Frasi su scarico

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema scarico, parte, dire, due-giorni.

Frasi su scarico

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“Perché le persone interessanti sono così poche? Con tanti milioni, perché sono così poche? Dobbiamo continuare a vivere con questa specie noiosa e monotona? Sembra che il loro unico gesto sia la Violenza. In quello sono bravissimi. Brillano. Luccicore di merda, che ci ammorba ogni possibilità. Il problema è che devo continuare a interagire con loro. Almeno se voglio che le luci continuino ad accendersi, che mi riparino il computer, se voglio tirare lo scarico del cesso, se devo comprare le gomme nuove, farmi togliere un dente o farmi tagliare la pancia, devo continuare a interagire. Ho bisogno di quegli stronzi per le piccole necessità, anche se loro, in sé, mi fanno inorridire. E inorridire è una parola gentile.
Ma mi martellano la coscienza con i loro fallimenti in aree vitali. Tutti i giorni, per esempio, mentre vado alle corse continuo a sintonizzare la radio su stazioni diverse in cerca di musica, musica decente. È tutta brutta, piatta, senza vita, stonata, fiacca. Eppure alcune di queste composizioni si vendono a milioni e i loro creatori si considerano veri "artisti". È porcheria, porcheria orribile che entra nella testa dei giovani. A loro piace. Cristo, dagli merda e mangeranno merda. Non sono capaci di distinguere? Non sono capaci di ascoltare? Non sentono che è sciacquetta, roba vecchia?”

Charles Bukowski (1920–1994) poeta e scrittore statunitense

27/2/93, 12:56 AM; 2000, p. 135
Il capitano è fuori a pranzo

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“Vi racconto una piccola atroce storia per capire quale possa essere talvolta la posizione del potere politico dentro una vicenda mafiosa, una storia vecchia di alcuni anni fa e che oggi non avrebbe senso e che tuttavia in un certo modo interpreta tutt'oggi il senso politico della mafia. Nel paese di Camporeale, provincia di Palermo, nel cuore della Sicilia, assediato da tutta la mafia della provincia palermitana, c'era un sindaco democristiano, un democristiano onesto, di nome Pasquale Almerico, il quale essendo anche segretario comunale della DC, rifiutò la tessera di iscrizione al partito ad un patriarca mafioso, chiamato Vanni Sacco ed a tutti i suoi amici, clienti, alleati e complici. Quattrocento persone. Quattrocento tessere. Sarebbe stato un trionfo politico del partito, in una zona fino allora feudo di liberali e monarchici, ma il sindaco Almerico sapeva che quei quattrocento nuovi tesserati si sarebbero impadroniti della maggioranza ed avrebbero saccheggiato il Comune. Con un gesto di temeraria dignità, rifiutò le tessere.
Respinti dal sindaco, i mafiosi ripresentarono allora la domanda alla segreteria provinciale della DC, retta in quel tempo dall'ancora giovane Giovanni Gioia, il quale impose al sindaco Almerico di accogliere quelle quattrocento richieste di iscrizione, ma il sindaco Almerico, che era medico di paese, un galantuomo che credeva nella DC come ideale di governo politico, ed era infine anche un uomo con i coglioni, rispose ancora di no. Allora i postulanti gli fecero semplicemente sapere che, se non avesse ceduto, lo avrebbero ucciso, e il sindaco Almerico, medico galantuomo, sempre convinto che la Dc fosse soprattutto un ideale, rifiutò ancora. La segreteria provinciale s'incazzò, sospese dal partito il sindaco Almerico e concesse quelle quattrocento tessere. Il sindaco Pasquale Almerico cominciò a vivere in attesa della morte. Scrisse un memoriale indirizzato alla segreteria provinciale e nazionale del partito denunciando quello che accadeva e indicando persino i nomi dei suoi probabili assassini. E continuò a vivere nell'attesa della morte. Solo, abbandonato da tutti. Nessuno gli dette retta, lo ritennero un pazzo visionario che voleva continuare a comandare da solo la città emarginando forze politiche nuove e moderne.
Talvolta lo accompagnavano per strada alcuni amici armati per proteggerlo. Poi anche gli amici scomparvero. Una sera di ottobre mentre Pasquale Almerico usciva dal municipio, si spensero tutte le luci di Camporeale e da tre punti opposti della piazza si cominciò a sparare contro quella povera ombra solitaria. Cinquantadue proiettili di mitra, due scariche di lupara. Il sindaco Pasquale Almerico venne divelto, sfigurato, ucciso e i mafiosi divennero i padroni di Camporeale. Pasquale Almerico, per anni, anche negli ambienti ufficiali del partito venne considerato un pazzo alla memoria.”

Giuseppe Fava (1925–1984) scrittore, giornalista e drammaturgo italiano

da I Siciliani, gennaio 1983

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“[Helenio Herrera]. L'allenatore in scarica.”

Marcello Marchesi (1912–1978) comico, sceneggiatore e regista italiano

Origine: Il dottor Divago, Il "Chi sarebbe?" Definizionario delle celebrità, p. 67

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“[Sull'emozioni che si provano in una monoposto] Adrenalina pura, scarichi violenti, paura, eccitazione, riflessi sotto vuoto spinto, difficoltà continue.”

Alain Prost (1955) pilota automobilistico francese

Origine: Citato in Fausto Narducci e Pierlangelo Molinaro, Tutti in piedi: è il secolo di Alì. L'Opera di Vienna ammutolisce, poi un sussurro: «È il premio più bello» http://archiviostorico.gazzetta.it/1999/novembre/21/Tutti_piedi_secolo_Ali_Opera_ga_0_9911218051.shtml, Gazzetta dello Sport, 21 novembre 1999.

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“Non vi è peggior schiavitù di quella che s'ignora.”

Hans Ruesch (1913–2007) pilota automobilistico, scrittore e sceneggiatore svizzero

Origine: Imperatrice nuda, p. 55

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“Monty è l'attore più emotivo che abbia mai conosciuto, era una cosa contagiosa, quando iniziava a tremare, io iniziavo a tremare, era quasi una cosa fisica, un cordone ombelicale, una scarica elettrica.”

Elizabeth Taylor (1932–2011) attrice britannica

Origine: Citata in Michelangelo Capua, Montgomery Clift. Vincitore e vinto, Lindau, 2009.

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“Non sono un creativo, mi ritengo un interprete: uno che cerca di trasmettere al pubblico quello che c'è di creativo in un testo, come una pila che si carica e si scarica.”

Toni Servillo (1959) attore italiano

Origine: Citato in Severino Colombo, Toni Servillo: «Sono come una pila che carica e scarica energia» https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2008/ottobre/17/Toni_Servillo_Sono_come_una_co_7_081017016.shtml, Corriere della Sera, 17 ottobre 2008, p. 15.

“Per l'Inter si può parlare di de profundis, è finito il credito ottenuto grazie a Calciopoli. Certo Moratti ci ha messo del suo sostituendo Mourinho con Benítez, il contrario del portoghese. La squadra è passata in pochi mesi da un'armata da battaglia ad una banda scarica. Per tornare a vincere Moratti forse avrà bisogno di una nuova Calciopoli.”

Luciano Moggi (1937) dirigente sportivo italiano

Origine: Citato in Moggi: L'Inter è finita. Per vincere servirà altra Calciopoli http://www.tuttosport.com/calcio/serie_a/juventus/calciopoli/2010/11/22-95035/Moggi%3A+L'Inter+%C3%A8+finita.+Per+vincere+servir%C3%A0+altra+Calciopoli, tuttosport.com, 22 novembre 2010.

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“Non so quanto la tv australiana avesse investito sul mondiale 2006, né come abbia reagito a un'eliminazione all'ultimo secondo dell'ottavo di finale, per un calcio regalato da un arbitro spagnolo a un terzino italiano colto da svenimento. Ma scommetterei in maniera più elegante, e più sportiva, di quella che la Rai scelse di cavalcare nell'infausto 2002 coreano. […] Durò un paio di giorni, per la verità, anche lo scarico di responsabilità da parte della squadra, sotto forma di tiro al bersaglio dell'arbitro Moreno. Ma poi, salvo qualche eccezione, il comune senso del pudore, prima ancora del fair play, riprese il sopravvento e si cominciò a riconoscere che se gli arbitraggi rassicuranti, oltre che davvero imparziali, sono oggettivamente diversi, ancor più diverse sono le congiure. Quando una squadra deve perdere, secondo quanto cercarono di farci credere [I giornalisti RAI], non arriva a giocarsi due match-ball come quelli di Vieri e Gattuso a pochi minuti dalla fine. La fermano prima, alla maniera di Aston in Cile. La Rai invece, impavida, andò avanti per settimane. E più passavano i giorni, più grosse le sparava. Sino a quella, davvero memorabile, dell'azione per danni alla Fifa. Il presupposto era, ovviamente, che Byron Moreno fosse il braccio armato di Blatter, investito della missione di far andare avanti, a qualunque costo, la squadra di casa. In buona sostanza, tuonò con supremo sprezo del ridicolo un avvocato dell'ufficio legale della Rai, chiederemo a Zurigo il rimborso totale di quanto è stato pagato per i diritti, cioè settanta milioni di euro, il rimborso delle spese di produzione per la trasferta in Corea e Giappone, e i danni derivati dalla caduta negativa della pubblicità. Mancavano giusto un paio di divisioni da ammassare al confine di Chiasso. I programmi sportivi dedicati al mondiale, che ovviamente continuava, amplificarono i toni, e più di un quotidiano cadde in tentazione. Si arrivò a leggere che la causa avrebbe fatto giurisprudenza a livello mondiale, al pari della sentenza Bosman: quando l'unico rimando possibile era, con tutta evidenza, a capitan Fracassa. […] La sera del 9 gennaio 2003, Raidue portò nei propri studi in esclusiva mondiale nientemeno che il famigerato Byron Moreno. E a chi affidare la faccia? A Enzo Biagi no, perché era già in vigore l'editto di Sofia, a Minoli nemmeno, Tosatti forse aveva un impegno. Sicché prese in prestito da Sky, senza alcun diritto di riscatto, l'intramontabile José Altafini. Civile la conversazione. Ma inserita nell'ambito di uno show dal titolo Stupido Hotel, mai come in quel caso un nome una garanzia. Così l'arbitro ecuadoregno entrò in scena dalla porta girevole con una valigetta piena di soldi, rispose punto per punto alle domande non proprio asfissianti dell'intervistatore, concluse argomentando sottilmente che quella sera a Daejon era stata l'Italia, non lui, a sbagliare la partita, e fu congedato da un simpatico gavettone sulle note del coro del Nabucco: che per una rete in quota Lega rappresentava, con tutta evidenza, l'inno nazionale. Una serie di interpellanze parlamentari non riuscirono a chiarire né la ragione di quella straordinaria partecipazione, né l'entità del compenso ricevuto da Moreno, dall'ordine comunque di alcune decine di migliaia di dollari. Fatto sta che, grazie alla sportività della Rai, l'ex nemico pubblico numero uno ebbe l'opportunità di dimostrare che i buffoni, semmai, erano altrove. E il cerchio finalmente si chiuse.”

Gigi Garanzini (1948) giornalista, scrittore e conduttore radiofonico italiano

cap. La cultura della sconfitta

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“L'intuizione di una "rivelazione divina" sta a rappresentare l'intuizione che l'uomo è alla ricerca di principi, garantiti, necessari, sicuri e universali. Invece di assumerli in proprio, li "scarica" su un oggetto esterno.”

Massimo Piattelli Palmarini (1942) professore di scienze cognitive, linguista, epistemologo italiano

Variante: L’intuizione di una "rivelazione divina" sta a rappresentare l’intuizione che l’uomo è alla ricerca di principi, garantiti, necessari, sicuri e universali. Invece di assumerli in proprio, li "scarica" su un oggetto esterno.
Origine: Ritrattino di Kant a uso di mio figlio, Capitolo 5, Un appuntino su cosa significa «la religione nei limiti della sola ragione», p. 82

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“La scarico illegalmente, è ovvio. Non sono mica come Bono degli U2 che fa grandi proclami per la pace nel mondo e contro lo strapotere delle multinazionali e poi si compra le azioni di Microsoft o di Forbes, così diventa ricco. Io sono per la libera scaricabilità della musica.”

Roberto Maroni (1955) politico italiano

citato in corriere. it http://www.corriere.it/esteri/09_febbraio_04/pirati_copyright_alessandra_farkas_3c2390a2-f2f5-11dd-8878-00144f02aabc.shtml, 04 febbraio 2009

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“Tom Curzon, il terapista del centro antidroga, che faceva l'assistente sociale e non il medico, era uno della scuola rogeriana, e aveva una terapia basata sull'individuo. Allora sono andato in biblioteca a vedere quello che aveva scritto Carl Rogers. Il libro che ho letto era una cacata, ma per dire la verità mi sembrava che Tom si fosse avvicinato più degli altri a quella che secondo me era la verità. Disprezzavo me stesso e il mondo perché non ero capace di accettare i miei limiti personali e quelli che mi venivano imposti dalla vita.
A quanto pareva, quindi, l'accettazione dei propri limiti era una condizione mentale sana, o comportamento non deviante.
Il successo e il fallimento sono semplicemente la soddisfazione o la frustrazione del desiderio. Il desiderio può essere in prevalenza intrinseco, basato sui nostri impulsi personali, oppure estrinseco, stimolato soprattutto dalla pubblicità o dai modelli di comportamento sociale che ci vengono proposti dai mass media e dalla cultura popolare. Dice Tom che i miei concetti di successo e fallimento funzionano solo a un livello individuale, e non a un livello sia individuale che sociale. E quindi, siccome mi rifiuto di accettare un riconoscimento da parte della società, il successo e il fallimento possono essere per me soltanto delle esperienze momentanee, perché sono esperienze che non possono essere sostenute dall'accettazione di altri valori di tipo sociale, come il benessere materiale, il potere o la posizione sociale; oppure, nel caso di un fallimento, la condanna e la disapprovazione. E allora, secondo Tom, non serve a un cazzo venirmi a dire che sono andato bene agli esami, che ho un buon lavoro o che sto con una bella ragazza; perché questo tipo di riconoscimento per me non significa niente. È chiaro che mi fa piacere, quando succedono queste cose, e che hanno un valore in se stesse, ma è un valore che non può essere sostenuto senza un riconoscimento da parte mia della società che lo considera come tale. Quello che Tom sta cercando di dire, credo, è che non me ne frega un cazzo. Perché?
Così torna in ballo la mia alienazione dalla società. Il problema è che Tom si rifiuta di accettare il mio punto di vista, che non è possibile cambiare la società per migliorarla davvero, e che io non posso cambiare per adattarmi alla società. Questa situazione provoca in me depressione. Scarico tutta la rabbia che provo contro me stesso, è questa la depressione, dicono. Però la depressione provoca anche una mancanza di motivazione. Mi cresce un vuoto dentro. La droga mi serve a riempire il vuoto, e mi aiuta anche a soddisfare il mio bisogno di distruggere me stesso, e qui torniamo alla rabbia diretta contro di sé.
Qui devo dire che sono d'accordo con Tom. Dove non ci troviamo più d'accordo è quando lui si rifiuta di vedere lo squallore totale del quadro generale. Lui dice che soffro di una mancanza di fiducia in me stesso, e che mi rifiuto di accettare questo fatto scaricando tutta la colpa sulla società. Secondo lui, questo mio modo di sminuire tutte le lodi e le ricompense (e di conseguenza anche le condanne) che potrei ricevere dalla società non è un rifiuto dei valori in sé, ma una prova del fatto che non mi sento abbastanza soddisfatto (o abbastanza scontento) di me stesso per accettarle. Invece di uscirmene a dire chiaro e tondo: Non credo di avere queste qualità (oppure credo di essere meglio di così), io dico: Tanto sono un mucchio di cazzate.”

Alla ricerca dell'essere interiore; pp. 196-197
Trainspotting, Salta tutto

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“[Riguardo Dario Fo e Franca Rame] A parte il disprezzo, intende dire? Una specie di pena. Perché v'era un che di penoso in quei due vecchi che per piacere ai giovani radunati in piazza si sgolavano e si sbracciavano sul palcoscenico montato dinanzi a Santa Croce, quindi dinanzi al porticato che un tempo immetteva al Sacrario dei Caduti Fascisti. In loro non vedevo dignità, ecco. A un certo punto l'amico che con me li guardava alla tv ha sussurrato: Ma lo sai che lui militava nella Repubblica di Salò?. Non lo sapevo, no. Come essere umano non mi ha mai interessato. Come giullare, non m'è mai piaciuto. Come autore l'ho sempre bocciato, e la sua biografia non mi ha mai incuriosito. Così sono rimasta sorpresa, io che parlo sempre di fascisti rossi e di fascisti neri. Io che non mi sorprendo mai di nulla e non batto ciglio se vengo a sapere che prima d'essere un fascista rosso uno è stato un fascista nero, prima d'essere un fascista nero uno è stato un fascista rosso. E mentre lo fissavo sorpresa ho rivisto mio padre che nel 1944 venne torturato proprio da quelli della Repubblica di Salò. M'è calata una nebbia sugli occhi e mi sono chiesta come avrebbe reagito mio padre a vedere sua figlia oltraggiata e calunniata in pubblico da uno che era appartenuto alla Repubblica di Salò. Da un camerata di quelli che lo avevano fracassato di botte, bruciacchiato con le scariche elettriche e le sigarette, reso quasi completamente sdentato. Irriconoscibile. Talmente irriconoscibile che, quando ci fu permesso di vederlo e andammo a visitarlo nel carcere di via Ghibellina, credetti che si trattasse d'uno sconosciuto. Confusa rimasi lì a pensare – chi è quest'uomo, chi è quest'uomo – e lui mormorò tutto avvilito: Oriana, non mi saluti nemmeno?. L'ho rivisto in quelle condizioni, sì e mi son detta: Povero babbo. Meno male che non li ascolti, non soffri. Meno male che sei morto.”

Oriana Fallaci (1929–2006) scrittrice italiana

Origine: Dall'intervista di Riccardo Mazzoni Oriana Fallaci risponde http://archivio.panorama.it/Oriana-Fallaci-risponde, Panorama.it, 21 novembre 2002.

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“[Sugli anni di piombo] Io non li chiamo così. Saranno stati anni di piombo per gli idraulici che ancora facevano gli scarichi con quel materiale, non era ancora arrivato il pvc.”

Erri De Luca (1950) scrittore, traduttore e poeta italiano

Origine: Dall'intervista alla trasmissione televisiva Otto e mezzo, La7, 9 aprile 2012.

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“Cos'altro potrei dire, se non che mi piaceva tutto della metropolitana? Amavo le lunghe gallerie, i treni fumosi, i collegamenti intricati delle linee, ciascuna delle quali possedeva caratteristiche proprie, una propria identità, per così dire. Avevo l'abitudine di bighellonare nella stazione di Richmond solo per guardare il cerchio rosso trafitto da una barra blu, il viavai dei convogli, e soprattutto per studiare la piantina, con quella forma che ricordava vagamente un insetto, il groviglio di fili colorati che, a un esame più attento, si rivelava qualcosa di più sensato: un simulacro di concatenazioni, un gioco di alternative. Me ne restavo lì impalato per ore a pormi domande tipo: Se dovessi andare da Chancery Lane a Rickmansworth, quale sarebbe il tragitto più breve? E il più lungo? Quale mi consentirebbe di percorrere le linee più colorate? Scegliere il percorso più veloce mi sembrava banale, rozzo persino, una scelta priva di immaginazione. Trovavo preferibile – o avevo fede – nel percorso più lungo.
Il cerchio rosso trafitto dalla barra blu conteneva il nome della stazione. Era una promessa di altre stazioni: Richmond prometteva i Kew Gardens, che promettevano Gunnersbury, che prometteva Turnham Green, Stamford Brook, Hammersmith e Londra. Londra! Le linee sotterranee, la Piccadilly, la Northern e la Bakerloo! Le scale mobili che sembravano sprofondare per miglia e miglia, gli interminabili corridoi tubolari col loro caldo odore di gas di scarico, il vento dei treni, il misterioso vento sotterraneo dei treni. E altre stazioni verso nord. Altre ancora verso est e ovest. Stazioni che si moltiplicavano come isole, tutte in attesa di essere visitate, con il nome racchiuso, in modo identico, in quel cerchio rosso, con quella barra blu!”

David Leavitt (1961) scrittore statunitense

IV; pp. 56-57
Mentre l'Inghilterra dorme

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“A me, e a Bruno Vespa che conduceva insieme a me, hanno dato il premio TeleRatto 2011 per la peggior coppia televisiva. Ce lo siamo proprio meritato. Una coppia peggio di noi non si trovava.”

Pippo Baudo (1936) conduttore televisivo italiano

citato in Baudo scarica Vespa: "Noi coppia disastrosa, Teleratto meritato" http://www.blitzquotidiano.it/tv/baudo-vespa-teleratto-coppia-disastrosa-890154/, Blitzquotidiano.it, 14 giugno 2011

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“Per me l'atto di pensare e quello di esprimere i pensieri non sono simultanei, e neppure necessariamente consecutivi. So di pensare e parlare nella stessa lingua, e so che in teoria non c’è ragione per cui io non possa comunicare i miei pensieri non appena si formano o immediatamente dopo; eppure la lingua in cui io penso e quella in cui parlo sembrano spesso talmente lontane che mi pare impossibile colmare il vuoto sul momento, o anche retroattivamente.
Mi ha sempre affascinato l’idea della traduzione simultanea, come alle Nazioni Unite, dove nel pubblico tutti hanno gli auricolari e si sa che nelle retrovie gli interpreti ascoltano quello che viene detto e lo trasformano in un’altra lingua. Capisco che questo sia possibile, ma per me ha del miracoloso – che le parole siano lanciate in aria in una lingua e ricadano a terra in un’altra come una palla. Credo che nel mio cervello ci sia una specie di setaccio che impedisce un rapido (e tanto meno simultaneo) travaso dei pensieri in parole. Un po’ come il filtro nello scarico della vasca da bagno; c’è qualcosa che mantiene i miei pensieri nel cervello, e così bisogna cavarli a forza, come quegli schifosi grovigli di capelli bagnati.
Riflettevo sui concetti di pensiero e di linguaggio, a quanto sarebbe stato difficile esprimerli – o quantomeno spossante, come se pensarli fosse già abbastanza e dirli fosse pleonastico o riduttivo, perché lo sanno tutti che la traduzione svilisce un testo, è sempre meglio leggere un libro nella lingua originale (À la recherche du temps perdu). Le traduzioni sono delle approssimazioni soggettive e questo è esattamente quello che provo quando parlo: quello che dico non è quello che penso ma solo quello che più gli si avvicina, con tutti i limiti e le imperfezioni del linguaggio. Quindi penso spesso che sia meglio stare zitto anziché esprimermi in modo inesatto.”

Peter Cameron (1959) scrittore statunitense
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“La città è un mostro che ti divora, nel lezzo dei gas di scarico e nell'indifferenza della gente che rivolge lo sguardo verso di te solo per buttarti addosso le sue frustrazioni.”

Alda Teodorani (1968) scrittrice italiana

Origine: Da Il sangue dell'anima in Il mio vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave, Il Giallo Mondadori, 2009.

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