Frasi su parigino

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema parigino, francese, essere, uomo.

Frasi su parigino

Friedrich Nietzsche photo

“Caro signor professore,
alla fine sarei stato molto più volentieri professore basileese che Dio; ma non ho osato spingere così lontano il mio egoismo privato, da tralasciare, per causa sua, la creazione del mondo. Lei vede, bisogna fare sacrifici, come e dove si viva. – Tuttavia, mi sono riservata una piccola camera da studente che si trova di fronte al Palazzo Carignano (– nel quale sono nato come Vittorio Emanuele) e oltre a ciò permette di sentire, dal proprio tavolo di lavoro, la magnifica musica nella Galleria Subalpina. Pago 25 franche con servizio, preparo il mio tè e faccio tutte le spese da solo, soffro di stivali rotti e ringrazio ogni momento il cielo per il vecchio mondo, per il quale gli uomini non sono stati abbastanza semplici e silenziosi. – Poiché sono condannato a intrattenere la prossima eternità con cattive spiritosaggini, ho qui un'attività scrittoria, che invero non lascia nulla a desiderare, molto carina e nient'affatto faticosa. La posta è a cinque passi, imbuco io stesso le lettere per trasmettere il grande fogliettonista "der grende monde". Naturalmente, sono in stretti rapporti con il Figaro, e affinché lei abbia un'idea di quanto io possa essere innocuo, ascolti le mie prime due cattive spiritosaggini:
Non prenda troppo sul serio il caso Prado. Io sono Prado, sono anche il padre di Prado, oso dire che sono anche Lesseps…. Vorrei dare ai miei parigini, che amo, una nuova idea – quella del criminale dabbene.
Seconda spiritosaggine. Saluto gli immortali. Daudet appartiene ai quarante.
Astu”

Friedrich Nietzsche (1844–1900) filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco

da una lettera a Jacob Burckhardt del 5 gennaio 1889

Patrick Modiano photo
Emile Zola photo

“La scienza ha promesso la felicità? Non credo. Ha promesso la verità, e la questione è sapere se con la verità si farà mai la felicità.”

Emile Zola (1840–1902) giornalista e scrittore francese

Origine: La science a-t-elle promis le bonheur? Je ne le crois pas. Elle a promis la vérité, et la question est de savoir si l'on fera jamais du bonheur avec de la vérité. (da Discours à l'Assemblée générale des étudiants de Paris, 18 maggio 1893, in Œuvres complètes, ed. François Bernouard, 1927, vol. 50, p. 288)

Stefan Zweig photo
Paul-louis Courier photo
Alphonse Daudet photo
Honoré De Balzac photo
Anatole France photo
Isaak Emmanuilovič Babel photo
Vincent Cassel photo
Bruno Pizzul photo
Carlo Botta photo

“[Su Andreas Hofer] Non aveva Andrea alcuna qualità eminente, dico di quelle, alle quali il secolo va preso: bensì era un uomo di retta mente e di incorrotta virtù. Vissuto sempre nelle solitudini dei tirolesi monti ignorava il vizio e i suoi allettamenti. I parigini e i milanesi spiriti, anche i più eminenti, correvano alle lusinghe napoleoniche; povero albergator di montagna perseverava Hofer nell'innocente vita. Allignano in ordinario in questa sorte di uomini due doti molto notabili, l'amore di Dio e l'amore della Patria: l'uno e l'altro risplendevano in Andrea. Per questo la tirolese gente aveva posto in lui singolare benevolenza e venerazione. Non era in lui ambizione. Comandò richiesto non richiedente. Di natura temperatissima, non fu mai veduto, né nella guerra sdegnato, né nella pace increscioso, contento a servire o al principe o alla famiglia. Vide vincitori insolenti, vide pacifici tugurj, vide lo strazio e la strage dei suoi: né per questo cessò dall'indole sua moderata e uguale: terribile nella battaglia, mite contro i vinti, non mai sofferse che chi le guerriere sorti avevano dato in sua potestà, fosse messo a morte; anzi i feriti dava in cura alle tirolesi donne, che, e per sé, e per rispetto di Hofer gli accomodavano di ogni più ospitale servimento. Distruggeva Napoleone le patrie altrui, sdegnoso anche contro gli amici: difendeva Hofer la sua, dolce anche contro coloro che la chiamavano a distruzione e a morte.”

Carlo Botta (1766–1837) storico e politico italiano

citato in Massimo Viglione, Rivolte dimenticate: le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815, Città Nuova, p. 115

Roger Federer photo

“[Sul pubblico parigino] La gente qui mi ama come fossi uno di loro: non parlo così bene il francese, ma forse piace come mi batto e cerco di dare il meglio, eppoi hanno apprezzato la fatica che ho fatto per vincere il Roland Garros.”

Roger Federer (1981) tennista svizzero

2011
Origine: Citato in Vincenzo Martucci, Papà Federer «Ma come gioco bene...» http://archiviostorico.gazzetta.it/2011/novembre/14/Papa_Federer_come_gioco_bene_ga_10_111114113.shtml, Gazzetta dello Sport, 14 novembre 2011.

Gianni Boncompagni photo

“Prodi ha comunicato che non parteciperà alla guerriglia di Parigi perché ha paura che lo fischino.”

Gianni Boncompagni (1932–2017) conduttore radiofonico, paroliere e autore televisivo italiano

riferendosi agli scontri durante le manifestazioni nelle banlieue parigine
Origine: Da Il Foglio, 18 marzo 2006.

Tina Aumont photo
Jack Kerouac photo

“Il provino cinematografico è la versione americana della prostituzione parigina.”

Jack Kerouac (1922–1969) scrittore e poeta statunitense

Origine: Un mondo battuto dal vento, p. 199

“Ai signori Vichy e Lenorme era sufficiente ottenere tutti i permessi per perlustrare il terreno presso il santuario del Marzale; e il parigino, che s'era previdentemente messo in società con uno stimanto cittadino piemontese, anzi italiano ormai, sperava che la questione romana, il pontefice, Roma capitale d'Italia, tutti problemi sui quali fra le due potenze non c'era accordo, non interferissero nei suoi affari, guastassero i buoni rapporti con le autorità. Anche le relazioni fra le autorità politiche e quelle religiose non erano tranquille. Sul principio del 1863, il ministro Pisanelli aveva proposto la legge per l'abolizione delle congregazioni ecclesiastiche e per l'ordinamento dell'asse ecclesiastico. in Francia era uscita, in quei mesi, la Vita di Gesù di Renan. L'8 dicembre di quell'anno, noi sappiamo, che il pontefice avrebbe pubblicato l'enciclica Quanta cura e il Sillabo. E fra due anni, nel 1866, si avrebbe avuta «l'infausta campagna» del 1866, con la donazione del Veneto da parte dei francesi, anche se: «Questa mostra di guerra consumò 144 milioni per gli apparecchi e armamenti: 141 milioni per la flotta; poi 91 milioni e mezzo per indennità pagate all'Austria, sicché la Venezia costava al regno quasi un miliardo». Il governo dei moderati durò, sappiamo ancora, sedici anni, fornendo al regno ben quindici ministeri.”

Alberico Sala (1923–1991) scrittore, poeta e critico d'arte italiano

Origine: I vizi naturali, p. 36

Henry De Montherlant photo
Dan Brown photo

“E davanti a lui, attraverso l'arco, Langdon poteva vedere adesso il monolitico palazzo rinascimentale che era divenuto il più famoso museo di belle arti del mondo.
Il Musée du Louvre.
Langdon provò un familiare senso di meraviglia mentre i suoi occhi si sforzavano inutilmente di cogliere l'intera massa dell'edificio. In fondo a una piazza di dimensioni enormi, l'imponente facciata del Louvre si stagliava come una cittadella nel cielo parigino. Il Louvre aveva la forma di un enorme ferro di cavallo ed era l'edificio più lungo d'Europa, più di tre Torri Eiffel messe l'una in fila all'altra. Neppure i centomila metri quadri di spazio aperto tra le ali del museo riuscivano a intaccare la maestosità dell'immensa facciata. Una volta, Langdon aveva percorso l'intero perimetro del Louvre: una stupefacente escursione di cinque chilometri.
Per poter debitamente apprezzare le 65.300 opere d'arte esposte nell'edificio, si calcolava che un visitatore avrebbe impiegato cinque settimane, ma la maggior parte dei turisti sceglieva l'esperienza abbreviata che Langdon chiamava il "Louvre Light": una corsa attraverso il museo per vedere le tre opere d'arte più famose, la Monna Lisa”

o, come era chiamata in vari paesi europei, La Gioconda –, la Venere di Milo e la Vittoria alata. L'umorista Art Buchwald si era una volta vantato di avere visto tutt'e tre i capolavori in cinque minuti e cinquantasei secondi. (p. 28)
Il codice da Vinci

Stendhal photo

“[Fabrizio] chiedeva perdono a Dio per molte cose; ma, fatto notevole, non pensò neppure ad annoverare tra i suoi peccati il progetto di diventare arcivescovo, per la semplice ragione che il conte Mosca era primo ministro e giudicava quel posto e i suoi svariati privilegi convenienti al nipote della duchessa. Fabrizio l'aveva desiderato senza eccessivo slancio, è vero, però ci aveva pensato spesso, proprio come avrebbe fatto per un posto di ministro o di generale. Non gli era mai passato per la testa che la sua coscienza potesse avere voce in capitolo nel progetto della duchessa: e questo è un esempio concreto della strana forma di religione imparata da Fabrizio presso i gesuiti di Milano. È una religione che toglie il coraggio di pensare alle cose che non rientrano nelle abitudini, e vede nell'esame di coscienza il più grave di tutti i peccati, perché rappresenta un passo avanti verso il protestantesimo. Per sapere di cosa si è colpevoli, bisogna chiederlo al prete, oppure leggere la lista dei peccati così come appare nei libri intitolati "Preparazione al sacramento della Penitenza". Fabrizio sapeva a memoria la lista dei peccati redatta in latino; l'aveva imparata all'Accademia Ecclesiastica di Napoli. Mentre la recitava, arrivato alla voce "delitto", si era accusato davanti a Dio di avere ucciso un uomo, anche se per legittima difesa. Aveva rapidamente elencato, ma senza farci attenzione, i diversi articoli relativi al peccato di simonia (procurarsi attraverso il denaro le dignità ecclesiastiche). Se gli avessero chiesto cento luigi per diventare primo gran vicario dell'arcivescovo di Parma, avrebbe respinto la proposta con sdegno; ma, pur non mancando di intelligenza né di logica, non gli venne mai in mente che impiegare a suo vantaggio l'autorità del conte Mosca fosse una simonia. E qui trionfa l'educazione gesuitica: abituare la gente a non fare attenzione a cose più chiare della luce del sole. Un francese cresciuto all'insegna dell'interesse personale e nutrito di ironia parigina avrebbe facilmente, e in buona fede, accusato Fabrizio di ipocrisia, proprio nel momento in cui il nostro eroe apriva il suo cuore a Dio con la più grande sincerità e la più profonda commozione.”

Libro Primo – Capitolo XII
La Certosa di Parma

Indro Montanelli photo

“In una sua memorabile inchiesta un giornalista d'incrollabile fede sinistrorsa, ma di esemplare onestà, Giampaolo Pansa, mise benissimo in luce questo contrasto fra i due atteggiamenti e mentalità, che ieri ha trovato una eloquente conferma nella manifestazione di Torino. Niente chiasso, niente sceneggiate, niente slogans, niente insomma che appartenga al repertorio del buffonismo nazionale. Nessuno ha rotto le righe per andare a rovesciare auto o a fracassar vetrine. Questa, sì, era Danzica, sia pure senza Madonne; non i picchettaggi e i pestaggi di Mirafiori, sia pure con le Madonne. Ora sappiamo già cosa diranno gli altri, oggi e domani. Diranno che gli operai non c'erano. Infatti. Doveva trattarsi di quarantamila presidenti, consiglieri delegati, ingegneri: insomma, la solita «maggioranza silenziosa»: termine che soltanto nella lingua italiana ha significato spregiativo. La maggioranza silenziosa esiste in tutti i Paesi del mondo, dove nessuno si vergogna di appartenervi perché è essa, in definitiva, che ristabilisce gli equilibri. Fu la maggioranza silenziosa – autoqualificatasi come tale – di seicentomila parigini che dodici anni fa pose fine al carnevale sessantottesco, riportò De Gaulle all'Eliseo e restituì alla Francia la stabilità di cui tuttora essa gode. […] Il motivo vero che farà i dimostranti bersaglio delle peggiori critiche e accuse è ch'essi rappresentano la rivolta delle persone serie contro gli arruffoni della «conflittualità permanente», dei «modelli di sviluppo» e via baggianando. E in questo Paese nulla fa più paura, perché nulla è più rivoluzionario, della serietà.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

15 ottobre 1980
il Giornale

John Fitzgerald Kennedy photo
Raymond Queneau photo
Michel Onfray photo

“Simone de Beauvoir che scrive la leggenda di Sartre, scolpendo la statua del grand'uomo, sacrificando tutta la verità alla mitologia, fornisce la versione parigina e quindi francese, e quindi europea, e quindi mondiale, della vicenda. Ne, scrive: “Di fronte a un vasto pubblico egli (Camus) dichiarò: “amo la Giustizia, ma prima di essa difenderò mia madre” il che significava mettersi dalla parte dei. Il peggio era che al tempo stesso dava a intendere che si manteneva al di sopra della mischia, avvallando così quanti desideravano ocncilaire questa guerra e i suoi metodi con l'umanesimo borghese.”
È lo stesso libro in cui la liberazione di Sartre dallo stalag nell'aprile del 1941, dovuta probabilmente a un intervento del filo nazista Drieu la Rochelle, si trasforma in un'evasione; in cui la partecipazione di Sartre alla rivista collaborazionistadurante la guerra viene presentata come un errore commesso una sola volta nel 1941, (mentre sappiamo che in realtà ancora nel settembre del 1943 il filosofo entra a far parte di una giunta organizzata dal giornale e il 5 febbraio del 1944 scrive l'elogio funebre di quel Giradoux che aveva celebrato le virtù del Reich nazista), e varie altre verità sulla Resistenza della famosa coppia.
Camus paga per la rettitudine, per l'integrità, per la correttezza delle proprie battaglie, paga per l'onestà, per la passione nei confronti della verità, paga per aver partecipato alla Resistenza quando molti avevano resistito così poco, paga per i propri successi, per le vendite formidabili dei propri libri, paga per il talento e paga, ovviamente, per il Nobel, paga per il fatto di non essere corruttibile, di non aver bisogno di mentire quando si è trattato di tracciare la retta via, paga per la giovinezza, la bellezza, il successo con le donne, paga per la vita filosofica che suona come un rimprovero di fronte all'esistenza di tanti falsari, paga per la fedeltà all'infanzia passata in mezzo alla gente umile, paga per non aver tradito e venduto niente, paga per essere entrato con effrazione, lui figlio di povera gente, nel mono bene di Saint-Germain-des-Prés, paga per aver scelto la Giustizia, la libertà e il popolo in un universo di intellettuali affascinati dalla violenza, dalla ferocia e dalle idee, paga per essere un autodidatta riuscito, paga per aver scritto lui, figlio di un'analfabeta, libri che non avrebbe mai dovuto scrivere perché riservati all' élite, paga perché a fare da legge, sono il risentimento, l'invidia, l'astio e la gelosia.”

Michel Onfray (1959) filosofo francese
Raymond Queneau photo
Gerald Durrell photo
Henry De Montherlant photo
Louis Aragon photo

“I parigini hanno dato alla piccola Taro una sepoltura straordinaria, dove tutti i fiori del mondo si sono incontrati. Capa, al mio fianco, piangeva, e quando il corteo funebre si è fermato ha nascosto i suoi occhi nella mia spalla.”

Louis Aragon (1897–1982) scrittore francese

Origine: Citato in Laura Zangarini, Gerda Taro, il ritratto della guerra, La Lettura, suppl. del Corriere della Sera, 3 settembre 2017, p. 28.

Gaston Leroux photo
Nuon Chea photo

“[Rivolto a Ieng Sary] Un po' di tempo nei boschi ti farà bene, compagno. Almeno servirà a toglierti di dosso quei modi parigini piccolo borghesi. Ti aiuterebbe a coltivare il tuo spirito proletario.”

Nuon Chea (1926–2019) politico cambogiano

Origine: Citato in Peter Fröberg Idling, Il sorriso di Pol Pot, Iperborea, 2010, p. 74

“Gli uomini di Parigi – diplomatici, militari, consiglieri – sono dietro molti troni dell'Africa Occidentale. Non era raro, nel passato, che i partiti francesi venissero finanziati dagli amici africani, con i fondi ricevuti dalla Francia. I più ricchi usavano le loro risorse per dimostrare riconoscenza ai protettori parigini. Le società francesi, in particolare le compagnie petrolifere, usufruiscono di privilegi eccezionali. In cambio l'esercito francese offre il suo aiuto ai regimi in pericolo.”

Bernardo Valli (1930) giornalista e scrittore italiano

Variante: Gli uomini di Parigi – diplomatici, militari, consiglieri – sono dietro molti troni dell'Africa Occidentale. Non era raro, nel passato, che i partiti francesi venissero finanziati dagli amici africani, con i fondi ricevuti dalla Francia. I più ricchi usavano le loro risorse per dimostrare riconoscenza ai protettori parigini. Le società francesi, in particolare le compagnie petrolifere, usufruiscono di privilegi eccezionali. In cambio l'esercito francese offre il suo aiuto ai regimi in pericolo.