le vengono svelate. […] Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si li¬mitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l'uomo. E quan¬do, coll'andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall'umanità. Tra voi e l'umanità può scavarsi un abisso così grande, che ad ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universa¬le… […] Se io avessi resistito, i naturalisti avrebbero po¬tuto sviluppare qualcosa di simile a ciò che per i medici è il giuramento d'Ippocrate: il voto solenne di far uso della scienza ad esclusivo vantaggio dell'umanità. Così stando le cose, il massimo in cui si può sperare è una progenie di gnomi inventivi, pronti a farsi assoldare per qualsiasi scopo. […] Per alcuni anni ebbi la forza di una pubblica autorità; e misi la mia sapienza a disposizione dei potenti perché la usassero, o non la usassero, o ne abusassero, a seconda dei loro fini.. Ho tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può es-sere tollerata nei ranghi della scienza”

Bertolt Brecht (1898–1956) drammaturgo, poeta e regista teatrale tedesco

Galileo

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“I Cristiani quando costruivano chiese nei luoghi dei santuari pagani e accoglievano antichi capitelli e fusti di colonne nelle loro navate, si comportavano come Eracle con il leone di Nemea, come Atena con la Gorgone. Nel rapporto con il mostro, essenziale è innanzi tutto questo: che il mostro possiede o protegge o addirittura è il tesoro. Ucciderlo vuol dire incorporarlo, sostituirlo. L'eroe diventerà egli stesso il nuovo mostro, rivestito della pelle del vecchio e ornato di qualche sua metonimica spoglia. Così la testa di Eracle non accetta più di mostrarsi se non tra le fauci inerti del leone che ha sconfitto.
Il mostro è il più prezioso tra i nemici: perciò è il nemico che si cerca. Gli altri nemici posso semplicemente assaltarci: sono i Giganti, i Titani, rappresentanti di un ordine che sta per essere soppiantato o vuole vendicarsi per essere stato soppiantato. Tutt'altra è la natura del mostro. Il mostro aspetta vicino alla sorgente. Il mostro è la sorgente. Non ha bisogna dell'eroe. E' l'eroe che ha bisogno di lui per esistere, perché la sua potenza sarà protetta dal mostro e al mostro va strappata. Quando l'eroe affronta il mostro, non ha ancora potere, né sapienza. Il mostro è il suo padre segreto, che lo investirà di un potere e di una sapienza che sono soltanto di un singolo, e soltanto il mostro gli può trasmettere.
Il mostro, in origine, stava al centro, al centro della terra e del cielo, là dove sgorgano le acque. Quando il mostro fu ucciso dall'eroe, il suo corpo smembrato migrò e si ricompose ai quattro angoli del mondo. Poi cinse il mondo in un cerchio, di squame e di acque. Era il margine composito del tutto. Era la cornice. Che la cornice fosse il luogo del mostro lo sapevano anche gli artefici delle cornici barocche: ben più intricate, ben più folte, ben più arcaiche di tutti gli idilli che racchiudevano - e forse, un giorno, avrebbero soffocato. Poi venne il momento in cui non si vollero più le cornici. I musei ospitarono quadri senza cornici, che sembravano spogliati. La cornice non è l'antiquato, ma il remoto. Scomparsa la cornice, il mostro perde la sua ultima dimora. E torna a vagare, ovunque.”

Roberto Calasso (1941) scrittore italiano

Οι γάμοι του Κάδμου και της Αρμονίας

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“Questi elogi del tipo «te lo spiego io di cosa parla il tuo libro» sono tutti appunti che ho mandato agli amici a proposito dei loro libri. La mia tendenza è sempre quella di spingere il libro verso l’astratto, verso la tristezza, verso le tenebre, verso la duplicità, verso diciassette tipi di ambiguità. Mi sforzo sempre di leggere la forma come contenuto, lo stile come significato. In un certo senso il libro balbetta sempre sul suo stesso linguaggio. Dipingo sempre me stesso e l’autore come le uniche fonti di un’oscura sapienza, sono sempre il paladino della disperazione spensierata, volo sempre troppo alto. Metafisico è grande. Nella mia formulazione, il soggetto del libro non è mai quello che sembra. Dico spesso che secondo tutti il libro riguarda X ma in realtà riguarda Y. Leggo sempre il libro come un’allegoria, una tesi filosofica mascherata. Uno dei termini ricorrenti è esistenza, così come umano, animale, sesso, cazzo e violenza. Adoro gli avverbi potentemente ed enormemente e instancabilmente e infinitamente. Uso di continuo indagine ed esplorazione e scavo ed esame e rigoroso. Dove andrei a finire senza meditazione? Sotto sotto c’è sempre una storia d’amore tra me e l’autore: io che amo il libro e l’autore. La chiave è il candore: essere disposto a dire ciò che nessuno è disposto a dire. Il gesto di scrivere è sempre visto come un atto di coraggio (impavido imperversa). La vita è dura, e a volte perfino una noia: il linguaggio è una (piccola) consolazione. Nessun altro coglie quello che stai facendo: solo io ci arrivo. Siamo io e te, baby. Intimità. Urgenza. Solo noi capiamo la vita. Te lo spiego io il tuo libro, il testo. Te lo spiego io di cosa parla il tuo libro. La vita è una merda. Noi siamo delle merde. Solo questo ci salverà: questa dichiarazione.”

Reality Hunger: A Manifesto

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“Le cose seguono le loro vicende, e persino per l'eccellenza vi è una moda. Ma la sapienza ha in sé un vantaggio, ed è che è eterna, e se anche questo non è il secolo per lei, altri molti lo saranno.”

Baltasar Gracián (1601–1658) gesuita, scrittore e filosofo spagnolo

da L'uomo appartiene al suo tempo, p. 42
Oracolo manuale e arte di prudenza

“Non si tratta di abbandonare la scienza, la quale nel suo tortuoso cammino ha pur mostrato di essere ricerca docile alla verità, e dalla quale proprio oggi ci vengono le meno incerte indicazioni di speranza anche teoretica. Si tratta piuttosto di accompagnarle una ricerca filosofica che, in costante sforzo di attenzione, recuperi le necessarie armonie (con la natura e con gli altri) nelle regioni più proprie dell'umano: fantasia, sentimenti, esperienza storica, intelligenza. Questa collaborazione tra scienza e filosofia è indispensabile. Come l'opera manipolatrice e distruttiva della scienza non sarebbe giunta tanto lontano senza l'avallo e la spinta dell'idea filosofica dell'homo faber, così l'attuale riconversione della scienza a un'attività conoscitiva e conservativa non può dare tutti i suoi frutti se la filosofia non riproporrà l'idea perenne dell'homo sapiens, che illumina di sapienza anche il suo fare.
Oggi molti scienziati mostrano di aver inteso la lezione di questa sapienza che conosce il limite e la misura. Hanno compreso che, quand'anche si abbia di mira soltanto il fare e il produrre, non è più possibile continuare a provocare la natura. Ma occorre esplorarla riconoscendone la realtà, davvero inesauribile sul piano della conoscenza, e fors'anche sul piano di una utilizzazione sapientemente rispettosa; ma esauribile (e quanto rapidamente!) sul piano della manipolazione fabbrile che obbedisce alla misura egocentrica dell'uomo.”

Sergio Cotta (1920–2007) filosofo italiano

Origine: Proprio del fabbro e, per estensione, di ogni attività manuale. Manipolazione fabbrile è quindi un utilizzo indiscriminato delle ricchezze naturali.
Origine: da L'uomo tolemaico, Rizzoli, Milano. Citato in Giuseppe Passarello, Elena Janora e Serena Passarello, La memoria e la ragione: Ottocento e Novecento, [antologia di cultura generale. Per gli istituti professionali], Società Editrice internazionale, Torino, Ristampa luglio 1981, p. 827. ISBN 88-05-01587-3

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“Infine, venne il tempo in cui fu lecito parlare del contenuto dell'antichissima saggezza in un linguaggio comprensibile a più larghe masse. All'incirca dall'ultimo terzo del secolo decimonono in poi si poté parlare in forma più o meno palese intorno all'antichissima sapienza del mondo, e solo perché, appunto nei mondi spirituali, avvennero dati fatti, fu per così dire concessa ai custodi dei misteri la possibilità di lasciar trapelare qualcosa dell'antichissima saggezza.”

Rudolf Steiner (1861–1925) filosofo, esoterista e pedagogista austriaco

2010, p. 12
Gerarchie spirituali e loro riflesso nel mondo fisico – Zodiaco, Pianeti e Cosmo
Variante: Infine, venne il tempo in cui fu lecito parlare del contenuto dell'antichissima saggezza in un linguaggio comprensibile a più larghe masse. All'incirca dall'ultimo terzo del secolo decimonono in poi si poté parlare in forma più o meno palese intorno all'antichissima sapienza del mondo, e solo perché, appunto nei mondi spirituali, avvennero dati fatti, fu per così dire concessa ai custodi dei misteri la possibilità di lasciar trapelare qualcosa dell'antichissima saggezza. (p. 12, 2010)

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“C'è in ciò che scrive Teodoani}} una violenza da deragliatore ideologico, la violenza traumatica da bassi istinti di chi possiede una sapienza di linguaggio che gli consente di giocare col sesso e con le parole, dominando entrambi come reperti di medicina legale.”

Tinto Brass (1933) regista italiano

Origine: In Horror erotico, a cura di Franco Forte, vol. I, Stampa Alternativa, Viterbo, 1994, p. 37. Citato in Roberta Mochi, Libri di sangue: l'horror italiano di fine millennio, Persempre, 2003. ISBN 8888583068

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Questa traduzione è in attesa di revisione. È corretto?
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