Frasi su piccino

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema piccino, grande, bambini, piccolo.

Frasi su piccino

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“La grande riputazione acquistatasi da Alaimo non potea non destar sospetti nell' animo dell' infante don Giacomo, precoce mirabilmente nella cattiveria, ed al quale bene appropriava il Muntaner il proverbio catalano: «Spina non punge se non nasce acuta (2)». Certamente contribuiva a renderlo sgradito all' infante e alla corte la superbia della moglie Macalda, la quale pare che molto potesse sull' oramai vecchio marito. Ella niegava di dare a Costanza il nome di regina; chiamavala «la madre di don Giacomo». In corte non andava quasi mai, o se qualche volta mostravasi era per fare sfoggio de' suoi vestiti di porpora e de' suoi ricchi adornamenti (3). Essendo incinta, come maggiore ad ogni legge, volle far soggiorno nel convento de Frati minori, che piacevale per l'amenità del luogo, e quivi partorì. Costanza andò a visitarla e fa sgarbatamenie ricevuta: si profferì col figlio a tenere al fonte battesimale il fanciullo: rispose la madre che temea il freddo dell' acqua gli nuocesse così piccino; e tre dì dopo lo fece battezzare dandolo a tenere ad uomini del popolo. Un' altra volta fu notato, che essendosi la regina, perché inferma, fatta portare su di una barella da Palermo al santuario di Morreale, l'indomani Macalda, ne inferma ne per cagione di divozione, si fece portare per le vie di Palermo in barella coperta di scarlatto, e di poi viaggiò in quella guisa da quella città fino a Nicosia, il che parve strana e superba cosa in quei tempi. Spiacque anco molto in corte, che viaggiando per l'isola 1 infante don Giacomo con iscorta di trenta cavalli, ella, che volle accompagnarlo, ne menasse seco trecento, e si arrogasse l'autorità di maestro giustiziere, ufficio stato conceduto al marito. Ne le parole raffrenava, e sappiamo che un dì disse al Loria, uomo alla corte devotissimo, e dell'autorità e fama di Alaimo invido e nemico: «Bel compenso ci rende il vostro re don Pietro! Noi lo chiamammo compagno e non re, ed egli, assumendo il dominio del regno, noi che siamo compagni tratta come servi (d)». Aggiungono gli storici a questi fatti palesi e certi altri oscuri e forse finti, cioè che Macalda facesse giurare il marito non darebbe consigli contro i Francesi, procurerebbe il loro ritorno in Sicilia (2). Queste femminili vanità ed intemperanze, se non cagionarono, sollecitarono la rovina di Alaimo, il quale avendo molto contribuito ad assicurare la corona di Sicilia a' reali di Aragona, dovea da costoro essere odiato, perché somiglianti beneficj si pagan sempre colla ingratitudine. Giacomo raduna segretamente in Trapani tutti i suoi fedeli e tutti i Catalani eh' erano ne' dintorni. Quivi egli chiama a sé Alaimo, gli espone i pericoli del regno se il padre non mandi solleciti aiuti : egli solo potrebbe ottener tutto: vada in Catalogna; le galere sono nel porto apparecchiate: salvi alla patria la libertà e al re la corona. Allora tutti i cortigiani circondano Alaimo, e lo priegano con grave istanza e lo sollecitano a partirsi. È li fissa in viso, comprende il suo stato, non vede scampo, risponde che andrà, e nel medesimo dì monta in nave e naviga verso Barcellona, ove Pietro lo accoglie onorevolmente, loda, promette e lo ritiene seco con segni di affetto non sì bene simulati che Alaimo dell' infingimento non s'accorgesse (4).”

Giuseppe La Farina (1815–1863) patriota e scrittore italiano

Vol VI: 1250-1314, Cap. LV Della rovina di Alaimo di Lentini e di sua moglie Macalda, pp. 303-304
Storia d'Italia narrata al popolo italiano

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“Un fanciullo amava molto il pollo e aveva gran paura dei lupi. Una sera, mentre dormiva sul suo letto, fece un sogno: egli era solo nella foresta e cercava funghi. A un tratto, un lupo balzò da una macchia e si gettò su di lui. Spaventato, il fanciullo si mise a gridare: «Aiuto! Aiuto! Mi vuol mangiare!».Il lupo gli disse: «Aspetta a gridare: io non ti mangerò, voglio soltanto discutere con te».
E il lupo si mise a parlare come fosse un uomo.
Disse: «Tu hai paura che io ti mangi. Ma tu? Non ti piacciono forse i polli?».
«Sì!».
«Eppure li mangi, perché? Essi sono vivi come te, i piccoli polli. Va a vedere la mattina, come li pigliano, come il cuoco li porta in cucina e taglia loro il collo, e ascolta la loro madre gridare perché le hanno tolto i suoi piccini. Non hai mai osservato tutto questo?».
«No», rispose il fanciullo.
«No, davvero? Ebbene, guarda meglio! Del resto, per ora, sono io che ti mangerò. A modo tuo, tu non sei altro che un piccolo pollo: è deciso, ti mangerò».
Il lupo si gettò sul fanciullo che gridò spaventato: «Ahi! Ahi! Ahi!».
E si svegliò.
Da quel giorno, egli smise di mangiar carne: fosse di bue, di montone o di pollo.”

Lev Nikolajevič Tolstoj (1828–1910) scrittore, drammaturgo, filosofo, pedagogista, esegeta ed attivista sociale russo

Origine: Favola registrata da Tolstoj il 19 luglio 1908 con un fonografo inviatogli in dono da Thomas Edison nello stesso anno, e pubblicata nel 1909 sulla rivista Il faro. Traduzione di Gianfranco Giorgi; citato in Perché sono vegetariano, pp. 16-17.

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“L'anima nostra è tale che a volte sia piccina a contenere una goccia di rugiada, a volte sia troppo vasta per contenere i mari.”

Ambrogio Bazzero (1851–1882) scrittore e poeta italiano

Storia di un'anima, Lagrime e sorrisi

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“Per le cose grosse non si cade mai, per quelle piccine spesso.”

Codice della vita italiana, Capitolo III – Del Governo e della Monarchia

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“[Su Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith] L'ultimo mio capitolo è cupo, ma resta un Titanic d'amore nello spazio. Non capisco il visto PG 13 anche se ammetto che i più piccini potrebbero spaventarsi. La battaglia del Male, che vince per certi aspetti e per altri perde, può inquietare il Paese.”

George Lucas (1944) regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense

Origine: Citato in Giovanna Grassi, «Star Wars, violento per amore» https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2005/maggio/07/Star_Wars_violento_per_amore_co_8_050507050.shtml, Corriere della sera, 7 maggio 2005.

“O Francesco, sei piccino, | ma mi sembri tanto | che Golia, quel gran gigante, | è pigmeo accanto a te. || Possa presto la fortuna | farti ascendere sul trono; | e sarà il più bel dono | che può farci il nostro re.”

Francesco Paolo Ruggiero (1798–1881) giurista, economista e politico italiano

citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 788
Origine: Ruggiero compose sotto il nome di Ferdinando Ingarrica alcune anacreontiche, che in molti attribuirono ad Ingarrica, includendole nelle raccolte di ingarrichiane posteriori al 1860.

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“In che modo grande vi amo, e in che modo piccino! Posso scrivervi due volumi. Posso ripetervi cento volte in ogni pagina che vi amo…”

Dorothea Lieven (1785–1857) nobildonna tedesca

Origine: Citato in Arthur Herman, Metternich, traduzione di Giorgio Liebman, dall'Oglio Editore, Milano, 1958, p. 130.

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“Ma la mia religione sono io: ogni essere umano è diverso dall'altro, perché dobbiamo avere la stessa religione? Io non ho bisogno di credere in un Dio. Fin da piccino, ho imparato a credere in me. È l'insegnamento dei genitori: al limite, Dio è mio padre.”

Jo-Wilfried Tsonga (1985) tennista francese

Origine: Citato in Vincenzo Martucci, «Il mio tennis è pura emozione» http://archiviostorico.gazzetta.it/2010/aprile/13/mio_tennis_pura_emozione__ga_10_100413058.shtml, Gazzetta dello Sport, 13 aprile 2010.

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“Dove l'orso spiccava le api dai tronchi, e l'orsa mugolando allattava gli stupidi orsacchiotti: dove l'alce spaventata fuggiva il dilaniare dei lupi, e i lupi insegnavano ai lupicini a urlare e a sbranare; dove l'astore e i suoi piccini divorarono assai cuciattoli, e i corvi a stormi ci rubavano le oche; ecco, vedete, fuggita è di là ogni gioia, e solo le cornacchie ora cantano lo squallore autunnale. Gli uccellini, con i loro canti, stretti l'uno all'altro si rannicchiano, e, senza affanni, finché dura il freddo, dormono e sognano.”

Kristijonas Donelaitis (1714–1780) scrittore lituano

Origine: Da Le stagioni, Ricchezze d'autunno, in Giuseppe Morici, Il poeta nazionale della Lituania, Cristiano Donalitius, Studi Baltici, 3, 1933, pp. 41-61, traduzione di Giuseppe Morici; citato in Kristijonas Donelaitis, Le Stagioni, traduzione, introduzione e note di Adriano Cerri, prefazione di Pietro U. Dini, Edizioni Joker, Novi Ligure, 2014, appendice testuale, p. 281. ISBN 978-88-7536-353-6

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“Eri tu schivo, Gesù Bambino, | un giorno, e come me piccino? | E che sentivi a vivere | fuori dei Cieli, e proprio come io vivo? | Pensavi mai le cose di lassù, | dove fossero gli angeli chiedevi?”

Francis Thompson (1859–1907) poeta inglese

Origine: Da Gesù Bambino; citato in Aa.Vv., Incontri e scontri col Cristo, a cura di Domenico Porzio, M. Ferro, Milano, 1971, vol. I, p. 189.

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“Signora, se l'essere | Piccina d'aspetto | Vi sembra difetto, | Difetto non è.”

Antonio Guadagnoli (1798–1858) poeta e letterato italiano

da Le donne piccine

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“Neppure in quel momento, mentre si avvicinava alla sua vecchia casa, [Louisa Bounderby] avvertí su di sé alcun benefico influsso. Che cosa aveva piú da spartire ormai con i sogni dell'infanzia, con le sue fiabe leggiadre, con la grazia, la bellezza, l'umanità, le illusioni di cui si adorna il futuro? Tutte cose tanto belle in cui credere da piccoli, da ricordare con tenerezza una volta adulti perché, allora, anche la piú insignificante di esse si eleva alla dignità di una grande e benevola disposizione del cuore che consente ai piccini che soffrono di avventurarsi per le vie irte di sassi di questo mondo, conservando quel piccolo angolo fiorito con le loro mani pure. Un giardino nel quale i figli di Adamo farebbero meglio a entrare piú spesso per scaldarsi al sole con fiducia e semplicità, liberi da vanità mondane.
Già, cos'aveva ormai da spartire con i ricordi dell'infanzia? Il ricordo di come, al primo incontro, attraverso la luce delicata dell'immaginazione, la Ragione, le fosse apparsa come una divinità benefica che additava a divinità altrettanto magnanime e non già come un idolo arcigno, gelido e crudele, con vittime legate mani e piedi; grossa figura ottusa dallo sguardo fisso che solo un sistema di leve, azionato da un preciso numero di tonnellate, sarebbe stato in grado di smuovere. La casa paterna e la fanciullezza le rimandavano immagini di fonti e sorgenti inaridite nell'istante stesso in cui sgorgavano dal suo giovane cuore. Niente acque dorate per lei: esse fluivano invece a fecondare la terra in cui si coglie l'uva dai rovi e il fico dal pruno.”

IX; 1999, p. 236
Tempi difficili, Libro secondo

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“Vi siete mai trovata, dopo una pioggia di autunno, a sbaragliare un esercito di formiche, tracciando sbadatamente il nome del vostro ultimo ballerino sulla sabbia del viale? Qualcuna di quelle povere bestioline sarà rimasta attaccata alla ghiera del vostro ombrellino, torcendosi di spasimo; ma tutte le altre, dopo cinque minuti di pànico e di viavai, saranno tornate ad aggrapparsi disperatamente al loro monticello bruno. – Voi non ci tornereste davvero, e nemmen io; – ma per poter comprendere siffatta caparbietà, che è per certi aspetti eroica, bisogna farci piccini anche noi, chiudere tutto l'orizzonte fra due zolle, e guardare col microscopio le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori.”

Vita dei campi (1880), Fantasticheria
Variante: Vi siete mai trovata, dopo una pioggia di autunno, a sbaragliare un esercito di formiche tracciando sbadatamente il nome del vostro ultimo ballerino sulla sabbia del viale? Qualcuna di quelle povere bestioline sarà rimasta attaccata alla ghiera del vostro ombrellino, torcendosi di spasimo; ma tutte le altre, dopo cinque minuti di panico e di viavai, saranno tornate ad aggrapparsi disperatamente al loro monticello bruno.
Voi non ci tornereste davvero, e nemmeno io; ma per poter comprendere siffatta caparbietà, che è per certi aspetti eroica, bisogna farci piccini anche noi, chiudere tutto l'orizzonte fra due zolle, e guardare col microscopio le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori.

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“I lazzaroni sono i più squallidi miserabili che si possano immaginare: in nessun altro paese d'Europa se ne vedono di somiglianti. Tra' facchini, forse, delle vetrerie londinesi si troverebbero due o tre straccioni come questi. E sono a Napoli seimila di questi lazzaroni e non uno di essi dorme mai in un letto: tutti dormono su' gradini che son davanti a' palazzi, o sulle panche della strada. Ne vedete alcuni – e ciò è davvero scandaloso – sdraiarsi sotto i muri di Palazzo reale e lì starsene per tutta la giornata a riscaldarsi al sole come tanti maiali: lo spettacolo è dei più disgustosi. Quasi tutti son presso che nudi: soffrono molto il freddo e se il clima fosse lor meno propizio morrebbero tutti certamente. Anche tra gli operai pochi portano le calze e le scarpe: i loro bambini poi non ne portano mai. Si dice che siano avvezzi a questo e alle intemperie: tuttavia l'inverno li affligge ugualmente di geloni e di piaghe alle gambe, e fanno proprio pietà. In primavera que' poveri piccini son lasciati completamente nudi, e così i lor genitori riescono pur a fare una piccola economia.
I conventi a Napoli sono ricchi e usano distribuire pane e brodo una volta al giorno a chi domanda questa carità: però i lazzaroni vivono principalmente di quella: altri, o rubando o chiedendo l'elemosina, ottengono abbastanza per soddisfare alle loro necessità e anche per mantenersi sani e robusti.”

Samuel Sharp (chirurgo) (1700–1778) chirurgo e scrittore britannico

da Lettera nona, Napoli, dicembre 1765, pp. 51-52
Lettere dall'Italia 1765-1766

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“Un aforisma francese noto ai più, afferma che nessuno è un eroe pel proprio servo, e cioè che i grandi uomini, veduti da vicino, spesso sembrano molto piccini e dappoco; ma l'inverso era del Sella, che a nessuno appariva così buono e grande come a coloro che avevano con lui giornaliera dimestichezza.”

Alessandro Guiccioli (1843–1922) diplomatico e politico italiano

vol. I, Prefazione, p. V
Variante: Un aforisma francese noto ai più, afferma che nessuno è un eroe pel proprio servo, e cioè che i grandi uomini, veduti da vicino, spesso sembrano molto piccini e dappoco; ma l'inverso era del Sella, che a nessuno appariva così buono e grande come a coloro che avevano con lui giornaliera dimestichezza. (vol. I, Prefazione, p. V)