Frasi su ferito
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“La notte manto di lutto | ha una ferita | non copre -.”

Nelly Sachs (1891–1970) poetessa e scrittrice tedesca

Enigmi roventi

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“Sei stato colpito nell'elemento, dove hanno sede le forze più oscure, dove principia per la creatura umana la notte. Ora si tratta di radunare le forze luminose perché la ferita si rimargini, perché vivere con essa sarebbe impossibile.”

Scipione (Gino Bonichi) (1904–1933) pittore e scrittore italiano

dal Diario; Historia, p. 61
Citato in di Historia, Mensile illustrato di Storia, Anno VII – N. 66 – Milano – Maggio 1963

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“Alle sette e mezzo il 17 aprile 1975, la guerra contro la Cambogia si concluse. Fu una guerra particolare, poiché nessun paese aveva mai fatto esperienza d'un simile bombardamento. Su questa terra, forse la più graziosa e più pacifica in tutta l'Asia, il presidente Nixon e il signor Kissinger sganciarono centomila tonnellate di bombe, l'equivalente di cinque Hiroshima. Il bombardamento fu una loro scelta personale. Illegalmente e in segreto, bombardarono la Cambogia, un paese neutrale, fino a riportarla all'età della pietra, e intendo età della pietra nel suo senso strettamente letterale. Poco dopo l'alba, il 17 aprile 1975, i bombardamenti cessarono, e regnò il silenzio. Poi, i vittoriosi, i Khmer Rossi, il cui potere era cresciuto in modo del tutto sproporzionato rispetto ai loro numeri, emersero dalla foresta. Entrarono nella capitale, Phnom Penh, una città che molti di loro non avevano mai visto prima. Marciarono in fila indiana disciplinata lungo i viali e il traffico immobile. Si vestivano di nero ed erano per la maggior parte adolescenti. Il popolo li acclamò ansiosamente, ingenuamente. Dopo tutto, i bombardamenti e i combattimenti erano finalmente terminati. Il terrore cominciò quasi immediatamente. Phnom Penh, una città di 2.5 milioni d'abitanti, fu evacuata con la forza entro un ora dal loro arrivo, i malati e feriti trascinati dai loro letti d'ospedale, bambini morenti trasportati in sacchi di plastica, i vecchi e gli zoppi abbandonati ai margini della strada, e tutti in marcia sotto tiro verso la campagna e una società totalmente nuova, quale mai si era vista prima. I nuovi leader della Cambogia chiamarono il 1975 l'«Anno zero», l'alba di un'era in cui non ci sarebbero state famiglie, né sentimenti, né espressioni d'amore o di sofferenza, né medicine, né ospedali, né scuole, né libri, né istruzione, né vacanze, né musica, né canzoni, né posta, né moneta: solo fatica e morte.”

John Pilger (1939) giornalista australiano

At 7:30 AM on April 17, 1975, the war on Cambodia was over. It was a unique war, for no country has ever experienced such concentrated bombing. On this, perhaps the most graceful and gentle land in all of Asia, president Nixon and mister Kissinger unleashed 100,000 tons of bombs, the equivalent of five Hiroshimas. The bombing was their personal decision. Illegally and secretly, they bombed Cambodia, a neutral country, back to the Stone Age, and I mean Stone Age in its literal sense. Shortly after dawn on April 17, the bombings stopped and there was silence. Then, out of the forest, came the victors, the Khmer Rouges, whose power had grown out of all proportion to their numbers. They entered the capital Phnom Penh, a city most of them had never seen. They marched in disciplined Indian file through the long boulevards and the still traffic. They wore black and were mostly teenagers, and people cheered them, nervously, naively. After all, the bombing, the fighting, was over at last. The horror began almost immediately. Phnom Penh, a city of 2.5 million people, was forcibly emptied within an hour of their coming, the sick and wounded being dragged from their hospital beds, dying children being carried in plastic bags, the old and crippled being dumped beside the road, and all of them being marched at gunpoint into the countryside and towards a totally new society, the likes of which we have never known. The new rulers of Cambodia called 1975 "Year Zero", the dawn of an age in which there would be no families, no sentiments, no expressions of love or grief, no medicines, no hospitals, no schools, no books, no learning, no holidays, no music, no songs, no post, no money, only work and death.
Variante: Alle sette e mezzo il 17 aprile 1975, la guerra contro la Cambogia si concluse. Era una guerra particolare, poiché nessun paese aveva sofferto d'un tale bombardamento. Su questa terra, forse la più graziosa e più pacifica in tutta l'Asia, il presidente Nixon e il signor Kissinger sguanciarono centomila tonnellate di bombe, l'equivalente di cinque Hiroshima. Il bombardamento fu una loro scelta personale. Illegalmente e in segreto, bombardarono la Cambogia, un paese neutrale, fino a riportarla all'età della pietra, e intendo età della pietra nel suo senso strettamente letterale. Poco dopo l'alba, il 17 aprile 1975, i bombardamenti cessarono, e regnò il silenzio. Poi, i vittoriosi, i Khmer Rossi, il cui potere era cresciuto fuori proporzione dai loro numeri, emersero dalla foresta. Entrarono la capitale, Phnom Penh, una città che molti di loro non avevano mai visto prima. Marciarono in fila indiana disciplinata lungo i viali e il traffico immobile. Si vestivano di nero, ed erano per la maggior parte adolescenti. Il popolo li acclamò ansiosamente ed ingenuamente. Dopo tutto, i bombardamenti e le sparatorie erano finiti. Il terrore cominciò quasi immediatamente. Phnom Penh, una città di 2.5 milioni d'abitanti, fu evacuata con la foza entro un ora del loro arrivo, i malati e feriti trascinati dai loro letti d'ospedale, bambini morenti trasportati in sacchi di plastica, i vecchi e zoppi lasciati per la strada, tutti marciati sotto tiro verso la campagna e una società totalmente nuova, mai vista prima. I nuovi leader di Cambogia nominarono 17 aprile «Anno zero», l'alba di un' era in cui non ci sarebbero state famiglie, niente sentimenti, nessuna espressione d'amore o lutto, niente medicine, niente ospedali, niente scuole, niente libri, niente istruzione, niente vacanze, niente musica, niente canzoni, niente posta e niente denaro: solo fatica e morte.

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“Quando si danneggia una scuola, viene ferita, in realtà, l'intera comunità nazionale.”

Sergio Mattarella (1941) 12º Presidente della Repubblica Italiana

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“Mio padre è stato a Montecassino, ha combattuto nel Secondo Corpo d'Armata polacco, con il generale Anders. È stato ferito vicino a Recanati, risalendo l'Adriatico fino a Bologna. Era in una casa colonica in convalescenza quando ha conosciuto una ragazza marchigiana. Mia madre, la ragione per la quale è rimasto in Italia.”

Helena Janeczek (1964) scrittrice e giornalista tedesca

Le rondini di Montecassino, Incipit
Variante: Mio padre è stato a Montecassino, ha combattuto nel Secondo Corpo d'Armata polacco, con il generale Anders. È stato ferito vicino a Recanati, risalendo l'Adriatico fino a Bologna. Era in una casa colonica in convalescenza quando ha conosciuto una ragazza marchigiana. Mia madre, la ragione per la quale è rimasto in Italia.

“Il clero sciita, che ha promosso e guida la rivoluzione islamica di Teheran, non è composto di vermi che si agitano nella sporcizia e nel fango, come diceva il defunto scià di Persia. Gli ayatollah, che lo hanno travolto quando sembrava all'apice della potenza, difendono l'umiliato orgoglio di un'antica nazione, la Persia, e una religione a lungo frustrata, che i loro predecessori non hanno saputo preservare e rispettare. Li difendono col fanatismo, con l'odio, con una crudeltà d'altri secoli, e con un pessimo gusto che arriva al punto di costruire nel cuore di Teheran una fontana da cui sgorga acqua tinta di rosso, per ricordare il sangue versato dai martiri della rivoluzione. Ma li difendono dopo i numerosi fallimenti dei laici, degli innovatori. La loro rivoluzione è contro il mondo moderno, contro le società occidentali, contro i pagani, dai quali per secoli sono stati presi a calci. È un orgoglio ferito che esplode irrazionalmente, con il conforto di una religione che ha conservato una carica, un'intensità che noi definiamo medievale. Senza tener conto di questo, non si può capire il fenomeno iraniano.”

Bernardo Valli (1930) giornalista e scrittore italiano

Variante: Il clero sciita, che ha promosso e guida la rivoluzione islamica di Teheran, non è composto di vermi che si agitano nella sporcizia e nel fango, come diceva il defunto scià di Persia. Gli ayatollah, che lo hanno travolto quando sembrava all'apice della potenza, difendono l'umiliato orgoglio di un' antica nazione, la Persia, e una religione a lungo frustrata, che i loro predecessori non hanno saputo preservare e rispettare. Li difendono col fanatismo, con l'odio, con una crudeltà d' altri secoli, e con un pessimo gusto che arriva al punto di costruire nel cuore di Teheran una fontana da cui sgorga acqua tinta di rosso, per ricordare il sangue versato dai martiri della rivoluzione. Ma li difendono dopo i numerosi fallimenti dei laici, degli innovatori. La loro rivoluzione è contro il mondo moderno, contro le società occidentali, contro i pagani, dai quali per secoli sono stati presi a calci. È un orgoglio ferito che esplode irrazionalmente, con il conforto di una religione che ha conservato una carica, un' intensità che noi definiamo medievale. Senza tener conto di questo, non si può capire il fenomeno iraniano.
Origine: Da La piaga iraniana http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/08/04/la-piaga-iraniana.html?ref=search, la Repubblica, 4 agosto 1987.

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“Mia cara Miledy — Son più morta che viva. I rapporti di Pignatelli fatti a Luzzj, i documenti forniti da quelle canaglie di nobili provano che la rivoluzione è intieramente consumata. Il popolo è unito col potere costituente. Essi hanno disarmata tutta l'infame truppa, castelli, arsenale ec. Mack è scomparso. Calandra con 2500 uomini dice di non poter far nulla. Tutta la truppa chiama il popolo e dà loro le armi. Zurlo è stato trascinato ferito innanzi il tribunale dell'infame città e messo in castello. Ciò prova che la nobiltà dirìge tutto. Tre colonnelli, Fardella, Bologna e Baumont tradotti innanzi al tribunale; i due primi messi in libertà, il terzo imprigionato, infine orrori. Castellammare e Salerno sono già in rivoluzione. M'aspetto domani sentir l'istesso delle Calabrie. Sono così afflitta, che preferisco l'entrata dei Francesi e che tolgano a quei miserabili fino all' ultima camicia, piuttosto che di vedere i nostri proprii sudditi bestie vili, poltroni, ma furfanti, condursi in tal guisa. Il pranzo è contramandato. Ohimè, mia cara, sono molto sventurata. Dio voglia che il contro colpo non si faccia sentire in Sicilia: sono desolata, ma bisogna riacquistar Napoli e difendere la Sicilia. Egli è certo che qualche birbante nascosto vi tien la mano. Questi sciocchi… non ho più testa: in una parola, sono molto fuor di speranza. Se potessi vedervi alle ore 23 o 24 col cavaliere ed il nostro eroe Nelson mi sarebbe di sollievo, bisogna efficacemente pensare a salvarci. Compatite un onesta amica, un alleata fedele, ma un affettuosa madre, sposa e sventurata regina.”

Maria Carolina d'Asburgo-Lorena (1752–1814) regina consorte di Napoli e Sicilia, moglie di Ferdinando I delle Due Sicilie

dalla lettera del gennaio 1799, p. 59
Carteggio di Maria Carolina Regina delle due Sicilie con Lady Emma Hamilton

“L'Iran imperiale disponeva di enormi risorse finanziarie che consentivano grandi innovazioni, in tutti i campi. Teheran era la meta obbligata di legioni di uomini d'affari occidentali, incolonnati come questuanti davanti ai ministeri, ansiosi di proporre prodotti e progetti. Non mi passò neppure per la testa l'idea che quel successo potesse condurre a un disastro. A ritorcesi contro lo scià fu l'eccessiva modernizzazione, compresa quella culturale. La precipitosa industrializzazione, pagata con i proventi petroliferi, non dette i frutti sperati. L'Iran non era competitivo sul piano internazionale e all'interno i consumi non erano sufficienti per mantenere le attività appena create. Si accentuò il declino dell'agricoltura, ferita da una riforma che, per volontà dello scià, aveva trasformato mezzadri e fittavoli in tanti proprietari troppo piccoli per sopravvivere. Così il distacco tra le città, gonfiate da popolazioni inurbate in gran fretta, e la società rurale era aumentato, ed era cresciuto in modo vertiginoso quello tra le classi beneficiate dalla pioggia petrolifera e quelle escluse, abbandonate a se stesse. Le campagne in favore dell'emancipazione femminile e dell'alfabetizzazione fecero emergere strati sociali subito assetati di libertà adeguate al loro nuovo status. Ma un apparato poliziesco severo, e spesso spietato, reprimeva quegli slanci suscitati dalle riforme. La monarchia non fu capace di gestire la modernizzazione (l'occidentalizzazione) che essa stessa aveva voluto. Non fu capace di rinunciare a un rigido autoritarismo che comprimeva la società civile in espansione.”

Bernardo Valli (1930) giornalista e scrittore italiano

Origine: Da Sulle strade di Teheran con la furia di un popolo http://download.repubblica.it/pdf/diario/31012004.pdf, la Repubblica, 31 gennaio 2004.

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“Per favore, quando siete liberi da impegni, non ammazzate il tempo. Dedicatevi a qualcosa di saggio o semplicemente utile. C'è sempre bisogno di idee originali: se vi limitate ad ammazzare il tempo, ferite l'eternità!”

https://www.facebook.com/mimmo.parisi.98?__tn__=%2Cd*F*F-R&eid=ARAkI7BsHpcuwp0cNdTytNv2iSGvdutPcZznz7t043CgLNRD7PBALrgXjBLMpUtTpd0SyKNrLR08krhn&tn-str=*F
Mimmo Parisi

“Cola denso il sangue dalle ferite | là, ove, un tempo, premevano al volo | e caddi nella rete insidiosa.”

Maria Cumani Quasimodo (1908–1995) attrice, danzatrice e poetessa italiana

Caduta, p. 179
«O forse tutto non è stato»

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“Maria non voleva fare quella scena perché non era inclusa nel copione: nella sua ingenuità è stata violentata. Maria era un angelo che è stato ferito. Sono contento di poterla riscattare. È stata distrutta da Ultimo tango a Parigi.”

Cristiano Malgioglio (1945) cantautore, paroliere e personaggio televisivo italiano

Origine: Citato in Malgioglio: "Maria Schneider è stata distrutta da Ultimo Tango a Parigi" http://www.adnkronos.com/intrattenimento/spettacolo/2016/12/05/malgioglio-maria-schneider-stata-distrutta-ultimo-tango-parigi_LdYfS7LWadC2xk5FEMmjRL.html?refresh_ce, Adnkronos.com, 5 dicembre 2016.

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“Poesia
Perduto Amor

Fili di stelle
nella tasca dei sogni,
e gelido tuono irrompe
nei pensieri
di un cuor ferito
da una triste bugia,
nel ciel di quell'addio,
sussurrato solo con labbra
ma rinnegato dal cuor.
Brivido cieco
lungo la schiena
a raccontarmi lacrime
di sangue sulla tela della
tua nuda anima,
dalle ali di farfalla
e un bel pungiglione
di scorpione.
Su raccontami anima
mia amata,
raccontami come accartocci l'amore e le carezze
buttando tutto via
dietro alle tue spalle,
e che fino a ieri
come gabbiano d'oro
nel mondo delle emozioni volavi e vivevi incondizionata
respirando tutte le sensazioni del cuore,
dimmi cosa nasce
nel tuo io che ti vuol
così lontana da me?
Sacrificando
amore per carriera,
calpestando amore
per la maledetta fama,
che tanto lontana
ti vuol da me!
Sommerso nelle acque
della cruda tempesta
di questo sfumato amor
annego vinto piegato
in due dallo schiaffo possente
della delusione quando
il volto mi ha tinto
di pallido dolore,
cancellando ogni
barlume di straccio
di sentimento dal tuo cuore
che ormai quando votato
al prestigio e alla carriera,
seppellendomi nel passato
felice stella brillante
ti ha resa bella!
Ma…. lasciami ancora
fili di stelle nella tasca
dei sogni cosicché
nella notte più scura,
quella della nostalgia
lì faccia sfavillare
accanto alla spina luna
ricordandoti come
meteora speciale che…
orbita lontano lontano
via dal mio cuor
e dalla mia essenza, fragranza dispersa nel tempo
della rassegnazione unta
di disperazione per il suo
perduto amor.”

Questa traduzione è in attesa di revisione. È corretto?
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“I cuori feriti dalla vita custodiscono valori di inestimabile bellezza.”

Prevale (1983) disc jockey, produttore discografico e conduttore radiofonico italiano

Origine: prevale.net

“Cammino Senza Di Te

È già tardi, in questi fili 
di giorni sbiaditi senza sale, 
che al mio fianco lentamente camminano in silenzio a farmi ombra, 
senza ascoltare il cuore che piange, 
senza un sorriso a illuminarmi il viso, una carezza a scaldarmi la pelle, 
senza parlarmi di te e dei tuoi occhi, 
di quanto manchino in queste ore! 
Ormai cammino con il mio riflesso 
tra le tue preferite vie in fiore 
nei giorni d'estate, 
e le strade deserte d'inverno 
sotto la neve che imbiancava. 
La primavera era la tua festa 
nei campi d'ulivo, seduta sulla panca, 
paziente restavi a osservarla. 
L’autunno, la tua malinconia, 
tingeva di giallo e bronzo 
le foglie rosse del nostro giardino, 
e in ogni ricordo che scrivevi, 
per restituirlo alla sensibilità 
del cuore tra le pieghe dell'anima, 
c'era il timbro del sentimento. 
E in quei tramonti senza un perché, 
le tue cantilene sui tuoi gioielli 
più preziosi che sfoggiavi 
con orgoglio, i nostri splendidi figli, 
appesi al futuro che tesse in segreto 
i loro destini a noi sconosciuti,
che nelle notti tra le tue preghiere, 
nelle tue lacrime imprigionate, 
una luce di purezza d'animo, 
erano speranza sul tuo volto sincero! 
Oh cara, stanchi e tristi, senza respiro 
di felicità a lasciarci volare
sull'oceano d'amore,
i miei passi vagabondi seminano vento di tempesta dietro di me, 
senza rumori di rassegnazioni. 
Ti sei vestita di perle d'anima 
per addormentarti, ormai matura 
nei tuoi anni di spine e vittorie, 
nelle braccia del sonno eterno, 
verso la valle della libertà eterna. 
E io qui, ancora in questa giungla 
del tempo che squarcia e rattoppa ferite sul cuore che brucia sempre, 
soltanto questo amore nel mio petto. 
Amore mio, fedele colomba bianca, 
le tue ali sono le mie lacrime, 
ma il ricordo della tua essenza 
è la coltre che scalda l'anima 
nel fiore d'amore per te, 
che sulla tua tomba 
di freddo marmo adagio piano 
per non farti mancare mai 
il frastuono in tormenta d'amore 
nel sacrificio del silenzio rotto 
in ogni petalo che appassisce,
ma rinsavisce nell'eterno cielo 
nelle tue mani che un giorno rivedrò. 

Laura Lapietra ©”