Frasi su politico
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“Odio il concetto di dualismo, anche politico, che va da di moda in questi ultimi tempi. Detesto lo scontro, il becerare continuo dei potenti, le categorie in cui siamo costantemente incasellati. Il cuore, quando riflette sul giusto o sbagliato, è semplicemente un'arma da fottere! Quell'organo, infatti, dovrebbe badare solo ai sentimenti intensi.”

Gianna Nannini (1954) cantautrice e musicista italiana

Origine: Dall'intervista Gianna Nannini: "Il cuore, quest'arma pericolosa..." http://web.archive.org/web/20061103020752/http://musica.alice.it/intervista/gianna_nannini_il_cuore_arma_pericolosa.html,page=2.html, Musica.Alice.it, 31 gennaio 2006.

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“Silvio Berlusconi è entrato in politica con 5 mila miliardi di debiti e con le banche che tentavano di strozzarlo; oggi vanta 29 mila miliardi di attivo e figura tra i sette uomini più ricchi del pianeta.”

Daniele Capezzone (1972) politico italiano

da Repubblica http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/10/30/radicali-addio-berlusconi.html, 30 ottobre 2005, pagina 13

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“[…] un sistema di apartheid con due popoli sulla stessa terra ma completamente separati uno dall'altro, con gli israeliani completamente dominanti che reprimono la violenza privando i palestinesi dei loro elementari diritti umani. Questa è la politica perseguita attualmente.”

Jimmy Carter (1924) 39º presidente degli Stati Uniti d'America

da Palestine: Peace not Apartheid; citato in Joseph Halevi, Quell'apartheid nel titolo che Israele non gli perdonerà mai, Il manifesto, 19 aprile 2008

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“Certamente Mussolini fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile: lo dimostrò la facilità con cui vinse. Forse dovuta per metà alle sue capacità, alla sua bravura – parlo sempre come politico – e per metà all'insipienza, alla nullaggine dei suoi avversari, perché è tempo oramai di dire anche questo. Non c'è dubbio che il potere assoluto guastò completamente Mussolini: il Mussolini del 1930 non era certamente quello del 1940, il Mussolini di dieci anni dopo l'avvento al potere era diventato una specie di marionetta, la caricatura di sé stesso. Aveva perso proprio il senso della realtà, che era stato invece il suo forte da principio, il contatto col pubblico lo aveva perso, il senso della misura, e lo aveva dimostrato poi con gli errori madornali che ha fatto. Nei primi dieci anni credo che alcune cose buone le abbia fatte. Non credo che abbia ucciso la democrazia, credo che l'abbia soltanto seppellita perché era già morta. Da quel poco che ricordo l'Italia era un grosso carnevale, e anche abbastanza drammatico, perché la situazione interna era addirittura sfasciata: correva sangue, ne correva molto, noi in Toscana ne sapevamo qualcosa […]. E quindi non è vero che lui… le democrazie non vengono mai uccise, le democrazie muoiono. Dopodiché si dà la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano, e credo che la democrazia italiana del '21-22 si sia suicidata. […] Mussolini capì una cosa fondamentale: che per piacere agli italiani bisognava dare a ciascuno di essi una piccola fetta di potere col diritto di abusarne. Questo era il fascismo. Il fascismo aveva creato una gerarchia talmente articolata e complessa che ognuno aveva dei galloni: il capofabbricato, il caposettore… tutti avevano una piccola fetta di potere, di cui naturalmente ognuno abusava, come è nel carattere degli italiani.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

da Questo secolo, 18 maggio 1982
Interviste

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“Io voglio ringraziare Travaglio, perché ha detto l'assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che ha dato degli avvenimenti è quella esatta. […] Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò Il Giornale -e noi fummo felici di venderglielo, perché non sapevamo come andare avanti- su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario de Il Giornale, io, direttore, sono il padrone del Giornale, nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quello che stava per succedere. Cercai di dissuaderlo […] ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise mi disse: "Ora Il Giornale deve fare la politica della mia politica". Ed io gli dissi: "Non ci pensare nemmeno". Allora lui riunì la redazione come ha raccontato Travaglio -e questo lo fece a mia totale insaputa- e disse: "D'ora in poi Il Giornale farà la politica della mia politica". E a quel momento me ne andai, cos'altro potevo fare? […] Nella mia vita ci sono stati due Berlusconi, completamente opposti […] questo fa parte del ritratto di Berlusconi. […] Come capo politico è quello che io ho conosciuto in quei brutti giorni in cui scorrettamente, nella maniera più scorretta e più volgare, saltandomi, radunò la redazione de Il Giornale per dirgli "Qui si cambia tutto" all'insaputa del direttore. Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile, è affar suo.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

risposta telefonica a Marco Travaglio e Vittorio Feltri durante la trasmissione Il Raggio Verde, 23 marzo 2001

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“Una delle eterne regole italiane: nel settore pubblico, tutto è difficile; la buona volontà è sgradita; la correttezza, sospetta. Per questo, le persone capaci continueranno a tenersi a distanza di sicurezza dalla «cosa pubblica», lasciando il posto ai furbastri (magari bravi) e alle mezze cartucce (magari oneste). Così, purtroppo, vanno le cose in questo bizzarro paese.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

26 gennaio 1996 https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Impegno_politico_caduta_delle_illusioni_co_0_9601261298.shtml
Corriere della Sera, La stanza di Montanelli – rubrica

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“Qualche dichiarazione meno infuocata contro la Giustizia di regime, come il Cavaliere si ostina a definirla, avrebbe meglio aiutato la politica italiana a rimuovere il macigno che la paralizza, e che è lui, Berlusconi.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

da E il resto sia silenzio https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/14/RESTO_SIA_SILENZIO_co_0_9807143775.shtml, 14 luglio 1998, p. 1
Corriere della Sera

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“Io vorrei sapere quali furono le crescite… di civiltà che il Sessantotto pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. […] [La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è] La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in Francia e in Italia fu un fatto di riporto, di imitazione. […] [L'imitazione del Sessantotto francese vi fu] Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero… anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero Sartre. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi scende molto dal suo mitico piedestallo. […] In Italia non ci fu neanche un Sartre. […] Credo che su Pasolini si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non centrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano [i borghesi]… i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. […] Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

da Il Sessantotto e la politica di Berlinguer

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“Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all'incirca così. Su in alto i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però sono in lotta tra loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi – suddivise in singoli strati – le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore, della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei capufficio fino alle dattilografe; ancora più giù i residui delle piccole esistenze autonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti gli altri, poi il proletariato, dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi e ai malati. Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamento della miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamo parlato solo dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta dall'orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-coloniali e coloniali, ossia in quella che è di gran lunga la parte più grande del mondo. Larghi territori dei Balcani sono una camera di tortura, in India, in Cina, in Africa la miseria di massa supera ogni immaginazione. Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra, andrebbe poi rappresentata l'indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l'inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali… Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato.”

Max Horkheimer (1895–1973) filosofo tedesco

Origine: Citato in Lorenzo Guadagnucci, Restiamo animali, Terre di mezzo, Milano, 2012, p. 56. ISBN 978-88-6189-224-8

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“Non bastano le scelte politiche, sociali, culturali se non c'è la scelta in noi stessi; ci va una risposta dentro di noi.”

Lia Varesio (1945–2008) attivista italiana

Dalla parte degli ultimi

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“Maierovitch, uomo dalla loquela sommessa e dai lineamenti un po' da gufo, divenne un personaggio di spicco nei primi anni Ottanta, quando collaborò con Giovanni Falcone nei suoi sforzi, coronati da successo, di rintracciare i mafiosi latitanti. Insieme i due convinsero Tommaso Buscetta a tornare in Italia e a divenire un pentito di stato nel cosiddetto maxiprocesso alla cupola della mafia siciliana. Nel gennaio del 1992, grazie alla sua testimonianza furono condannati circa 350 capi mafiosi. Falcone e il suo collega, il magistrato Paolo Borsellino, sono i titani della lotta antimafia in tutto il mondo. Furono assassinati in Sicilia a due mesi di distanza l'uno dall'altro, nel 1992, poco tempo dopo che la sentenza del maxiprocesso era stata confermata, e la loro morte scosse, e infine scardinò, il sistema politico italiano. Entrambi erano partiti (giustamente) dal presupposto che i personaggi più importanti della mafia siciliana godevano della protezione delle più alte gerarchie politiche di Roma. Maierovitch mi racconta delle sue cene con Falcone, e di come si ingegnarono per proteggere il grande pentito Buscetta vuoi da possibili omicidi vuoi dal suicidio. (Un tentativo di suicidio quasi gli riuscì mentre era sotto la tutela del giudice brasiliano.) Dapprima Maierovitch sorride nel ricordare il suo amico italiano, ma dopo un po' comincia a versare lacrime silenziose: un omaggio che ben si addice a Falcone (cui Maierovitch intitolò il suo Istituto di lotta alla criminalità), il cui carisma e impegno in nome della giustizia, alla faccia della classe dirigente corrotta di Roma, hanno fatto di lui un eroe popolare in tutta Italia e presso tutti coloro che nel mondo lottano contro il crimine.”

Misha Glenny (1958) giornalista e scrittore britannico

da McMafia, pagg. 348-349

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