Frasi su caviglia

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema caviglia, due-giorni, vita, essere.

Frasi su caviglia

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“Queste decisioni spettano soltanto a me. Dopo lo stato d'assedio non c'è che la guerra civile. Ora bisogna che uno di noi due si sacrifichi.”

Vittorio Emanuele III di Savoia (1869–1947) re d'Italia dal 1900 al 1946

a Luigi Facta, dopo che questi proclamò lo stato d'assedio durante la Marcia su Roma; citato in Pier Paolo Cervone, Enrico Caviglia, l'anti Badoglio, Mursia, 1991
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“Un'idiota con le caviglie grosse.”

Frank Sinatra (1915–1998) cantante, attore e conduttore televisivo statunitense
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“[Su Djokovic] Sì, sembrava avesse male alla caviglia… tutte e due… alla schiena… all'anca… un crampo… l'aviaria… antrace… SARS… influenza comune… se uno sta male, sta male. Non so se faccia finta o meno, ma o è uno che chiama il medico per qualunque cosa, oppure è l'uomo più coraggioso del mondo, decidete voi.”

Andy Roddick (1982) tennista statunitense

Origine: Citato in Vanni Gibertini, Le battute memorabili dei tennisti http://www.ubitennis.com/sport/tennis/2011/12/14/637160-battute_memorabili_tennisti.shtml, Ubitennis.com, 4 dicembre 2011.

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“Finito un libro mi metto i pesi alle caviglie per calmarmi con la fatica.”

Ferdinando Camon (1935) scrittore italiano

citato in Corriere della sera, 19 dicembre 2000

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“[Riferito a un Italia-Brasile del 1963] Pelé era così bravo che non veniva neanche voglia di picchiarlo. E poi quella volta lì, a Milano, aveva una caviglia in disordine. Ma doveva giocare. La tariffa del Santos era: 50mila dollari con Pelé dall'inizio, 10mila senza Pelé.”

Giovanni Trapattoni (1939) allenatore di calcio ed ex calciatore italiano

Origine: Citato in Gianni Mura, Auguri re del calcio, una vita senza rivali http://www.repubblica.it/online/sport/pel/pel/pel.html, Repubblica.it, 23 ottobre 2000.

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“Penetrando nel museo, la scorsi subito in fondo ad una sala, e bella proprio come l'avevo immaginata. Non ha la testa, le manca un braccio; mai tuttavia la forma umana mi è parsa più meravigliosa e più seducente. Non è la donna vista dal poeta, la donna idealizzata, la donna divina o maestosa, come la Venere di Milo, è la donna così com'è, così come la si ama, come la si desidera, come la si vuole stringere. È robusta, col petto colmo, l'anca possente e la gamba un po' forte, è una Venere carnale che si immagina coricata quando la si vede in piedi. Il braccio caduto nascondeva i seni; con la mano rimasta, solleva un drappeggio col quale copre, con gesto adorabile, i fascini più misteriosi. Tutto il corpo è fatto, concepito, inclinato per questo movimento, tutte le linee vi si concentrano, tutto il pensiero vi confluisce. Questo gesto semplice e naturale, pieno di pudore e di impudicizia, che nasconde e mostra, che vela e rivela, che attrae e che fugge, sembra definire tutto l'atteggiamento della donna sulla terra. Ed il marmo è vivo. Lo si vorrebbe palpeggiare, con la certezza che cederà sotto la mano, come la carne. Le reni soprattutto sono indicibilmente animate e belle. Si segue, in tutto il suo fascino, la linea morbida e grassa della schiena femminile che va dalla nuca ai talloni, e che, nel contorno delle spalle, nelle rotondità decrescenti delle cosce e nella leggera curva del polpaccio assottigliato fino alle caviglie, rivela tutte le modulazioni della grazia umana. Un'opera d'arte appare superiore soltanto se è, nello stesso tempo, il simbolo e l'esatta espressione di una realtà. La Venere di Siracusa è una donna, ed è anche il simbolo della carne. Dinnanzi al volto della Gioconda, ci si sente ossessionati da non so quale tentazione di amore snervante e mistico. Esistono anche donne viventi i cui occhi ci infondono quel sogno di tenerezza irrealizzabile e misteriosa. Si cerca in esse qualcos'altro dietro le apparenze, perché sembrano contenere ed esprimere un po' di quell'ideale inafferrabile. Noi lo inseguiamo senza mai raggiungerlo, dietro tutte le sorprese della bellezza che pare contenere un pensiero, nell'infinito dello sguardo il quale è semplicemente una sfumatura dell'iride, nel fascino del sorriso nato da una piega delle labbra e da un lampo di smalto, nella grazia del movimento fortuito e dell'armonia delle forme. Così i poeti, impotenti staccatori di stelle, sono sempre stati tormentati da una sete di amore mistico. L'esaltazione naturale di un animo poetico, esasperato dall'eccitazione artistica, spinge quegli esseri scelti a concepire una specie di amore nebuloso, perdutamente tenero, estatico, mai sazio, sensuale senza essere carnale, talmente delicato che un nonnulla lo fa svanire, irrealizzabile sovrumano. E questi poeti sono, forse, i soli uomini che non abbiano mai amato una donna, una vera donna in carne ossa, con le sue qualità di donna, i suoi difetti di donna, la sua mente di donna, ristretta ed affascinante, i suoi nervi di donna e la sua sconcertante femminilità. Qualsiasi creatura davanti a cui si esalta il loro sogno diventa il simbolo di un essere misterioso, ma fantastico: l'essere celebrato da quei cantori di illusioni. E la creatura vivente da loro adorata è qualcosa come la statua dipinta, immagine di un dio di fronte al quale il popolo cade in ginocchio. Ma dov'è questo dio? Qual è questo dio? In quale parte del cielo abita la sconosciuta che quei pazzi, dal primo sognatore fino all'ultimo, hanno tutti idolatrata? Non appena essi toccano una mano che risponde alla stretta, la loro anima vola via nell'invisibile sogno, lontano dalla realtà della carne. La donna che stringono, essi la trasformano, la completano, la sfigurano con la loro arte poetica. Non sono le sue labbra che baciano, bensì le labbra sognate. Non è in fondo agli occhi di lei, azzurri o neri, che si perde così il loro sguardo esaltato, è in qualcosa di sconosciuto e di inconoscibile. L'occhio della loro dea non è altro che un vetro attraverso cui essi cercano di vedere il paradiso dell'amore ideale. Se tuttavia alcune donne seducenti possono dare alle nostre anime una così rara illusione, altri non fanno che eccitare nelle nostre vene l'amore impetuoso che perpetua la razza. La Venere di Siracusa è la perfetta espressione della bellezza possente, sana e semplice. Questo busto stupendo, di marmo di Paros, è - dicono - La Venere Callipigia descritta da Ateneo e Lampridio, data da Eliogabalo ai siracusani. Non ha testa! E che importa? Il simbolo non è diventato più completo. È un corpo di donna che esprime tutta l'autentica poesia della carezza. Schopenhauer scrisse che la natura, volendo perpetuare la specie, ha fatto della riproduzione una trappola. La forma di marmo, vista a Siracusa, è proprio l'umana trappola intuita dall'artista antico, la donna che nasconde rivela l'incredibile mistero della vita. È una trappola? Che importa! Essa chiama la bocca, attira la mano, offre ai baci la tangibile realtà della carne stupenda, della carne soffice bianca, tonda e soda e deliziosa da stringere. È divina, non perché esprima un pensiero, bensì semplicemente perché è bella.”

Guy de Maupassant (1850–1893) scrittore e drammaturgo francese

Incipit di alcune opere, Viaggio in Sicilia

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“[Cristiano Ronaldo] […] è un marchio registrato, un fuoriclasse incredibile, lo farei giocare anche di notte perché lui non si nasconde mai, non chiede di restare fuori se ha un doloretto alla caviglia. E che carisma! Va in campo come se andasse al bagno, con la stessa naturalezza.”

Diego Armando Maradona (1960) allenatore di calcio e calciatore argentino

Con data
Origine: Dall'intervista di Maurizio Crosetti; La pace di Maradona: "Pelé è come Ali. Italia, che problema un ct in partenza" http://www.repubblica.it/sport/calcio/esteri/2016/06/10/news/la_pace_di_maradona_pele_e_come_ali_italia_che_problema_un_ct_in_partenza_maurizio_crosetti-141711298/, Repubblica.it, 10 giugno 2016.

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“Be’… – disse lei, rigirandosi compiaciuta sulla schiena. – Mi piace mangiare roba buona, bistecche e patate rosolate, cose cosí. Mi piace leggere libri e riviste, viaggiare in treno di notte e quelle volte che ho viaggiato in aereo –. Fece una pausa. – Naturalmente non sto elencando le cose in ordine di preferenza. Dovrei pensarci meglio per elencarle in ordine di preferenza. Però mi piace, viaggiare in aereo. C’è un momento quando ci si stacca da terra in cui hai la sensazione che qualsiasi cosa succeda, andrà bene –. Gli passò una gamba sopra la caviglia. – Mi piace stare alzata fino a notte alta e poi restare a letto fino a tardi il giorno dopo. Vorrei tanto potessimo farlo sempre, invece che una volta ogni tanto. E poi mi piace il sesso. Mi piace essere toccata di tanto in tanto quando non me l’aspetto. Mi piace andare al cinema e farmi una birra con le amiche dopo. Mi piace avere amiche. Janice Hendricks mi piace un sacco. Mi piacerebbe andare a ballare almeno una volta a settimana. E avere sempre dei bei vestiti. Mi piacerebbe poter comprare bei vestiti anche per i bambini ogni volta che gli servono, senza dover aspettare. Per esempio Laurie ha bisogno di un vestito nuovo adesso per Pasqua. E mi piacerebbe comprare a Gary un completino o qualcosa del genere. Ormai è grandicello. Vorrei che anche tu avessi un completo nuovo. Anzi, tu ne hai veramente piú bisogno di Gary. E mi piacerebbe che avessimo una casa tutta nostra. Vorrei piantarla di traslocare ogni anno, due anni al massimo. Ma soprattutto vorrei tanto che io e te potessimo vivere una buona vita onesta, senza doverci sempre preoccupare dei conti, dei soldi e roba del genere. Ma tu dormi, – disse. – No che non dormo, – disse lui. – Non riesco a pensare ad altre cose. Ora tocca a te. Dimmi che cosa piacerebbe a te. – Non so. Un sacco di cose, – bofonchiò lui. – Be’, dimmele. Si fa tanto per parlare, no? – Vorrei tanto che mi lasciassi in pace, Nan –. Si rigirò dalla sua parte e lasciò penzolare il braccio oltre il bordo.”

Raymond Carver (1938–1988) scrittore, poeta e saggista statunitense

Da dove sto chiamando

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“Vorrei solo poter restare qui tutta la notte e continuare a scrivere. Scrivere mi fa bene. Lo sento. Anche quando scrivo cose tristi, qualcosa in me si tranquillizza, sento di avere uno scopo.

Voglio rimanere qui e raccontare le cose più semplici. Descrivere la foglia che è appena caduta. O la catasta di sedie in veranda. O le falene attratte dalla lampada. E raccontare ciò che avviene durante la notte finché il buio si tramuta in luce, fino ai cambiamenti di colore. Potrei rimanere qui seduta per giorni e notti a descrivere ogni stelo d'erba, ogni fiore, i sassi del muretto, le pigne. Solo dopo, quando mi sentirò pronta, passerò a scrivere di me. Del mio corpo, per esempio. Comincerò da lui, da ciò che è tangibile. Ma anche con lui partirò da lontano, dalle dita dei piedi, per avvicinarmi piano piano. Descriverò ogni sua parte, ne annoterò le sensazioni, quelle di un tempo e quelle attuali. I ricordi della caviglia, per esempio, o della guancia, o del collo. Perché no? Attraverso le carezze, i baci e le cicatrici. Mantenermi viva con la scrittura. Ci vorrà un sacco di tempo ma ne ho molto a mia disposizione. La vita è lunga e voglio raccontare di me stessa, raccontare quello che probabilmente nessuno mi racconterà mai. La mia storia. Senza aggiunte, ma anche senza detrazioni. Scrivere senza pretendere nulla. Da nessuno. Scrivere solo la mia voce.”

David Grossman (1954) scrittore e saggista israeliano

Be My Knife

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Questa traduzione è in attesa di revisione. È corretto?
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