Frasi su romano
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“Quanto al conte di Lodrone il Bandello che doveva bene avere conoscenza di quella famiglia e che probabilmente preparò o anche scrisse la sua novella a Verona quando vi si trovava nel 1531, gli diede il nome di Paride, il nome cioè usuale e caratteristico della casa, portato durante il secolo XV e anche dopo da parecchi individui di quella e illustrato specialmente da Paride detto Il Grande e dal suo nipote di Castel Romano, condottieri notissimi il primo nella prima metà di quel secolo nelle guerre tra Venezia e Milano, il secondo a' servizi di Venezia talvolta, e talvolta dei tedeschi, più tardi e fino al 1509… Veggansi i punti nei quali si tratta del Lodrone: "In questo tempo fu messo perle mani a messer Antonio il conte Paris di Lodrone, giovane di ventiquattro in venticinque anni, molto bello e ricco, e praticamente questo partito con non poca speranza di buon fine, messer Antonio lo disse alla moglie ed ella, parendole cosa buona e molto onorata, lo disse alla figliola." A questa lo ripeté poco dopo il padre: "t'ho ritrovato uno sposo molto nobile ricco e bello il quale è signore e conte di Lodrone". E a lei riluttante egli, indignato per questo e quasi vicino a percuoterla, impose che "volesse o no, fra tre o quattro giorni ella deliberasse andare con la madre e altri parenti a Villafranca, perciocché quivi doveva venir il conte Paris con la sua compagnia a vederla". Colà si provò poi il conte "il quale nella messa la vide, e, benché fosse pallida e melanconica, gli piacque e vene a Verona, dove con messer Antonio stabilì il parentado." Giulietta allora corse dal confesore e gli disse: "io non veggio via da svilupparmi da questo Lodrone, che ladrone e assassino mi pare volendo le cose altrui rubare. E qui cessa, anche nel Bandello la parte del promesso sposo di lei".»”

Giuseppe Papaleoni (1863–1943) storico italiano

da Il promesso sposo di Giulietta Cappelletti, in Tutte le opere, vol. 3

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“«Il vostro Claudio è fuggito, Messalina trema»… Era obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua felicità?”

Vincenzo Cuoco (1770–1823) scrittore, giurista e politico italiano

da Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, cap. XIX

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“Molti non hanno capito e non capiscono ancora che si voglia dire questa parola Aequitas, che i Greci chiamano epiìcia. L' aequitas in tutta la lingua Latina non suona altrimenti che Justitia, e laequum e 'l justum in tutte le leggi de' Romani son parole sinonime. AEquitas è dunque così parola di rapporto, come Justitia. Or Justitia è il perfetto combaciamento, l'esatta giustezza di qualche cosa col suo regolo. Due sono in morale i regoli, che i popoli civili hanno per la giustezza delle loro azioni: I. il jus civile. II. il jus di natura. Le leggi civili son nate per sostegno di questi jus; dunque sono anch'esse sottomesse al regolo: e questo regolo è la legge di natura. La legge di natura de' jus, cioè delle proprietà di ciascuno; dunque le leggi civili debbono avere il medesimo ufficio. Ma perché nelle città si cede a certi jus per formarne il jus pubblico, onde vi son creati di certi jus che non sono nello stato naturale, avviene alle volte che un'azione si combacia esattamente con la legge civile, ma non già col jus naturale. Allora il giudice dee studiarsi di avvicinare il più che si può la definizione della legge civile alla naturale. Questa equazione, o approssimazione, fu detta da'Greci Epiicia (vedete Aristotile negli Eudemj) e dai Latini Aeqvitas. Se la prima legge delle civili società è Salus Pubblica, seguita che la compassione per potersi dire equa, debba piegare a questa legge generale. Dove favorisce il privato col discapito pubblico, non vi è più quell'equazione col jus naturale ch'è detta; dunque è iniquità. Questi giudici dunque sono per ignoranza iniqui e crudeli, quando credono di esser giusti e umani.”

Antonio Genovesi (1713–1769) scrittore, filosofo e economista italiano

Origine: Lezioni di economia civile, p. 112

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“Nessuna monarchia annovera tanti principi grandi, quanti ne annovera il Pontificato romano.”

Francesco Fiorentino (1834–1884) filosofo italiano

Origine: Il Risorgimento filosofico nel Quattrocento, p. 7

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“I popoli felici non hanno storia. La storia è la scienza dell'infelicità degli uomini.”

Raymond Queneau (1903–1976) scrittore, poeta e matematico francese

da Una storia modello, traduzione di Mariolina Romano, Einaudi, 1988

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“[A proposito del terremoto di Sendai del 2011] Mons. Orazio Mazzella, (1860-1939) arcivescovo di Rossano Calabro, all'indomani della tragedia fece una serie di riflessioni che vi riassumo (La provvidenza di Dio, l'efficacia della preghiera, la carità cattolica ed il terremoto del 28 di Dicembre 1908: cenni apologetici, Desclée e C., Roma 1909).
In primo luogo le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio, che ci scuote e ci richiama col pensiero ai nostri grandi destini, al fine ultimo della nostra vita, che è immortale.
Infatti se la terra non avesse pericoli, dolori, catastrofi, eserciterebbe sopra di noi un fascino irresistibile, non ci accorgeremmo che essa è un luogo d'esilio, e dimenticheremmo troppo facilmente, che noi siamo cittadini del cielo. […]
In secondo luogo, osserva l'arcivescovo di Rossano Calabro, le catastrofi sono talora esigenza della Giustizia di Dio, della quale sono giusti castighi.
Alla colpa del peccato originale si aggiungono infatti, nella nostra vita, le nostre colpe personali; nessuno di noi è immune dal peccato e può dirsi innocente e le nostre colpe possono essere personali o collettive: possono essere le colpe di un singolo o quelle di un popolo: ma mentre Dio premia o castiga i singoli nell'eternità è sulla terra che premia o castiga le nazioni, perché le nazioni non hanno vita eterna, hanno un orizzonte terreno. […]
Terzo punto infine: le grandi catastrofi sono spesso una benevola manifestazione della misericordia di Dio.
Abbiamo detto infatti che nessuno, mettendosi la mano sulla coscienza, potrebbe dare a se stesso un certificato d'innocenza. Un giorno, quando il velo, che copre l'opera della Provvidenza, sarà sollevato, ed alla luce di Dio vedremo ciò che Egli avrà operato ne' popoli e nelle anime, ci accorgeremo che per molte di quelle vittime, che compiangiamo oggi, il terremoto è stato un battesimo di sofferenza che ha purificato la loro anima da tutte le macchie, anche le più lievi, e grazie a questa morte tragica la loro anima è volata al cielo prima del tempo perché Dio ha voluto risparmiarle un triste avvenire. […]
Le grandi catastrofi sono certamente un male, però non sono un male assoluto, ma un male relativo, dal quale sorgono beni di ordine superiore e più universali. La luce della fede ci insegna che le grandi catastrofi, o sono un richiamo paterno della bontà di Dio, o sono esigenze della divina giustizia, che infligge un castigo meritato, o sono un tratto della divina misericordia, che purifica le vittime aprendo loro le porte del Cielo. Perché il Cielo è il nostro destino eterno.”

Roberto de Mattei (1948) storico italiano

da Riflessioni sul mistero del male – Intervento del prof. Roberto de Mattei a Radio Maria del 16 marzo 2011; citato in Corrispondenza Romana http://www.corrispondenzaromana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1560:intervento-del-prof-roberto-de-mattei-a-radio-maria-del-16-marzo-2011&catid=138:varie&Itemid=55=, 25 marzo 2011

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“Perciò ti dico che costoro [i sodomiti] sono anche peggio degli omicidi e sarebbe meglio morire che vivere disonorati in questo modo.”

Giovanni Crisostomo (349–407) arcivescovo e teologo bizantino

da Commentario sull'epistola ai Romani, Omelia 4

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“Gli antichi romani pranzavano al suono della cetra, noi abbiamo Bruno Vespa e Paolo Frajese.”

Cesare Marchi (1922–1992) scrittore, giornalista e personaggio televisivo italiano

Origine: Quando siamo a tavola, p. 16

“Che poi un Esercito fosse a vista, o in poca lontananza dall'altro, cioè quello di Annibale da quello de' Romani; osservandosi tutto il contesto di che dice Tito Livio, non può dirsi diversamente; riflettendosi tra l'altre cose, che avendo inviato Annibale un distaccamento da foraggiare ne' Campi Larinati, resto egli alla posta, guardando per dar soccorso, caso che i suoi soldati fussero assaliti da' nemici; e Minucio Maestro de' Cavalieri, che guidava una parte dell' Esercito de' Romani, alloggiando sul Monte, cominciò a calare in piano, facendo disegno d'incontrare quei, che si conducevano al foraggio, o di assaltare le munizioni; Annibale in osservarlo, si pose sopra un monticello in faccia al nemico, discosto due miglia da Gerione per meglio farsi scuoprire: Deinde Castra ipse propius hostem movit [parla di Annibale] duo ferme a Gerione millia in tumulum hosti conspectum : or se la Cirignola, o Dragonara, fusse il Gerione di Annibale, certamente che non può capirsi, come avrebbe egli potuto far tutto questo, e stare a vista del nemico, che si ritrovava ne' Campi Larinati, e due miglia lontano da Gerione : all'incontro ritenendo Annibale il sito del monticello, da dove scuopriva l'accampamento del nemico, che stava ne' Campi Larinati, ben si accorda la distanza di due miglia dal nostro vero Gerione, situato tra Larino, e Casacalenda, quattro da Larino, e due miglia lontano da Casacalenda, come sopra.”

Giovanni Andrea Tria (1676–1761) filosofo, teologo e vescovo cattolico italiano

da Memorie Storiche Civili, ed Ecclesiastiche della città e Diocesi di Larino, lib. I, cap. V, num. 7
Origine: Tito Livio. Ab Urbe Condit. op. cit. lib. XXII, num. 24. – «... dein castra ipsa propius hostem movit, duo ferme a Geronio milia, in tumulum hosti conspectum, ut intentum [se] sciret esse ad frumentatores, ...»

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“Tutte le cattive azioni derivano e prendono a esempio delle buone azioni.”

Gaio Sallustio Crispo (-86–-34 a.C.) storico romano in lingua latina e senatore della repubblica romana

Cesare, commentando il precedente che costituirebbe la messa a morte di un cittadino romano: 51,27

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“La donna romana è un problema, ti scordi la libertà. La milanese è più facile… se bussi ti fa entrare, senza problemi.”

Franco Califano (1938–2013) cantautore, poeta e scrittore italiano

dall'intervista a Niente di personale, La7, 25 ottobre 2010

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“Che Balotelli sia un padano con la pelle scura a me va bene, a me fanno girare le scatole i padani che si sono compromessi con la 'ndrangheta, quelli li rinnego da un punto di vista razziale.”

Mario Borghezio (1947) politico italiano

citato in Luca Romano, Borghezio: "Balotelli? Padano con pelle scura" http://www.ilgiornale.it/interni/borghezio_balotellipadano_pelle_scura/mario_borghezio-balotelli-padanno-pelle_nera-lega/30-06-2012/articolo-id=594927, il Giornale.it, 30 giugno 2012

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“Che i romani non temano di produr troppo, e rammentino ciò che inculcava il nostro Genovesi: che un popolo abbondante in grano, vigne ed olivi è da natura costituito creditore degli altri.”

Carlo Luigi Morichini (1805–1879) cardinale e vescovo cattolico italiano

citato in Giornale arcadico di scienze, lettere, ed arti, Volume 52, p. 246, Roma 1831

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“Meglio, in politica, avere rappresentato venti bandiere che nessuna? – scrisse pensando a lui Benedetto Croce. Indro Montanelli nella sua biografia di Garibaldi, Luigi Magni nel suo film Il generale ce lo hanno rappresentato come un simpatico birbante. E anche Nico Perrone […] ci presenta una non schematica riabilitazione: anche a sorpresa, rispetto a un titolo che sembrerebbe ben altrimenti critico. È vero, riconosce, Liborio Romano era un voltagabbana. Ma non per volgare tornaconto personale, bensì sempre al servizio di progetti autenticamente riformisti. In campo penale, ad esempio, si dovette al suo pur breve passaggio per il governo delle Due Sicilie l'abolizione della pena barbarica delle legnate. E in campo sociale fu promotore alla Camera di una proposta di riforma agraria che forse contribuì al suo isolamento politico più ancora delle troppe giravolte. Naturalmente, molto dipende poi dal modo in cui si vuole valutare il passaggio dal Regno delle Due Sicilie al Regno d'Italia. Perrone non nasconde affatto i nodi dell'Unità, dall'accentramento brutale alla feroce repressione del brigantaggio. Ma non indulge neanche sull'opposta retorica della monarchia borbonica come mitica età dell'oro: prima ancora dei bersaglieri contro i briganti erano stati i soldati di Ferdinando I a tagliare teste in quantità per reprimere la rivolta del Cilento del 1828, e gli investimenti infrastrutturali e industriale che pur la dinastia borbonica aveva fatto si concentravano a Napoli dimenticando il resto del Regno. Romano, a suo modo, era stato appunto fautore di un fallito progetto di riscatto del Sud accettando la nuova logica unitaria, ma salvaguardandone gli interessi specifici.”

Nico Perrone (1935) saggista, storico e giornalista italiano

da il Foglio, 27 luglio 2010

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“Daria Galateria: A uno specialista della nostra civiltà chiediamo cosa pensa del mondo attuale.
Jean Starobinski: Le civiltà non europee hanno acquisito gli stessi bagagli tecnici dell'Occidente e questo crea un orizzonte nuovo. A inizio secolo era particolarmente conscio della fragilità dell'Occidente il poeta Paul Valéry. […]
Daria Galateria: Veniamo alla sua conferenza. Quando parla del "Campidoglio Baudelaire", in che termini?
Jean Starobinski: Il Campidoglio rappresenta nella poesia romantica francese il simbolo della potenza romana. Quando il poeta Lamartine cerca nell'ode Les Révolutions l'emblema dell'Italia sceglie «l'aquila sanguinante del Campidoglio», evoca cioè la Roma conquistatrice. Quando Baudelaire riprende il tema è per sfigurarlo o per intrattenervi un'ironia funebre. Il Campidoglio compare nella La mort des artistes, che è il sonetto che concludeva la prima edizione delle Fleures du Mal. […] Il protagonista della Morte degli artisti è un'artista che fallisce nella sua opera che pone l'unica speranza nella morte. Ora, per definire la morte Baudelaire usa la parola Capitole – il Campidoglio in cui si incoronavano i poeti. […] È facile capire conoscendo le passioni di Baudelaire che questa morte assomiglia al «sole nuovo» di Edgar Allan Poe.
Daria Galateria: In una nuova edizione italiana dei Fiori del male, nella traduzione di Giorgio Caproni, il curatore Luca Pietromarchi evoca anche l'inizio del poema in prosa Il confiteor dell'artista: «Lo studio del bello è come un duello in cui l'artista lancia un grido di paura prima di cadere sconfitto».
Jean Starobinski: Così Baudelaire si pone in assoluta contraddizione con un altro Campidoglio, quello di Madame de Staël e della sua eroina del 1807 Corinne. Nel romanzo la poetessa appare trionfante al Campidoglio, a ricevere lo stesso omaggio di Petrarca nel 1341. Ci si accorge che Baudelaire ha voltato le spalle alla figura eloquente di Corinne col suo richiamo alla vita superiore del paese. Opponendosi a Napoleone, Madame de Staël diventava la sacerdotessa ispirata di una libertà capace di superare le servitù del momento presente, anche in Italia.”

Jean Starobinski (1920–2019) critico letterario svizzero
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“Sono divisi e dispersi, e non sapendo più a che santo votarsi si attaccano alla faccia larga e pastosa di un dottor Balanzone”

Silvio Berlusconi (1936) politico e imprenditore italiano

Romano Prodi
1995
Origine: 28 marzo 1995; citato in Silvio Berlusconi ha detto:(anno 1995) http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=Frasario1995, a cura di Marzia Amico, Jessica D'Ercole, Daria Egidi e Roberta Mercuri, Corriere.it.

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“Mina è la più grande di tutte, la migliore. E proprio per questo non può scomparire nel nulla. Ha l'obbligo di farsi vedere, sentire. Non bastano i suoi dischi. È lei in carne e ossa che vogliamo”

Nilla Pizzi (1919–2011) cantante italiana

citato in Nino Romano, Mina. Mito e mistero, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1996

“Con Spartaco tramonta l'utopia di rivolta di massa di schiavi […] Dopo lo sterminio dei suoi uomini per secoli non ci sarà un movimento di massa che ricerchi attraverso la sconfitta delle legioni romane una via di liberazione collettiva dalle condizioni di reificazione schiavile.”

Daniele Foraboschi (– vivente), scrittore, storico e docente italiano.

citato in Luca Antonelli, I Piceni: corpus delle fonti: la documentazione letteraria, p. 117, Regione Marche, L'Erma di Bretschneider, Roma, 2003

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“La potenza romana poggia sui costumi e gli uomini antichi.”

Quinto Ennio (-239–-169 a.C.) poeta, drammaturgo e scrittore romano

1996, dagli Annales, 156 Skutsch
Aforismi

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“Noi siamo un popolo di eroi e di grandi inventori e discendiamo dagli antichi romani.”

Edoardo Bennato (1946) cantautore, chitarrista e armonicista italiano

da In fila per tre
I buoni e i cattivi

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“Io vorrei sapere quali furono le crescite… di civiltà che il Sessantotto pretende di averci lasciato. Io vedo tutt'altra cosa: io vidi nascere, dal Sessantotto, una bella torma di analfabeti che poi invasero la vita pubblica italiana, e anche quella privata, portando dovunque i segni della propria ignoranza. Io ho visto questo. Può darsi che sia affetto da sordità o da cecità ma io non ho visto altro, come frutti del Sessantotto. […] [La differenza tra il Sessantotto francese e quello italiano è] La differenza che passa fra l'originale e il fac simile perché il Sessantotto nacque in Francia e in Italia fu un fatto di riporto, di imitazione. […] [L'imitazione del Sessantotto francese vi fu] Un po' in tutto il mondo ma particolarmente in Italia dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri. Bene o male, insomma, i francesi ebbero… anche una certa cultura del Sessantotto, ebbero Sartre. Oddio, Sartre rivisto con gli occhi di oggi scende molto dal suo mitico piedestallo. […] In Italia non ci fu neanche un Sartre. […] Credo che su Pasolini si sia preso un grosso abbaglio: Pasolini è passato per uno scrittore di sinistra perché aveva preso come sfondo dei suoi racconti – bellissimi del resto – il sottoproletariato delle borgate romane, i ragazzi di vita, insomma, la schiuma della società. Ma lo aveva fatto per dei gusti e dei motivi del tutto personali sui quali è inutile tornare a far commenti. Questo lo aveva fatto considerare come uno scrittore, un difensore del proletariato, ma non era una scelta politica quella che aveva fatto Pasolini. Non centrava niente, assolutamente nulla. Quindi quello che lui disse era assolutamente vero, cioè dire che nei tafferugli, dove spesso ci scappava il morto, tra quei dilettanti delle barricate che erano [i borghesi]… i veri proletari erano i poliziotti, tutti figli di famiglie povere, eccetera eccetera. I dilettanti delle barricate erano tutti o quasi tutti figli di papà: aveva ragione Pasolini! Ma come no! E questo fu considerato un tradimento all'ideologia di sinistra. […] Il primo fenomeno fu il Sessantotto, e il Sessantotto partorì poi il terrorismo, il brigatismo rosso eccetera eccetera. Su questo non ci son dubbi, insomma. Dirò di più: i più seri, e forse gli unici seri, furono quelli che poi diventarono dei terroristi e che quindi rischiarono la loro vita, almeno. Gli altri erano quello che diceva Pasolini, dei figli di papà.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

da Il Sessantotto e la politica di Berlinguer

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