Frasi su dorso

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema dorso, essere, mano, piccolo.

Frasi su dorso

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“Mercoledì 18 febbraio
Prima dell'alba siamo passati tra Capri e il Continente e siamo entrati nel Golfo di Napoli. Ero sul ponte. L'indistinta massa del Vesuvio fu presto in vista. L'ho riconosciuta da un quadro (della mamma?). Ben presto ho «sentito» la città. Luci brillanti. Siamo stati trattenuti a bordo fino alle nove dalla polizia che se la prende con comodo. Con alcuni altri sono sceso all'Hotel de Geneve. Colpito dalla prima apparizione di Napoli. Grandi folle, strade belle, edifici alti. A colazione Rhinelander e Friedman han detto che sarebbero andati a Pompei. Mi sono unito a loro, le ferrovie sono dovunque le stesse. Siamo passati attraverso Portici, Resina, Torre del Greco. Pompei è uguale ad ogni altra città. La stessa antica umanità. Che si sia vivi o morti non fa differenza. Pompei è un sermone incoraggiante. Amo più Pompei che Parigi. C'erano delle guardie silenziose come il Mar Morto. Al Vesuvio a dorso di cavallo. Vigneti sulle pendici. Arrampicata sulle ceneri. Aggrappato alla guida. Discussione. Il vecchio cratere di Pompei. Il cratere attuale è come una vecchia miniera abbandonata. L'uomo che brucia. Rosso e giallo. Tuoneggiante. Boati. Una lingua di fuoco. Sono sceso nel cratere. Liquirizia congelata. Son sceso giù in fretta. Crepuscolo. Cavalcata nel buio. All'Annunziata trovato un vetturino per Napoli. Una corsa nel freddo senza soprabito. Di ritorno all'Hotel a mezzanotte. La strada e la campagna erano silenziose. Un sobborgo. Cena a letto.”

Herman Melville (1818–1891) scrittore statunitense

Origine: Diario italiano, pp. 23-24

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“Il Congresso assomiglia ad una fiera in un piccolo paese, in cui ognuno dà una lucidata al dorso del proprio bestiame per venderlo e barattarlo.”

Gebhard Leberecht von Blücher (1742–1819) feldmaresciallo prussiano

citazione necessaria, Se sai qual è la fonte di questa citazione, inseriscila, grazie.

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“Un giorno Febo uscì, e non tornò più. Lo aspettai fino a sera, e scesa la notte corsi per le strade, chiamandolo per nome. Tornai a casa a notte alta, mi buttai sul letto, col viso verso la porta socchiusa. Ogni tanto mi affacciavo alla finestra, e lo chiamavo a lungo, gridando. […] Non appena si fece giorno, corsi alla prigione municipale dei cani. Entrai in una stanza grigia, dove, chiusi in fetide gabbie, gemevano cani dalla gola ancora segnata dalla stretta del laccio del chiappino. Il guardiano mi disse che forse il mio cane era rimasto sotto una macchina o era stato rubato, o buttato a fiume da qualche banda di giovinastri. […] Tutta la mattina corsi di canaio in canaio, e finalmente un tosacani, in una botteguccia di Piazza dei Cavalieri, mi domandò se ero stato alla Clinica Veterinaria dell'Università, alla quale i ladri di cani vendono per pochi soldi gli animali destinati alle esperienze cliniche. Corsi all'Università, ma era già passato mezzogiorno, la Clinica Veterinaria era chiusa. Tornai a casa, mi sentivo nel cavo degli occhi un che di freddo, di liscio, mi pareva di aver gli occhi di vetro. Nel pomeriggio tornai all'Università, entrai nella Clinica Veterinaria. […] Lungo le pareti erano allineate l'una a fianco dell'altra, come i letti di una clinica per bambini, strane culle in forma di violoncello: in ognuna di quelle culle era disteso sul dorso un cane dal ventre aperto, o dal cranio spaccato, o dal petto spalancato.”

La pelle, Il vento nero

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“In coloro nei quali le rotture scendono dal dorso alle braccia, il salasso provoca la risoluzione.”

Ippocrate di Coo (-460–-370 a.C.) filosofo, medico

VI, 22; p. 66
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“Sottili fili di acciaio, avvolti intorno a quella stessa sorta di viti di legno che negli strumenti musicali servono a tender le corde, tenevano aperte le labbra di quelle orrende ferite: si vedeva il cuore nudo pulsare, i polmoni dalle venature dei bronchi simili a rami d'albero, gonfiarsi proprio come fa la chioma di un albero nel respiro del vento, il rosso, lucido fegato contrarsi adagio adagio, lievi fremiti correre sulla polpa bianca e rosea del cervello come in uno specchio appannato, il groviglio degli intestini districarsi pigro come un nodo di serpi all'uscir dal letargo. E non un gemito usciva dalle bocche socchiuse dei cani crocifissi. […] A un tratto, vidi Febo. Era disteso sul dorso, il ventre aperto, una sonda immersa nel fegato. Mi guardava fisso, e gli occhi aveva pieno di lacrime. Aveva nello sguardo una meravigliosa dolcezza. Non mandava un gemito, respirava lievemente, con la bocca socchiusa, scosso da un tremito orribile. Mi guardava fisso, e un dolore atroce mi scavava il petto. "Febo" dissi a voce bassa. E Febo mi guardava con una meravigliosa dolcezza negli occhi. Io vidi Cristo in lui, vidi Cristo in lui crocifisso, vidi Cristo che mi guardava con gli occhi pieni di una dolcezza meravigliosa. "Febo" dissi a voce bassa, curvandomi su di lui, accarezzandogli la fronte. Febo mi baciò la mano, e non emise un gemito. Il medico mi si avvicinò, mi toccò il braccio: "Non potrei interrompere l'esperienza", disse, "è proibito. Ma per voi… Gli farò una puntura. Non soffrirà". […] Anche gli altri cani, distesi sul dorso nelle loro culle, mi guardavano fisso, tutti avevano negli occhi una dolcezza meravigliosa, e non il più lieve gemito usciva delle loro bocche. A un tratto un grido di spavento mi ruppe il petto: "Perché questo silenzio?", gridai, "che è questo silenzio?"”

Era un silenzio orribile. Un silenzio immenso, gelido, morto, un silenzio di neve. Il medico mi si avvicinò con una siringa in mano: "Prima di operarli", disse, "gli tagliamo le corde vocali".
La pelle, Il vento nero

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“Nel laboratorio medico della colonia Bishop era chino su una sonda ottica. Sotto le lenti giaceva un frammento campione di uno dei mostriciattoli morti, prelevato da un esemplare del più vicino cilindro di stasi. Anche morta, la creatura sembrava minacciosa, stesa sul dorso sul banco di dissezione. Le zampe prensili sembravano costruite appositamente per artigliare il volto di chi si avvicinasse troppo, la potente coda per far balzare la bestia attraverso la stanza con un solo colpo.
La struttura interna era affascinante come quella esterna, e Bishop era assorbito dallo studio di un occhio. Combinando la potenza analizzatrice della sonda con la versatilità della propria vista artificiale, era in grado di scoprire una quantità di elementi sfuggiti ai coloni.
Una delle domande che lo interessavano in modo particolare e a cui era ansioso di trovare risposta riguardava la precisa possibilità di un parassita alieno di introdursi in un organismo sintetico come il suo, radicalmente diverso dalla struttura di un essere umano esclusivamente biologico. Un parassita sarebbe stato in grado di avvertire la differenza? E se avesse cercato di utilizzare un androide come ospite, quali potevano essere i risultati di questa unione forzata? Si sarebbe semplicemente staccato alla ricerca di un altro corpo, od avrebbe tranquillamente deposto l’embrione di cui era portatore in un ospite artificiale? Se così, l’embrione sarebbe stato capace di crescere, oppure sarebbe stato il più sorpreso dei due scoprendo di dover maturare all’interno di un corpo privo di carne e sangue?
Un robot poteva essere attaccato dai parassiti?”

Alan Dean Foster (1946) scrittore statunitense

Origine: Aliens scontro finale, p. 86

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