Frasi su stesso
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“[Rispondendo alle dichiarazioni di Antonio Cassano del 15 novembre 2012] Leggo con stupore le dichiarazioni rilasciate oggi dal signor Cassano, a seguito delle quali mi trovo costretto a fare alcune precisazioni: in primo luogo, non ho mai proferito il termine «moralità», della quale, tra l'altro, sono molto dotato, nonostante la squalifica per omessa denuncia sulla quale ho già espresso le mie opinioni in passato. Alla domanda su come vengano effettuate le scelte dei giocatori della Juventus ho fatto riferimento all'uomo, inteso come interprete del ruolo di calciatore in maniera professionalmente ineccepibile. Vale a dire: l'impegno, il rispetto delle regole, il rispetto dei ruoli, l'attaccamento al bene comune della squadra. Mi sembra che il signor Cassano nella propria carriera abbia più volte dimostrato sul campo e fuori dal campo, vedi imitazioni di Capello al Real Madrid, o le corna mostrate all'arbitro Rosetti ed altri episodi, di non avere i requisiti richiesti dal sottoscritto. Inoltre altri aneddoti in tal senso ce li ha raccontati lui stesso nella sua biografia. Ritengo pertanto di non dover aggiungere altro, fermo restando che quando uso determinati termini, ne valuto appieno il significato letterale.”

Antonio Conte (1969) calciatore e allenatore italiano

Origine: Citato in Conte risponde a Cassano: «Mai parlato di moralità» http://www.tuttosport.com/calcio/serie_a/juventus/2012/11/15-226224/Conte+risponde+a+Cassano%3A+%C2%ABMai+parlato+di+moralit%C3%A0%C2%BB, Tuttosport, 15 novembre 2012.

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“Sono l'allenatore della Juve e il suo primo tifoso ma sono soprattutto un professionista, ma il giorno in cui dovessi lavorare per l'Inter, come per il Milan o la Roma o la Lazio ne diventerei allo stesso modo il primo tifoso e farei di tutto per vincere. Forse qualcuno questo non l'ha capito, oppure fa gioco insistere sul mio tifo per la Juve per rendermi ancora più odioso agli altri. Ma deve essere chiaro che io sono un professionista.”

Antonio Conte (1969) calciatore e allenatore italiano

Origine: Citato in Marco Ansaldo, Conte: "Se dovessi lavorare per l'Inter, Milan o la Roma ne diventerei il primo tifoso e farei di tutto per vincere" http://www.lastampa.it/2013/03/29/sport/calcio/qui-juve/conte-se-dovessi-lavorare-per-per-inter-milan-vincere-la-roma-ne-diventerei-il-primo-tifoso-e-farei-di-tutto-TX91dPUoqMG1TZYpYhyQhM/pagina.html, Lastampa.it, 29 marzo 2013.

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“Voglio continuare a crescere, a stupire me stesso e gli altri. La Juventus non è un punto di arrivo. Tutto per me è un punto di partenza.”

Antonio Conte (1969) calciatore e allenatore italiano

Origine: Citato in Conte: Juve non è punto d'arrivo http://www.corrieredellosport.it/calcio/2012/05/08-238142/Conte%3A+Juve+non+e'+punto+d'arrivo, Corriere dello Sport.it, 8 maggio 2012.

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“Disperazione o follia?", disse Gandalf. "Non è disperazione, perché la disperazione è solo per coloro che vedono la fine senza dubbio possibile. Non è il nostro caso. È saggezza riconoscere la necessità quando tutte le altre vie sono state soppesate, benché possa sembrare follia a chi si appiglia a false speranze. Ebbene, che la follia sia il nostro manto, un velo dinnanzi agli occhi del Nemico! Egli è molto saggio, e soppesa ogni cosa con estrema accuratezza sulla bilancia della sua malvagità. Ma l'unica misura che conosce è il desiderio, desiderio di potere, ed egli giudica tutti i cuori alla stessa stregua. La sua mente non accetterebbe mai il pensiero che qualcuno possa rifiutare il tanto bramato potere, o che, possedendo l'Anello, voglia distruggerlo. questa dev'esser dunque la nostra mira, se vogliamo confondere i suoi calcoli.”

Variante: "Disperazione o follia?", disse Gandalf. "Non è disperazione, perché la disperazione è solo per coloro che vedono la fine senza dubbio possibile. Non è il nostro caso. È saggezza riconoscere la necessità quando tutte le altre vie sono state soppesate, benché possa sembrare follia a chi si appiglia a false speranze. Ebbene, che la follia sia il nostro manto, un velo dinnanzi agli occhi del Nemico! Egli è molto saggio, e soppesa ogni cosa con estrema accuratezza sulla bilancia della sua malvagità. Ma l'unica misura che conosce è il desiderio, desiderio di potere, ed egli giudica tutti i cuori alla stessa stregua. La sua mente non accetterebbe mai il pensiero che qualcuno possa rifiutare il tanto bramato potere, o che, possedendo l'Anello, voglia distruggerlo. questa dev'esser dunque la nostra mira, se vogliamo confondere i suoi calcoli".
Origine: Il Signore degli Anelli, La Compagnia dell'Anello, p. 339

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“È questo il momento in cui la stessa collera della natura scatenata sul Mezzogiorno dà un tono perentorio alla protesta delle popolazioni meridionali. Le quali, ed è qui la novità, non vogliono elemosine, provvidenze paternalistiche che ripugnano alla loro coscienza civile e politica. Conoscendo i limiti del proprio diritto, e misurando su quei limiti, senza alcuno zelo servile, il loro dovere, le popolazioni meridionali vogliono soltanto quel che loro spetta come facenti parte della famiglia italiana, nella quale, con l'Unità, si sono illuse di entrare a parità di diritti, non avendone che lo sfruttamento e la degradazione. Tutto questo è stato reso possibile dal tradimento della classe politica che aveva in mano le sorti del Mezzogiorno. La borghesia terriera del Sud accettò lo sfruttamento perpetrato dal protezionismo industriale del Nord per avere, in cambio, qualche posticino nel branco delle maggioranze governative, il possesso indisturbato della terra e la continuità dell'oscurantismo.
«In omaggio alla verità, nostra sola padrona, aggiungeremo che, al banchetto protezionista, se pur prendendo solo le briciole, parteciparono alcune aristocrazie operaie del Nord portate dalla dinamica di classe a realizzare migliori salari, anche se ottenuti con una maggiorata soffocazione economica delle popolazioni rurali del Sud. […] La Questione Meridionale è tutta la questione italiana. Se la piaga della degradazione non si chiude, la cancrena che potrebbe seguirne non minaccerebbe solo la distruzione della parte malata ma l'intero organismo nazionale. […]”

Leonida Rèpaci (1898–1985) scrittore

Origine: Calabria grande e amara, pp. 162-163

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“[La vicenda biografia di Macalda Scaletta] Della vita di que' baroni ci è saggio la storia di Macalda di Scaletta. Vedova di un Guglielmo d'Amico, esigliato al tempo degli Svevi, era andata profuga in abito di frate Minore, stette a Napoli, a Messina, e da Carlo d'Angiò ricuperò i beni confiscati al marito. Sposatasi ad Alaimo di Lentini, uno de' più fervorosi nel Vespro, tradì i Francesi che a lei, come beneficata da Carlo, rifuggiavano in Catania, della qual città suo marito fu fatto governatore. Quand'egli andò alla guerra di Messina, essa ne tenne le veci; e sui quarant'anni, pure ancor bella, generosa net donare, vestiva piastre e maglie; e con una mazza d'argento alla mano, emulava i cavalieri ne' cimenti guerreschi. Di sua onestà chi bene disse, chi ogni male. Aspirò agli amori di re Pietro, lo accompagnò, gli chiese ricovero; ma egli non volle comprenderla, di che essa pensò vendicarsi.
Alaimo fu poi fatto maestro giustiziere, e valse a reprimere i molti che reluttavano alla nuova dominazione, e acquistò tal reputazione che eccitò la gelosia dell'infante don Giacomo. La crescevano i superbi portamenti di Macalda, la quale tenevasi alta fin con Costanza, e non volea dirle regina, ma solo madre di don Giacomo; se compariva alla Corte, era per isfoggiare abiti e gioie. Contro ogni decenza, volle in un convento passar la gravidanza e il parto, sol per godere l'amenità del luogo : Costanza fu a visitarla, e n'ebbe accoglienze sgarbate; offri di levar al battesimo il neonato, e Macalda rispose non voler esporlo a quel bagno freddo, poi tre giorni appresso vel fece tenere da popolani. Costanza, mal in salute, si fece portare in lettiga da Palermo al duomo di Monreale; e Macalda essa pure, per le strade della città e fin a Nicosia in lettiga coperta di scarlatto, di che fu un gran mormorare. Re Giacomo viaggiava con trenta cavalli di scorta; e Macalda con trecento, e volea far da giustiziere, e apponeva a re Pietro di avere mal compensato coloro, che del resto l'aveano domandato compagno e non re.
Alaimo condiscendeva alla moglie, e dicono le giurasse non dar mai consigli a danno de' Francesi, anzi procurarle il ritorno in Sicilia. Se il facesse noi sappiamo; certo i re aragonesi gli si avversarono, fors'anche per la solita ingratitudine a chi più beneficò. Giacomo finge spedire Alaimo in gran diligenza a suo padre in Catalogna per sollecitarne ajuti : Alaimo va, è accolto con ogni maniera di cortesia; ma appena egli partì, la plebe di Messina, sollecitata dal Loria, lo grida traditore, affollasi alla sua casa ad ammazzare i Francesi prigionieri di guerra che vi tenea, e così quelli che stavano nelle carceri e che egli aveva salvati. Macalda accorse per sostenere i suoi fautori, ma vide il marito dichiarato fellone e confiscatigli i beni, Matteo Scaletta fratello di lei, decapitato; ella stessa chiusa in un castello, forse vi lini la vita. Alaimo, dopo alquanti anni, fu rimandato verso la Sicilia, e come fu in vista della patria isola, buttato in mare.”

Cesare Cantù (1804–1895) storico, letterato e politico italiano

Vol. IV, cap. CII, p. 177
Storia degli Italiani

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“Perciò non devi attribuire a Epicuro quei pensieri che t'ho inviato: sono di dominio pubblico, e soprattutto della nostra scuola. […]
Dovunque volgi lo sguardo, ti si presentano massime che potrebbero considerarsi notevoli se non si leggessero insieme con altre dello stesso valore. Perciò abbandona la speranza di poter gustare superficialmente l'ingegno dei sommi uomini; tu devi studiarlo e considerarlo nella sua unità. Ogni suo aspetto ne richiama sempre un altro, ciascuna parte, connettendosi con l'altra, dà completezza all'opera dell'ingegno umano. Niente può essere tolto senza rompere l'unità del pensiero. Non dico che non si possano considerare le singole membra, purché non si prescinda dall'intero organismo. […]
Ma per un uomo di matura esperienza è disdicevole cercare fiorellini, sostenersi con poche massime ben note e affidarsi alla memoria. È ormai tempo che uno poggi su se stesso, che esprima questi pensieri con parole sue e non a memoria. Ed è specialmente disdicevole per un vecchio o per uno che si affaccia alla vecchiaia una cultura basata su raccolte di esempi scolastici. «Questo l'ha detto Zenone». E tu che dici? «Questo l'ha detto Cleante.» E tu? Fino a quando ti muoverai sotto la guida di un altro? Prendi tu il comando ed esprimi anche qualcosa di tuo, che altri mandino a memoria. […]
Hanno esercitato la memoria sul pensiero altrui, ma altro è ricordare, altro è sapere. Ricordare è custodire ciò che è stato affidato alla memoria, mentre sapere significa far proprie le nozioni apprese e non star sempre attaccato al modello, con lo sguardo sempre rivolto al maestro. «Questo l'ha detto Zenone, questo Cleante.» Ci sia qualche differenza fra te e il tuo libro. Fino a quando penserai ad imparare? È tempo anche di insegnare. Che ragione c'è che io senta dire da te quello che posso leggere in un libro? […]
La verità è accessibile a tutti, non è dominio riservato di nessuno, e il campo che essa lascia ai posteri è ancora vasto.”

lettera 33; 1975
Epistulae morales ad Lucilium

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“Questa [thumos] è la parola ipostatica di gran lunga più comune e importante dell'intero poema [l'Iliade]. Essa ha una frequenza tre volte maggiore rispetto a qualsiasi altra. In origine, nella fase oggettiva, doveva significare semplicemente un'attività percepita esteriormente, e non aveva nessuna connotazione interiore. Questo uso miceneo è documentato spesso nell' Iliade, specialmete nelle scene di battaglia, dove un guerriero che colpisce con la lancia nel posto giusto fa cessare il thumos o attività di un altro.
La seconda fase o fase interna, come abbiamo visto nell'ira di Achille, si presenta in una situazione di stress nuova, durante il periodo del crollo della mente bicamerale, quando la soglia di stress che si richiedeva per l'evocazione di voci allucinatorie era più elevata. Il thumos si riferisce allora a un insieme di sensazioni interne in risposta a crisi esterne. […] insieme di sensazioni interne che precedeva un'attività particolarmente violenta in una situazione critica. Presentandosi in modo ricorrente, il tipo di sensazione comincia ad appropriarsi del vocabolo che in precedenza designava l'attività stessa. Da questo momento in poi è il thumos a conferire forza a un gueriero in battaglia, ecc. Tutti i riferimenti al thumos come sensazione interna nell' Iliade sono in accordo con questa interpretazione.
Ora, l'importante transizione alla terza fase, quella soggettiva, è già iniziata nell' Iliade stessa, benché non ancora in modo molto appariscente. La percepiamo nella metafora inespressa del thumos come qualcosa di simile a un recipiente: in vari passi menos o vigore è «infuso» nel thumos di qualcuno (XVII, 451; XXII, 312). Il thumos viene anche paragonato implicitamente a una persona: non è Aiace che è ansioso di combattere ma il suo thumos (XIII, 73), né è Enea a rallegrarsi ma il suo thumos (XIII, 494; si veda anche XIV, 156). Se non è un dio, è il thumos a «spingere» più spesso un uomo a un'azione. E come se esso fosse un'altra persona, un uomo può parlare al suo thumos (XI, 403) e può udire ciò che questo ha da dirgli (VII, 68) o sentire la sua risposta come quella di un dio (IX, 702).
Tutte queste metafore sono estremamente importanti. Dire che le sensazioni interne di grandi mutamenti circolatori e muscolari sono una cosa in cui si può infondere forza, significa generare uno «spazio» immaginato, qui collocato sempre nel petto, che è l'antecedente dello spazio mentale della coscienza contemporanea. E confrontare la funzione di tale sensazione con quella di un'altra persona o anche con i meno frequenti interventi degli dèi significa iniziare quei processi metaforici che in seguito diventeranno l'analogo «io.»”

Origine: Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza, pp. 314-316

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“Lei mi disse: "Mi sono meravigliata | di un amante che a causa dei suoi meriti | cammina fieramente | tra i fiori in un giardino". || "Non ti meravigliar di ciò che vedi | – io replicai – perché | te stessa tu hai veduto | entro uno specchio umano."”

Ibn Arabi (1165–1240) filosofo, mistico e poeta arabo

X, ss.1-2; 2008
L'interprete delle passioni
Origine: [...] Questa è la stazione della contemplazione di Dio nelle cose create; alcuni dicono che essa sia superiore a quella della contemplazione delle cose create in Dio.

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“[Su Pietro Mennea] Era sempre atterrito, assaliva se stesso, aveva sensi di colpa che si generavano uno dall'altro, anche per colpa della madre, fervente cattolica. Non gli stava mai bene niente e niente gli bastava, era sempre in cerca di un'immaginaria perfezione. Ma la verità è che era proprio questa la sua magica benzina: la più assoluta dedizione al dovere e alla fatica.”

Carlo Vittori (1931–2015) atleta e allenatore di atletica leggera italiano

Origine: Dall'intervista di Enrico Sisti, Vittori: Si liberava con la fatica a Mosca sconfisse le sue paure http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/22/vittori-si-liberava-con-la-fatica-mosca.html, la Repubblica, 22 marzo 2013.

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“Io e Schumacher abbiamo molto in comune, lo stesso entusiasmo e la stessa passione in pista. Mi piacerebbe vincere tanti titoli quanti quelli conquistati da Michael con la Ferrari ma sarà abbastanza difficile.”

Fernando Alonso (1981) pilota automobilistico spagnolo

Origine: Citato in Schumacher benedice Alonso: "Lui in Ferrari, grande idea" http://www.gazzetta.it/Motori/Formula1/01-10-2009/schumacher-benedice-alonso-501469823401.shtml, Gazzetta.it, 1 ottobre 2009.

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“Una volta, dopo il tè della sera Tolstoj, che si sentiva male, mi chiamò in camera sua. Alloggiava allora in basso […].
— Che cosa vi preoccupa, ora? A che pensate? — mi domandò, sdraiandosi sul grande divano coperto di tela cerata nera e comprimendosi il fegato malato con la mano passata sotto la cintura.
— A Dio. Cerco di chiarire in me questo concetto.
— In casi simili, mi ricordo sempre della definizione di Matthew Arnold. Ve ne ricordate? «Dio è la cosa eterna, posta al di fuori di noi, che ci conduce e che esige da noi la santità.» Aveva studiato i libri del Vecchio Testamento, e, per quell'epoca, la definizione era sufficiente. Ma, dopo Cristo, bisogna aggiungere che, al contempo, Dio è l'amore.
«Ognuno di noi possiede la propria rappresentazione di Dio. Per i materialisti Dio è la materia, benché ciò sia completamente erroneo; per Kant, è una cosa, per una contadina illetterata è un'altra.» Egli continuava così rispondendo al più completo disappunto che si dipingeva sul mio volto.
— Ma che cos'è questa nozione, se differisce in ciascun individuo? Tutte le altre nozioni sono forse le stesse per tutti!
— Perché? Esiste una moltitudine d'oggetti che gli uomini si rappresentano in modo nettamente diverso.
— Per esempio?
— Ce ne sono quanti ne volete… Ecco, per esempio… prendiamo non foss'altro l'aria: per un fanciullo non esiste; un adulto la conosce, come poter dire ciò?, diciamo che col senso del tatto egli l'aspira; ma per un chimico è tutt'altro.
Il Maestro parlava con voce calma e convincente come si parla con i fanciulli.
— Ma, se si hanno concezioni diverse di questo oggetto, perché, per nominarlo, ci si serve della stessa parola "Dio"? La contadina che lo nomina vuole esprimere una cosa diversa dalla vostra?
— Le nostre concezioni sono diverse, ma hanno anche un certo elemento comune. Per tutti gli uomini, questa parola evoca nella sua essenza una nozione che è comune a tutti loro, ed è perciò che non si può sostituire questa parola con nessun'altra.”

Victor Lebrun (1882–1979) scrittore e attivista francese

pp. 111-113
Variante: Una volta, dopo il tè della sera Tolstoj, che si sentiva male, mi chiamò in camera sua. Alloggiava allora in basso [... ].— Che cosa vi preoccupa, ora? A che pensate? — mi domandò, sdraiandosi sul grande divano coperto di tela cerata nera e comprimendosi il fegato malato con la mano passata sotto la cintura.— A Dio. Cerco di chiarire in me questo concetto.— In casi simili, mi ricordo sempre della definizione di Matthew Arnold. Ve ne ricordate? «Dio è la cosa eterna, posta al di fuori di noi, che ci conduce e che esige da noi la santità.» Aveva studiato i libri del Vecchio Testamento, e, per quell'epoca, la definizione era sufficiente. Ma, dopo Cristo, bisogna aggiungere che, al contempo, Dio è l'amore.<!-- la chiusura di virgolette manca così nel testo -->«Ognuno di noi possiede la propria rappresentazione di Dio. Per i materialisti Dio è la materia, benché ciò sia completamente erroneo; per Kant, è una cosa, per una contadina illetterata è un'altra.» Egli continuava così rispondendo al più completo disappunto che si dipingeva sul mio volto.— Ma che cos'è questa nozione, se differisce in ciascun individuo? Tutte le altre nozioni sono forse le stesse per tutti!— Perché? Esiste una moltitudine d'oggetti che gli uomini si rappresentano in modo nettamente diverso.— Per esempio?— Ce ne sono quanti ne volete... Ecco, per esempio... prendiamo non foss'altro l'aria: per un fanciullo non esiste; un adulto la conosce, come poter dire ciò?, diciamo che col senso del tatto egli l'aspira; ma per un chimico è tutt'altro. Il Maestro parlava con voce calma e convincente come si parla con i fanciulli.— Ma, se si hanno concezioni diverse di questo oggetto, perché, per nominarlo, ci si serve della stessa parola "Dio"? La contadina che lo nomina vuole esprimere una cosa diversa dalla vostra?— Le nostre concezioni sono diverse, ma hanno anche un certo elemento comune. Per tutti gli uomini, questa parola evoca nella sua essenza una nozione che è comune a tutti loro, ed è perciò che non si può sostituire questa parola con nessun'altra.

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“L'infuriare d'una rivoluzione — come tutto ciò che è critico; e nessuno, in un senso o in un altro, vorrà negare che lo stato della lingua italiana d'oggi sia tale — richiede ben altro che la sovrana flemma del teorico. Si voglia imbrigliarla o guidarla, non si avrà da lui più di questo: una volta arrivati a chiudere quel certo particolare problema nel complesso quadro dei suggerimenti attinti da trattati e codici, e trovato quindi, finalmente, come affrontarlo, gli sviluppi avranno cambiato faccia all'intera situazione, così da obbligare a un nuovo studio daccapo, su un nuovo problema particolare. Non rimarrà dunque, come risultato, che assistere passivamente. Ed è ciò che appunto fanno il Migliorini e chi ne segue i princìpi […]. […] Non la glottotecnica, ma il videotecnico (si veda a suo luogo), ha potere sull'italiano dei nostri giorni; cioè il popolo, secondo un ordine o disordine molto più naturale; cioè tutti, nel senso proprio che quest'aggettivo non ha mai avuto quanto oggi: senza distinzione di soggetti, com'è ormai senza distinzione di generi la lingua stessa, l'oggetto. Tutti, dunque, con mano libera sulla lingua di tutti (che non è più né comune né tecnica né letteraria e via dicendo).
Volgo disperso, anche se in begli abiti, quei tutti mancano d'una vera guida; perché manca, come abbiamo visto, l'altro elemento naturale nella fucina della lingua nuova: il poietès, l'artigiano studioso e colto… Se n'è andato, se ne va continuamente ("evadendo"); va e viene secondo il comodo o secondo, diremo meglio, il costume dei tempi. Eppure, c'è chi ancora, contro il sovvertimento d'ogni idea, guarda a lui, alla sua ideale e naturale torretta, aspettando di lì, e non da quella del linguista, i lumi. Giacché una lingua non può far a meno di saldi e disciplinati e meditati esemplari scritti: modelli vivi, che ricompongano, nella città dei parlanti e scriventi, l'armonia fra popolo e maestri.
Maestro di lingua, in ogni tempo, è sempre stato prima di tutti lo scrittore. E gli stessi maestri con titolo, insegnanti d'ogni grado di scuola, l'hanno imparata da. lui, più che dalle università. Da lui sono stati educati; da lui, nella sciatteria e nella "facilità", diseducati.”

Franco Fochi (1921–2007) linguista e saggista italiano

Filologi e scrittori, p. 349
Lingua in rivoluzione

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“Nei casi in cui mi preoccupano questioni di stile e di esposizione cerco di seguire una massima semplice: se non lo posso esporre con chiarezza non lo posso nemmeno comprendere io stesso.”

John Searle (1932) filosofo statunitense

Origine: "Where questions of style and exposition are concerned I try to follow a simple maxim: if you can't say it clearly you don't understand it yourself." (da Intentionality: An Essay in the Philosophy of Mind, Cambridge University Press, 1983, p. X)

“L'intento di Ščeglov è spiegare l'impressione comune, contraddittoria, che il mondo ovidiano lascia nel lettore: grande varietà e ricchezza, ma insieme grande unità, e parentela fra tutte le cose. Cercando di individuare i fattori che suscitano questa duplice impressione, Ščeglov – eccellente filologo – considera la strana insistenza con cui nel poema vengono usati epiteti che a prima vista possono apparire superflui o ornamentali (lungo serpente, umide paludi ecc.), e nota come questi abbinamenti abbiano invece la precisa funzione di isolare proprietà oggettive, di fissare tratti distintivi mediante concetti geometrici e fisici; e passando alla tecnica delle descrizioni ovidiane, in prima linea quelle delle trasformazioni, ci mostra come la riduzione di ogni fenomeno a un ristretto numero di elementi fondamentali (le proprietà, i tratti distintivi) abbia tutta una catena di effetti: da un lato Ovidio caratterizza non singole cose, ma classi di cose; dall'altro, dato che i concetti geometrici e fisici sono applicabili alle cose piú disparate, tutto diventa commensurabile e quindi riducibile ad altro: e qui appunto è riposto il segreto della facilità con cui le trasformazioni avvengono nel poema e sono da noi accettate, e il mondo per le infinite combinazioni possibili si allarga, e al tempo stesso, però, riportato a un livello unico, ci si presenta come un sistema.”

Piero Bernardini Marzolla (1929–2019) glottologo, filologo e traduttore italiano

Origine: Metamorfosi, p. XXI

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“Avevo lasciato questo pianeta, abbandonando i poveri terrestri alle loro occupazioni tanto molteplici quanto inutili; finalmente vivevo nello splendore scintillante delle stelle, che mi apparivano grandi come milioni di soli! In altre occasioni non ero riuscito ad ottenere quel tipo di illuminazione per le scene delle mie opere: nel grande teatro dell'Opéra i fondali troppo spesso rimangono in ombra. Ormai non dovevo più rispondere alle lettere, avevo detto addio alle prime rappresentazioni, alle discussioni letterarie e a tutto ciò che vi si mescolava.
Niente giornali, niente cene, niente notti agitate!
Ah! se avessi potuto consigliare ai miei amici di raggiungermi dove mi trovavo. Non avrei esitato a chiamarli a me. Ma l'avrebbero fatto?
Prima di ritirarmi in questo soggiorno lontano avevo scritto le mie ultime volontà (un marito infelice avrebbe approfittato di questa occasione testamentaria per scrivere con voluttà «Le Mie Prime Volontà»). Avevo soprattutto espresso il desiderio di essere inumato a Egreville, vicino alla dimora familiare nella quale avevo vissuto per tanto tempo. Oh! Il buon cimitero! In aperta campagna: in un silenzio che si conviene a coloro che vi abitano.
Avevo evitato che si evitasse di appendere alla mia porta quelle tende nere, fatte apposta per i clienti. Desideravo che una vettura anonima mi facesse lasciare Parigi. Il viaggio, secondo le mie volontà, aveva avuto luogo alle otto di mattina. Un paio di giornali della sera ritennero di dover informare i loro lettori della mia morte.
Alcuni amici – ne avevo ancora la sera prima – andarono ad informarsi dal mio portinaio se la notizia era vera, e lui rispose: «Ahimè! Monsieur è partito senza lasciare indirizzo.» E la sua risposta era vera, perché non sapeva dove mi portasse quella macchina.
All'ora di pranzo, alcuni conoscenti mi fecero l'onore di condolersi; nel pomeriggio si parlò dell'avvenimento addirittura nei teatri, qua e là:
«– Adesso che è morto non lo eseguiranno più così spesso, vero?
«– Sapete che ha lasciato un'opera inedita? Ma non smetterà mai di togliere il lavoro alla gente?
«– Io, parola mia, gli volevo bene! Nelle sue opere avevo sempre dei grossi successi!
Ed era una bella voce di donna a dire quest'ultima frase.
Dal mio editore, piangevano: mi volevano tanto bene!
A casa mia, Rue de Vaugirard, mia moglie e mia figlia, i miei nipoti i miei bisnipoti erano riuniti: e nei singhiozzi quasi provavano una consolazione.
La mia famiglia doveva arrivare a Egreville la sera stessa del mio seppellimento.
E la mia anima (l'anima sopravvive al corpo) sentiva venire tutti questi rumori dalla città che avevo abbandonata. Man mano che la macchina me ne allontanava, le parole, i rumori, si confondevano, e io sapevo, visto che mi ero fatto costruire da parecchio tempo la tomba, che la fatal pietra, una volta sigillata, sarebbe diventata nel giro di poche ore la porta dell'oblio.”

Jules Massenet (1842–1912) compositore francese

da Epilogo in cielo, l'Echo de Paris, 11 luglio 1912; citato nell'epilogo a Don Quichotte, prefazione di Piero Faggioni, Stagione Lirica 1985-86, E. A. Teatro San Carlo, Napoli 1985, p. 84

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“[Roberto Mattioli al suo ospite ristoratore] Gli spaghetti del Conte Pinto non saranno niente ma li ho mangiati lo stesso con voluttà.”

Roberto Mattioli (1963) conduttore televisivo e conduttore radiofonico italiano

Da Prima che sia troppo tardi- SMtv San Marino del 19 marzo 1996

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“Ormai non mi sto più a sentire nemmeno quando parlo a me stesso.”

Antonio Amurri (1925–1992) scrittore e paroliere italiano

Qui lo dico e qui lo nego

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“Con noi del Napoli è stato solo Diego. Non ci ha mai fatto pesare la sua superiorità. Non ha mai detto: ragazzi, datemi la palla che ci penso io. Non guardava a se stesso, era generoso e pensava alla squadra. È stato un compagno perfetto.”

Salvatore Bagni (1956) calciatore e dirigente sportivo italiano

Origine: Citato in Germano Bovolenta, I 50 anni di Maradona Gol, genio, amori e follie http://www.gazzetta.it/Calcio/30-10-2010/i-50-anni-maradona-711639877826.shtml, Gazzetta.it, 30 ottobre 2010.

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“Il re Pietro, risaputa in Randazzo la partenza dell'esercito francese, andò a Milazzo, costrinse quel presidio ad arrendersi, e di là mosse verso Messina. Era con lui Macalda di Scaletta, seconda moglie di Alaimo di Lentini. Ell'era vedova di un conte Guglielmo d'Amico, esule al tempo degli Svevi : avea vagato per diversi paesi in veste di frate minore : poi soggiornò in Napoli ed in Messina con non buona riputazione di onestà; riebbe da Carlo i beni che l'erano stati confiscati, e si rimaritò con Alaimo. Nel vespro stando in Catania, tradì i Francesi, che a lei eransi affidati, tolse loro le robe e li consegnò al popolo; ed ella governò quella città in nome del marito occupato nella guerra di Messina. Macalda si presentò a re Pietro in Randazzo: andava coperta di piastre e di maglie di ferro, portava in mano una grossa mazza di argento; ed avvegnaché toccasse già i quarantanni, nondimeno, come scrisse il D'Esclot «ella era molto bella e gentile, e valente del cuore e del corpo, larga nel donare, e, quando ne era luogo e tempo, valea nell'arme al pari di un cavaliero». Il re l'accolse con molta cortesia, la ricondusse egli stesso all'albergo, ma i desiderj della donna o non intese, o dissimulò. Giunti a Santa Lucia, sulla via da Milazzo a Messina, Macalda viene al re, dice non aver trovato ove passar la notte, gli chiede voglia albergarla. Il re le cede le sue stanze e si ritira in altro luogo. Lo siegue Macalda; ed allora il re chiama i suoi cavalieri, s'intrattiene in discorsi senza costrutto, come suole chi annoiasi o voglia prender tempo, e da ultimo si addormenta; offesa che risentì profondamente Macalda, la quale più tardi, per vendicarsene, rovinò sé ed il marito, come a suo luogo sarà discorso.”

Giuseppe La Farina (1815–1863) patriota e scrittore italiano

Vol VI: 1250-1314, Cap. XLVII – Continuazione delle cose di Sicilia, p. 274
Storia d'Italia narrata al popolo italiano
Origine: Cronaca Catalana, c. 96
Origine: l D'Esclot, che in tutto il racconto si mostra favorevole a Macalda, dice : Quando la donna vide il re, ne rimase innamorata come di colui ch'era valente e piacevole signore, non già per cattiva intenzione». Ma Bartolommeo di Neocastro concittadino di Macalda la descrive come una Messalina.

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“Tutti gli amori dell'uomo, ancorché diversi, hanno lo stesso motore.”

Vittorio Alfieri (1749–1803) drammaturgo italiano

1967, p. 6

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“L'accelerazione dei tempi e la velocità crescente del cambiamento mettono in discussione il valore stesso dell'esperienza.”

Pier Luigi Celli (1942) imprenditore, dirigente d'azienda e saggista italiano

Origine: Narrare la Leadership, p. 26

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“Gli affari cui non puoi per te stesso sopraintendere commetti agli altri, sempre però pensando che quanto faranno sarà a te attribuito.”

Isocrate (-436–-338 a.C.) oratore e filosofo ateniese

De' doveri del sovrano

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