Frasi su confinato

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema confinato, essere, vita, uomo.

Frasi su confinato

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“Sembra confinato nella vita notturna ciò che un tempo dominava in pieno giorno.”

Sigmund Freud (1856–1939) neurologo e psicoanalista austriaco, fondatore della psicoanalisi
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“La corea ereditaria […] è confinata ad alcune famiglie, che fortunatamente sono in numero limitato, e costituisce un cimelio tramandato da molte generazioni fin dal lontano passato. Tra coloro nelle cui vene scorrono i semi della malattia se ne parla con una sorta di terrore, e non se ne fa accenno esplicito se non quando vi sia una necessità disperata e si parla, allora, di «quella malattia.»”

George Huntington (1850–1916) medico statunitense

Origine: Dall'articolo On Chorea, Medical and Surgical Reporter of Philadelphia, 13 aprile 1872; citato in Alberto Albanese, I gangli motori e i disturbi del movimento, Edizioni Piccin, 1991, p.309 http://books.google.it/books?id=7B_nsNxwjvoC&pg=PA309, ISBN 8829909114.

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“Se sei confinato in un luogo, sarai infelice, perché tu sei sempre più vasto dello spazio in cui ti limiti.”

Osho Rajneesh (1931–1990) filosofo indiano

Origine: Il libro dei segreti, I segreti della gioia (vol. IV), p. 219

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“Se ai nostri tempi ci avessero confinato in un'isola per sei mesi, senza campi da tennis, e poi ci avessero fatto disputare un torneo, Nicola ci avrebbe battuti tutti quanti.”

Ken Rosewall (1934) tennista australiano

Origine: Citato in Pietro Farro, Il tennis è un grattacielo: storie in punta di racchetta, Effepi Libri, 2005, p. 17 http://books.google.it/books?id=3-DJBgQ1NQsC&pg=PA17, ISBN 88-6002-001-8.

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“L'introspezione, l'osservazione e la storia del comportamento umano nei tempi passati e in quelli presenti ci dicono chiaramente che il bisogno di autotrascendenza è quasi altrettanto diffuso e, qualche volta, altrettanto potente quanto il bisogno di autoaffermazione. Gli uomini desiderano intensificare la coscienza di essere ciò che essi considerano "se stessi", ma desiderano anche – e lo desiderano, molto spesso, con irresistibile violenza – la coscienza di essere qualcun altro. Insomma, essi bramano di uscire da se stessi, di oltrepassare i limiti di quel minuscolo universo-isola entro il quale ogni individuo si trova confinato. Questo desiderio di autotrascendenza non è identico al desiderio di sfuggire al dolore fisico o morale. In molti casi, è vero, il desiderio di sfuggire la pena rinforza il desiderio di autotrascendenza. Ma questo può esistere senza l'altro. Se cosí non fosse, gli individui sani e fortunati, i quali (nel linguaggio psichiatrico) «si sono adattati alla vita in maniera eccellente», non sentirebbero mai il bisogno di uscire da se stessi. Mentre lo fanno. Anche tra coloro che la natura e la ricchezza hanno piú generosamente dotati, troviamo e non infrequentemente, un orrore profondamente radicato di se stessi, un'ansia appassionata di liberarsi della piccola ripugnante identità alla quale sono stati condannati proprio dalla perfezione del loro "adattamento alla vita". Chiunque, uomo o donna, che sia felice (secondo i criteri del mondo) oppure disgraziato, può arrivare, improvvisamente o gradatamente, a ciò che l'autore della Nuvola dell'Inconoscibile chiama "la conoscenza e la sensazione nude del tuo proprio essere". Questa immediata consapevolezza di sé produce uno struggente desiderio di andare al di là dell'io isolato.”

III, 2; pp. 71-72
I diavoli di Loudun

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“Catturate a volte nella grande arborea libertà della loro giungla natale, le scimmie [destinate alla sperimentazione] vengono confinate in gabbie di poco più di un metro quadrato. […] Per facilitare la pulizia, gli animali vengono costretti a vivere su una rete metallica; non possono mai sedersi o distendersi su una superficie morbida e cedevole. C'è quindi poco da stupirsi se quando viene il momento del coltello o dell'iniezione sono così folli o inerti da non essere più esempi rappresentativi della vita animale.
Gli psicologi che studiano il comportamento di migliaia di tali creature ogni anno raramente tengono conto del fatto che questi loro disgraziati pazienti sono stati talmente provati da divenire più simili a mostri che ad animali. Molte persone che hanno sperimentato uno stretto rapporto affettivo con individui di altre specie testimoniano il considerevole potenziale di sviluppo emotivo ed intellettuale degli animali. Quando sono tenuti in modo appropriato un cane o un gatto sviluppano grandi raffinatezze di comportamento, di cui l'animale da laboratorio non dà mai prova. Coloro che hanno avuto la fortuna di osservare da vicino animali non spaventati che vivono allo stato libero sono spesso colpiti dalla complessità e dalla ricchezza della vita che essi conducono. Questi piaceri l'animale da laboratorio non li conosce mai; per lui sempre gli stessi quattro muri bianchi e lo stesso odore di disinfettante.”

Richard Ryder (1940) psicologo inglese

Origine: Esperimenti sugli animali, p. 52

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“Di qui l'allarme, finalmente, preso sul serio. Ma di qui anche la necessità di capire che il rientro nell'ambito della respirazione regolare comporta non solo un rallentamento quantitativo, ma una "mutazione" vera e propria, qualitativa, della crescita: una trasformazione dalla formula "di tutto di più" alla formula "meno ma meglio" alla quale tutta la struttura tecnica e, soprattutto, socio e psicologica è totalmente impreparata. Ciò comporta la realizzazione di quello stato stazionario (che non è affatto uno stato statico, come un lago aperto non è uno stagno chiuso) che era considerato dagli economisti classici come l'inevitabile esito di una impossibile crescita continua, che procede oggi al ritmo catastrofico dell'interesse composto. Il senso positivo dell'allarme climatico è questo. L'emergenza di una scarsità assoluta che si credeva confinata in un futuro indistinguibile è lì, di fronte a noi. Il problema ambientale diventa non aspirazione poetica, ma, dapprima, problema energetico, quello del passaggio dalle energie non rinnovabili sprofondate nel sottosuolo a quelle rinnovabili che inondano con la luce solare la superficie della Terra; e conseguentemente problema economico, di scala sostenibile della produzione; e infine problema culturale e morale di dislocazione dei bisogni e dei desideri dal consumo distruttivo alla creatività attivistica, dal privatismo aggressivo all'individualismo sociale.”

Giorgio Ruffolo (1926) politico, giornalista e saggista italiano

da Uomini e farfalle, L'espresso, n. 28, anno LIII, 19 luglio 2007, p. 107

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“Quella mattina pioveva e grandinava sui vetri dell'aula di seconda liceo, sezione C, liceo-ginnasio Cassini, Sanremo. Eravamo trentuno studenti in quella classe. I ripetenti quattro o cinque, confinati negli ultimi banchi come si usava allora.
Ma lo ricordo quel temporale, a Sanremo capitava di rado, c'era un clima un po' speciale, infatti le famiglie facoltose di Torino e di Milano rivenivano a svernare per sopportare meglio gli acciacchi. E per giocare al Casinò.
Me lo ricordo perché quel giorno ci fu uno degli incontri importanti della mia adolescenza: l'insegnante di filosofia, che teneva lezione due volte alla settimana, aveva preannunciato il tema nella lezione precedente. Aspettò chela grandine finisse e tornassimo a sederci ai nostri banchi. Poi cominciò a parlare di Cartesio: la vita, la morte, le opere di geometria, di matematica, di filosofia, il suo tempo. Disse che Cartesio era, nella storia delle idee, un punto di arrivo e anche una ripartenza con tante biforcazioni. Insomma un crocevia dal quale comincia la modernità. «Se non capite Cartesio non capirete niente di quello che è venuto dopo e non capirete niente di voi stessi e del mondo che vi circonda».
Ci mise molto calore in quella perorazione, non l'aveva mai fatto con gli altri filosofi che già avevamo studiato con lui sul manuale del Lamanna. Forse con Socrate l'anno prima, ma non con quelle parole e quel tono che sembrava voler coinvolgere la vita di ciascuno di noi.
E mio compagno di banco alzò la mano. «Dica pure», disse il docente che, insieme al prete che insegnava italiano e latino, rifiutava di usare il "voi" prescritto dal regime. «Secondo lei, professore, chi non fa il liceo e nemmeno sa che è esistito un certo Cartesio non potrà dunque dare nessun senso alla sua vita?».
Ci fu un gran silenzio in classe, perfino i ripetenti degli ultimi banchi in qualche modo chiamati in causa da quella domanda si fecero attenti. n professore guardò fisso il mio compagno e ricordo che rispose con una domanda: «Lei, Calvino, ha già trovato il senso della sua vita?»”

Eugenio Scalfari (1924) giornalista, scrittore e politico italiano

cap. II, La gabbia dell'io, p. 20
L'uomo che non credeva in Dio

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“Si sarebbe detto un dio ibiocefalo, come se ne vedono negli affreschi funebri, confinato in un corpo di studioso in seguito a qualche trasmigrazione.”

Théophile Gautier (1811–1872) scrittore, poeta e giornalista francese

Origine: Il romanzo della mummia, p. 21

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