Frasi su matrice

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema matrice, vita, stesso, essere.

Frasi su matrice

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“E l'avvenire mi apparve spaventoso, senza speranza. L'immagine indeterminata del nascituro crebbe, si dilatò, come quelle orribili cose informi che vediamo talvolta negli incubi ed occupò tutto il campo. Non si trattava d'un rimpianto, d'un rimorso, d'un ricordo indistruttibile, ma di un essere vivente. Il mio avvenire era legato a un essere vivente d'una vita tenace e malefica; era legato a un estraneo, a un intruso, a una creatura abominevole contro cui non soltanto la mia anima ma la mia carne, tutto il mio sangue e le mie fibre provavano un'avversione bruta, feroce, implacabile fino alla morte, oltre la morte. Pensavo: "chi avrebbe mai potuto immaginare un supplizio peggiore per torturarmi insieme l'anima e la carne? Il più ingegnosamente efferato dei tiranni non saprebbe concepire certe crudeltà ironiche… Non erano ancora manifesti nella persona di Giuliana i segni esterni: l'allargamento dei fianchi, l'aumento del volume del ventre. Ella si trovava dunque ancora ai primi mesi: forse al terzo, forse al principio del quarto. Le aderenze che univano il feto alla matrice dovevano esser deboli. L'aborto doveva essere facilissimo. Come mai le violente commozioni della giornata di Villalilla e di quella notte, gli sforzi, gli spasmi, le contratture, non l'avevano provocato? Tutto m'era avverso, tutti i casi congiuravano contro di me. E la mia ostilità diveniva più acre. Impedire che il figlio nascesse divenne il mio segreto proposito. Tutto l'orrore della nostra condizione veniva dall'antiveggenza di quella natività, dalla minaccia dell'intruso. Come mai Giuliana, al primo sospetto, non aveva tentato ogni mezzo per distruggere il concepimento infame? Era stata ella trattenuta dal pregiudizio, dalla paura, dalla ripugnanza istintiva di madre? Aveva ella un senso materno anche per il feto adulterino?”

Gabriele d'Annunzio (1863–1938) scrittore, poeta e drammaturgo italiano

da L'innocente, 1891

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“Erano indiani, per davvero. O figli della rivoluzione del '68, o profeti di una dottrina che avrebbe cambiato per sempre il modo di fare calcio. E il loro capo-tribù si chiamava Rinus Michels. Il suo calcio totale che trasformava gli spazi in praterie era fatto di un possesso-palla esasperato, di accelerazioni improvvise, di pressione multipla sul'avversario col pallone, di fuorigioco alto quando non altissimo. Ma soprattutto era interpretato non più da specialisti dei vari ruoli, bensì da giocatori eclettici capaci di attaccare e difendere, di giocare senza palla prima ancora che con la palla, di muoversi con disinvoltura in ogni zona del campo stando sempre corti, compatti, ossessivi. Una nuvola biancorossa, quella dell'Ajax, una nuvola arancione, quella dell'Olanda. Con portieri che, una volta aboliti i ruoli specifici, si erano riciclati da liberi, interpretando la parte in maniera più spregiudicata. L'emicrania non venne soltanto a Maldini. Venne agli inglesi la prima volta che affrontarono l'Olanda di Michels, le punte scattavano sul risaputo lancio dalle retrovie e la nuvola arancione li aveva messi in offside non di tre, ma di dieci-quindici metri. Venne al sommo Brera, cui quei satanassi mandarono all'aria tutti i parametri atletici e tattici sino a li' elaborati: e Brera se ne vendicò ribattezzandoli «cicale» dopo la finale mondiale persa nel '74 dai tedeschi padroni di casa. È vero, nell'albo d'oro ci sono le formiche, che ad ogni buon conto si chiamavano Beckenbauer, Muller, Overath, Breitner, Mayer. Ma nell'archivio delle emozioni indimenticabili restano loro, restano quei 16 tocchi consecutivi olandesi dal fischio d'avvio al fallo di Vogts su Cruyff in area germanica. Il primo tedesco a toccare il pallone in quella finale fu Muller, riavviando il gioco dal disco di centrocampo dopo il rigore di Neeskens. Il generale Michels si prese la rivincita quattordici anni più tardi quando, sullo stesso campo, l'Olympiastadion di Monaco, decorò la bacheca olandese dell'unico trofeo conquistato sin qui, l'Europeo '88, firmato da una storica prodezza di Van Basten. Ma fu un indennizzo tardivo e mai fino in fondo assaporato. Perché pur nel rispetto di una matrice di massima, quella non era più la sua Olanda-totale. Tant'è vero che il suo fuoriclasse, Van Basten, era pienamente classificabile, in quanto prototipo del centravanti moderno: a differenza del fenomeno d'un tempo, Cruyff, che segnava sì a mitraglia ma che nessuno ha mai saputo battezzare se non come uomo-ovunque.”

Gigi Garanzini (1948) giornalista, scrittore e conduttore radiofonico italiano

4 marzo 2005

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“[…] ci sono già stati altri film che trattavano questa crescente indistinzione fra reale e virtuale. Truman Show, Minority Report o anche Mulholland Drive, il capolavoro di David Lynch. Matrix vale soprattutto come sintesi parossistica di tutto questo. Ma il dispositivo qui è più rozzo e non suscita veramente il turbamento. O i personaggi sono nella Matrice, cioè nella digitalizzazione delle cose. O sono radicalmente al di fuori, cioè a Zion, la città di coloro che resistono. In effetti, sarebbe interessante mostrare ciò che accade sul punto di giuntura dei due mondi. Ma quello che è soprattutto imbarazzante in questo film, è che il nuovo problema posto dalla simulazione qui è confuso con quello, molto classico, dell'illusione, che si trovava già in Platone. Il vero equivoco è qui. Il mondo visto come illusione radicale è un problema che si è posto a tutte le grandi culture e che da esse è stato risolto con l'arte e la simbolizzazione. Quello che noialtri abbiamo inventato per sopportare questa sofferenza, è un reale simulato, un universo virtuale da dove è espurgato tutto ciò che c'è di pericoloso, di negativo, e che soppianta ormai il reale, fino a diventarne la soluzione finale. Ora, Matrix è assolutamente all'interno di questo meccanismo! Tutto quanto appartiene all'ordine del sogno, dell'utopia, della fantasia, qui è dato vedere, "realizzato."”

Jean Baudrillard (1929–2007) filosofo e sociologo francese

Siamo nella trasparenza integrale. Matrix, è un po' il film sulla Matrice che avrebbe potuto fabbricare la Matrice.

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“Accadde che organi collocati ai vertici, e comunque all'interno degli apparati di sicurezza dello Stato, cominciano, ad un certo punto, a lavorare non a favore delle indagini, ma contro di esse, non per collaborare con i giudici, ma per intralciare e depistare il loro lavoro. Mi limiterò a ricordare, tra i molti, tre episodi. Il primo riguarda Marco Pozzan, uomo di fiducia di Franco Freda, colpito da mandato di cattura nel giugno 1972 per concorso nella strage di piazza Fontana. Il Pozzan aveva dato segni di cedimento in un precedente interrogatorio e rivelato dati di notevole rilievo sulla strategia della tensione e sulla sua matrice di Destra. Sarebbe stato perciò molto importante avere la disponibilità fisica del Pozzan. È risultato, invece, che verso la fine di quell'anno uomini del Sid avevano intercettato durante la sua latitanza il Pozzan, lo avevano condotto in via Sicilia, ove il Sid aveva gli uffici di copertura, lo avevano sottoposto ad un vero e proprio interrogatorio per saggiarne la tenuta e le conoscenze, e infine l'avevano fatto espatriare in Spagna con un passaporto falso.
Il secondo episodio riguarda Giovanni Ventura, anch'egli colpito da mandato di cattura per complicità nella strage. Anche il Ventura, nei primi mesi del '72, dava segni di inquietudine e mostrava di voler fare delle rivelazioni sulla strategia della tensione. Ebbene, il Sid anche questa volta interviene, ma non già per collaborare; infatti propone, attraverso un proprio emissario, al Ventura un piano di fuga e a tal fine mette nella sua disponibilità una chiave idonea ad aprire le celle del Carcere di Monza, dove il Ventura era allora detenuto, e due bombolette contenenti sostanze narcotizzanti per stordire gli agenti di custodia durante la programmata operazione di fuga.
II terzo episodio riguarda Guido Giannettini, uomo di Destra, legato al Sid da un rapporto di collaborazione organico e a tal fine retribuito. Anche il Giannettini, verso la metà del '72, dopo aver subito una perquisizione, viene sospettato di complicità nella strage, e contro di lui in realtà viene emesso mandato di cattura verso la fine di quell’anno. Il Sid interviene ancora una volta, non per collaborare, ma per indurre il Giannettini a sottrarsi alle investigazioni dell'autorità inquirente. Viene infatti fatto espatriare in Francia dove sarà tenuto sotto il controllo del Servizio che, anziché troncare ogni rapporto di collaborazione, continuerà addirittura a stipendiarlo.”

Pietro Calogero (1939) magistrato italiano

Origine: Dal programma televisivo La notte della Repubblica, Rai 2, 12 dicembre 1989.

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“[…] si può dire ancora che vi siano delle 'donne'? Certo la teoria dell'eterno femminino conta numerosi adepti […]; altri sospirano: 'La donna si perde, la donna è perduta.'. Non è più chiaro se vi siano ancora donne, se ve ne saranno sempre, se bisogna augurarselo o no, che posto occupano nel mondo, che posto dovrebbero occuparvi. 'Dove sono le donne?' […]. Ma innanzi tutto: cos'è una donna? 'Tota mulier in utero: è una matrice', dice qualcuno. Tuttavia parlando di certe donne, gli esperti decretano 'non sono donne', benché abbiano un utero come le altre. Tutti sono d'accordo nel riconoscere che nella specie umana sono comprese le femmine, le quali costituiscono oggi come in passato circa mezza umanità del genere umano; e tuttavia ci dicono 'la femminilità è in pericolo'; ci esortano: 'siate donne, restate donne, divenite donne'. Dunque non è detto che ogni essere umano di genere femminile sia una donna; bisogna che partecipi di quell'essenza velata dal mistero e dal dubbio che è la femminilità. La femminilità è una secrezione delle ovaie o sta congelata sullo sfondo di un cielo platonico? Basta una sottana per farla scendere in terra? Benché certe donne si sforzino con zelo di incarnarla, ci fa difetto un esemplare sicuro, un marchio depositato. Perciò essa viene descritta volentieri in termini vaghi e abbaglianti, che sembrano presi in prestito dal vocabolario delle veggenti. […] le scienze biologiche e sociali non credono nell'esistenza di entità fisse e immutabili che definiscano dati caratteri, come quelli della donna, dell'Ebreo o del Negro; esse considerano il carattere una reazione secondaria a una situazione. Se oggi la femminilità è scomparsa è perché non è mai esistita. […] il fatto è che ogni essere umano concreto ha sempre la sua particolare situazione. Respingere le nozioni di eterno femminino, di anima negra, di carattere giudaico non significa negare che vi siano, oggi Ebrei, Negri e donne: questa negazione non ha per gli interessati un significato di libertà ma una fuga dall'autenticità.”

dall'introduzione; Il saggiatore, 1949, p. 13
Il secondo sesso

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“Ci sono due grandi stereotipi da sfatare a proposito del concetto di territorio. C'è chi lo usa per motivi reazionari di matrice fascista, e chi lo considera un concetto per imbecilli attaccati ciecamente alla tradizione. Sono due interpretazioni sbagliate: in realtà il territorio è in continuo mutamento.”

Jonathan Nossiter (1961) regista statunitense

Origine: Citato in Kaganski, Serge, Durand Jean-Marie e Lingard Jade, Coups de canons, Les Inrockutibles, 3 novembre 2004, traduzione italiana I signori delle vigne, Internazionale, 17/22 dicembre 2004, n.º 570, anno 12.

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“Il miglior fabbro della nostra recente narrativa (cui si rimpiange abbia arriso in vita — sia detto in pieno spirito polemico — una fortuna altrettanto diffusa e plenaria che impressionistica, tecnicamente inadeguata, tutta di blanda natura recensiva quando non agiograficamente prefatoria) lascia pressoché intatto un territorio di ricerca nel quale campeggia, ormai ineludibile, un dilemma di portata capitale: se sia lecito, e soprattutto euristicamente remunerativo, confinare il più splendido modello d'italiano degli ultimi decennî (sempreché il predicato suoni ancora laudatorio in un'epoca soggiogata, come l'attuale, dal falso idolo della semplicità e dell'uniformità denotativa) nell'alveo angusto d'un virtuosismo formalistico di matrice rondesco-dannunziana e d'una ricercatezza basata sul recupero acritico di materiali aulici e preziosissimi; o non piuttosto riconoscere in esso lo statuto d'una scrittura duttile, densa, sorprendentemente viva e vitale, capace di contrastare la dilagante mediocrità espressiva e insieme di conciliare con assoluto rigore e straordinaria intelligenza le ragioni della letterarietà tradizionale (mai, beninteso, passivamente accolte, bensì filtrate, in un folto coimplicarsi d'echi intertestuali, attraverso una sensibilità originale, austeramente selettiva) con la tensione analitica e di scavo, la trasfigurazione lirica, la compromissione estrema di chi assegna alla letteratura una funzione taumaturgica, poco meno che salvifica, essenzialmente sacrale. E tanto basti a legittimare l'equazione, se inusitata plausibilissima, letterarietà-autenticità, o, a dir tutto, artificio-affabilità comunicativa.”

Gualberto Alvino (1953) filologo, critico letterario e scrittore italiano

da Artificio e pietà. Contributo allo studio di Gesualdo Bufalino, in Gualberto Alvino, Tra linguistica e letteratura. Scritti su D'Arrigo, Consolo, Bufalino, introduzione di Rosalba Galvagno, Roma, Fondazione Antonio Pizzuto, 1998

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“L'amore ispirato al Tao nasce dalla stessa matrice delle torture cinesi.”

Gianni Monduzzi (1946) scrittore, giornalista e editore italiano

Origine: Il manuale della Playgirl, p. 50

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“Il terrorismo di qualsiasi matrice va combattuto, ma non è giusto prendere l'Islam come nemico comune: il terrorismo non ha religione.”

Fabio Capello (1946) allenatore di calcio ed ex calciatore italiano

Origine: Citato in Ernesto Menicucci; Capello pronto a riaccendere la Roma https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2001/settembre/16/Capello_pronto_riaccendere_Roma_co_10_0109161326.shtml?refresh_ce-cp, Corriere della Sera, 16 settembre 2001, p. 55.

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“Ogni labirinto ha un centro sacro, dove risiede il mistero ineffabile: questo può essere raffigurato anche come una torre, un castello, una città celeste; la matrice è rappresentata come una città (metropoli) o fortezza che deve essere conquistata.”

Mario Praz (1896–1982) critico d'arte, critico letterario e saggista italiano

Origine: Da Il Giardino dei sensi: studi sul manierismo e il barocco, Mondadori, Milano, 1975, p. 61.

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“Nessuno può chiederci abiure della nostra matrice fascista.”

Gianfranco Fini (1952) politico italiano

Origine: Da il Giornale, 5 gennaio 1990.

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“L'Italia, feudo incontrastato del cattolicesimo fino alla seconda guerra mondiale, ha visto progressivamente affermarsi un nuovo panorama religioso in cui le sette di matrice cristiana extracattolica occupano un posto considerevole.”

Cecilia Gatto Trocchi (1939–2005) antropologa italiana

III. Sette di matrice cristiana, p. 50
Le sette in Italia
Origine: Cfr. Introvigne M., Le sette cristiane, Milano, Mondadori, 1989. [N.d.A.]