Frasi su sommesso

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema sommesso, voce, tempo, tre-giorni.

Frasi su sommesso

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“Se interrogate uno storico, o buoni ed amabili lettori, vi risponderà che la tomba della bella Parthenope è sull’altura di San Giovanni Maggiore, dove allora il mare lambiva il piede della montagnola. Un altro vi dirà che la tomba di Parthenope è sull’altura di Sant’Aniello, verso la campagna, sotto Capodimonte. Ebbene, io vi dico che non è vero. Parthenope non ha tomba, Parthenope non è morta. Ella vive, splendida, giovane e bella, da cinquemila anni. Ella corre ancora sui poggi, ella erra sulla spiaggia, ella si affaccia al vulcano, ella si smarrisce nelle vallate. È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori: è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene; è lei che rende irresistibile il profumo dell’arancio; è lei che fa fosforeggiare il mare. Quando nelle giornate d’aprile un’aura calda c’inonda di benessere è il suo alito soave: quando nelle lontananze verdine del bosco di Capodimonte vediamo comparire un’ombra bianca allacciata ad un’altra ombra, è lei col suo amante; quando sentiamo nell’aria un suono di parole innamorate; è la sua voce che le pronunzia; quando un rumore di baci, indistinto, sommesso, ci fa trasalire, sono i suoi baci; quando un fruscìo di abiti ci fa fremere al memore ricordo, è il suo peplo che striscia sull’arena, è il suo piede leggiero che sorvola; quando di lontano, noi stessi ci sentiamo abbruciare alla fiamma di una eruzione spaventosa, è il suo fuoco che ci abbrucia. È lei che fa impazzire la città: è lei che la fa languire ed impallidire di amore: è lei la fa contorcere di passione nelle giornate violente dell’agosto. Parthenope, la vergine, la donna, non muore, non ha tomba, è immortale, è l’amore. Napoli è la città dell’amore.”

Incipit di alcune opere, Leggende napoletane

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“Maierovitch, uomo dalla loquela sommessa e dai lineamenti un po' da gufo, divenne un personaggio di spicco nei primi anni Ottanta, quando collaborò con Giovanni Falcone nei suoi sforzi, coronati da successo, di rintracciare i mafiosi latitanti. Insieme i due convinsero Tommaso Buscetta a tornare in Italia e a divenire un pentito di stato nel cosiddetto maxiprocesso alla cupola della mafia siciliana. Nel gennaio del 1992, grazie alla sua testimonianza furono condannati circa 350 capi mafiosi. Falcone e il suo collega, il magistrato Paolo Borsellino, sono i titani della lotta antimafia in tutto il mondo. Furono assassinati in Sicilia a due mesi di distanza l'uno dall'altro, nel 1992, poco tempo dopo che la sentenza del maxiprocesso era stata confermata, e la loro morte scosse, e infine scardinò, il sistema politico italiano. Entrambi erano partiti (giustamente) dal presupposto che i personaggi più importanti della mafia siciliana godevano della protezione delle più alte gerarchie politiche di Roma. Maierovitch mi racconta delle sue cene con Falcone, e di come si ingegnarono per proteggere il grande pentito Buscetta vuoi da possibili omicidi vuoi dal suicidio. (Un tentativo di suicidio quasi gli riuscì mentre era sotto la tutela del giudice brasiliano.) Dapprima Maierovitch sorride nel ricordare il suo amico italiano, ma dopo un po' comincia a versare lacrime silenziose: un omaggio che ben si addice a Falcone (cui Maierovitch intitolò il suo Istituto di lotta alla criminalità), il cui carisma e impegno in nome della giustizia, alla faccia della classe dirigente corrotta di Roma, hanno fatto di lui un eroe popolare in tutta Italia e presso tutti coloro che nel mondo lottano contro il crimine.”

Misha Glenny (1958) giornalista e scrittore britannico

da McMafia, pagg. 348-349

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“Io non sono un musicista, ma ho molto studiato la declamazione. Mi si accorda il talento di recitare assai bene i versi, e specialmente i miei. Venticinque anni or sono, mi venne fatto di pensare che la sola musica conveniente alla poesia drammatica e, soprattutto, all'aria e al dialogo che noi chiamiamo d'azione, sia quella che maggiormente s'accosta alla declamazione naturale, animata, energica; che la declamazione non è essa stessa che una musica imperfetta; che noi potremmo notarla quale essa è, solo quando avessimo escogitato un numero di segni bastevole ad esprimere tanti toni, tante inflessioni, tanti elevamenti, abbassamenti e sfumature d'una verietà pressocché infinita, quanti sono quelli che la voce assume declamando… Io giunsi a Vienna nel 1761 tutto preso da quest'idea. L'anno seguente, Sua Eccellenza il conte Durazzo, allora direttore degli spettacoli della Corte imperiale, ed oggi suo ambasciatore a Venezia, al quale avevo letto il mio Orfeo, mi sollecitò a darlo in teatro. Io vi acconsentii, a condizione che la musica sarebbe stata scritta a mio piacimento, al quale scopo egli mi indirizzò a Gluck, che – mi disse – si presterebbe a tutto. Io gli lessi il mio Orfeo e, declamandogliene ripetutamente alcuni brani, gli indicai le sfumature che mettevo nella mia declamazione, le sospensioni, i rallentamenti, le accelerazioni, i suoni della voce talvolta forzati, tal'altra fievoli e sommessi, di cui intendevo ch'egli si valesse nella composizione. Lo pregai, al tempo stesso, do abolire i passaggi, le cadenze, i ritornelli e tutto quanto si è introdotto di gotico, di barbaro, di stravagante nella nostra musica. Gluck adottò le mie vedute.”

Ranieri de' Calzabigi (1714–1795) poeta e librettista italiano

citato in Clemente Fusero, Mozart

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“Mi commuove la loro furia archivista del mio biascichio sommesso.”

Gianluca Nicoletti (1954) giornalista, scrittore e conduttore radiofonico italiano
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“Passò molto tempo. Gallardo non sapeva con certezza se avesse dormito o no. Tutto a un tratto risuonò la voce di doña Sol a scuoterlo da quella pesante somnnolenza. Aveva lasciato da parte la sigaretta dalle azzurre spirali e, con voce sommessa dava risalto alle parole, imprimendovi appassionati tremori, cantava accompagnandosi al piano.
Il torero tese gli orecchi per capire qualcosa... Neanche una parola. Erano canzoni straniere. «Accidenti! Perché non un tango o una soleà…? E poi si vorrebbe che un cristiano non si addormentasse!»
Doña Sol posava le dita sui tasti, mentre i suoi occhi vagavano in alto, gettando indietro il capo, mentre il petto solido le tremava con i sospiri musicali.
Era la preghiera di Elsa, il lamento della bionda vergine che pensava all'uomo forte, il bel guerriero invincibile per gli uomini, dolce e timido con le donne.
Pareva sognare mentre cantava, imprimendo alle parole fremiti passionali e gli occhi le si riempivano di lacrime di commozione. L'uomo semplice e forte, il guerriero, forse era lì, dietro di lei… Perché no?
Non aveva l'aspetto leggendario dell'altro, era rude e goffo, ma lei vedeva ancora, con la lucidità di un saldo ricordo, la gagliardia con cui pochi giorni prima era corso in suo aiuto, la sorridente fiducia con cui aveva lottato contro un animale feroce, così come gli eroi wagneriani lottavano contro draghi terrificanti. Sì, era lui il suo guerriero.
E, scossa dai talloni fino alla radice dei capelli da un timore voluttuoso, dandosi anticipatamente per vinta, credeva di intuire il dolce pericolo che si avvicinava alle sue spalle. Vedeva l'eroe, il paladino levarsi lentamente dal divano con quei suoi occhi arabi fissi su di lei; ne sentiva i cauti passi, percepiva le mani di lui posarsi sulle sue spalle; poi un bacio infuocato sulla nuca, marchio di passione che la segnava per sempre, facendola sua schiava… Ma la romanza terminò senza che accadesse niente, senza sentire sulla schiena altra pressione che non fosse quella dei suoi fremiti di timoroso desiderio.”

Vicente Blasco Ibáñez (1867–1928) scrittore, sceneggiatore e regista spagnolo

Origine: Sangue e arena, pp. 115-116

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“La scena del film Scent of a Woman che preferisco è quella del ballo, dopo l'invito fatto con voce sommessa pensando forse a promesse d'amore perdute, a sogni inevasi. Rivela la fantasia e il senso dello spettacolo degli americani, che fanno guidare una Ferrari a un cieco: gli italiani si sarebbero vergognati. Il film è in crescendo, ma io preferisco gli intermezzi più intimisti.”

Giancarlo Giannini (1942) attore italiano

Origine: Citato in Grassi Giovanna, Giannini: doppiare Al Pacino, che lezione https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/04/Giannini_doppiare_Pacino_che_lezione_co_0_9601043158.shtml, Corriere della Sera, 4 gennaio 1996, p. 24.

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“Recentemente un discepolo pensoso (tale Critone) mi ha chiesto: "Maestro, come si può bene appressarsi alla morte?" Ho risposto che l'unico modo di prepararsi alla morte è convincersi che tutti gli altri siano dei coglioni.
[…] cerca soltanto di pensare che, al momento in cui avverti che stai lasciando questa valle, tu abbia la certezza immarcescibile che il mondo (sei miliardi di esseri umani) sia pieno di coglioni, che coglioni siano quelli che stanno danzando in discoteca, coglioni gli scienziati che credono di aver risolto i misteri del cosmo, coglioni i politici che propongono la panacea per i nostri mali, coglioni coloro che riempiono pagine e pagine di insulsi pettegolezzi marginali, coglioni i produttori suicidi che distruggono il pianeta. Non saresti in quel momento felice, sollevato, soddisfatto di abandonare questa valle di coglioni?"
Critone mi ha allora domandato: "Maestro, ma quando devo incominciare a pensare così?" Gli ho risposto che non lo si deve fare molto presto, perché qualcuno che a venti o anche trent'anni pensa che tutti siano dei coglioni è un coglione e non raggiungerà mai la saggezza. Bisogna incominciare pensando che tutti gli altri siano migliori di noi, poi evolvere poco a poco, avere i primi dubbi verso i quaranta, iniziare la revisione tra i cinquanta e i sessanta, e raggiungere la certezza mentre si marcia verso i cento, ma pronti a chiudere in pari non appena giunga il telegramma di convocazione.
Convincersi che tutti gli altri che ci stanno attorno (sei miliardi) siano coglioni, è effetto di un'arte sottile e accorta, non è disposizione del primo Cebete con l'anellino all'orecchio (o al naso). Richiede studio e fatica. Non bisogna accelerare i tempi. Bisogna arrivarci dolcemente, giusto in tempo per morire serenamente. Ma il giorno prima occorre ancora pensare che qualcuno, che amiamo e ammiriamo, proprio coglione non sia. La saggezza consiste nel riconoscere proprio al momento giusto (non prima) che era coglione anche lui. Solo allora si può morire.
[…] È naturale, è umano, è proprio della nostra specie rifiutare la persuasione che gli altri siano tutti indistintamente coglioni, altrimenti perché varrebbe la pena di vivere? Ma quando, alla fine, saprai, avrai compreso perché vale la pena”

Umberto Eco (1932–2016) semiologo, filosofo e scrittore italiano

anzi, è splendido) morire.
Critone mi ha allora detto: "Maestro, non vorrei prendere decisioni precipitose, ma nutro il sospetto che Lei sia un coglione". "Vedi", gli ho detto, "sei già sulla buona strada."
Origine: Da Come prepararsi serenamente alla morte. Sommesse istruzioni a un eventuale discepolo, La bustina di Minerva, L'Espresso, 12 giugno 1997; citato in Umberto Eco: "Come prepararsi serenamente alla morte. Sommesse istruzioni a un eventuale discepolo" http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/20/news/umberto-eco-come-prepararsi-serenamente-alla-morte-sommesse-istruzioni-a-un-eventuale-discepolo-1.251268, Espresso.repubblica.it, 20 febbraio 2016.

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“Quand'io mi avvicino al Trentacoste, mi par d'entrare in un cerchio dove bisogna parlar piano. Ed egli, piccolo e fino, in mezzo a quel cerchio parla piano e sommesso, come chi ha in casa qualche ospite che riposa, e teme di svegliarlo. Come se i suoi ospiti siano le immagini delle sue creazioni da cui si è un po' discostato or ora. È in lui quel timore del mondo esterno che hanno certe anime le quali vivono nella meditazione dei loro sogni. Il mondo è troppo rude per la loro sensibilità delicata.”

Enrico Corradini (1865–1931) scrittore e politico italiano

L'ombra della vita
Variante: Quand'io mi avvicino al Trentacoste, mi par d'entrare in un cerchio dove bisogna parlar piano. Ed egli, piccolo e fino, in mezzo a quel cerchio parla piano e sommesso, come chi ha in casa qualche ospite che riposa, e teme di svegliarlo. Come se i suoi ospiti siano le immagini delle sue creazioni da cui si è un po' discostato or ora. È in lui quel timore del mondo esterno che hanno certe anime le quali vivono nella meditazione dei loro sogni. Il mondo è troppo rude per la loro sensibilità delicata. (Arte, p. 233)
Origine: Da Arte, p. 233.