Frasi su superstizioso

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema superstizioso, vita, essere, dio.

Frasi su superstizioso

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“Io non sono superstizioso: solamente non sfido ciò che non conosco!”

Napoleone Bonaparte (1769–1821) politico e militare francese, fondatore del Primo Impero francese

citato in Len Deighton, La Guerra Lampo

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“Gli imperi cadono quando l'educazione dei principi cede alla letargia borghese, con la sua puntigliosa, superstiziosa ignoranza della radice spirituale di ogni dominio.”

Cristina Campo (1923–1977) scrittrice, poetessa e traduttrice italiana

Gli imperdonabili
Origine: Da Il flauto e il tappeto, Con lievi mani, p. 99.

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“Io non sono superstizioso… non bisogna essere superstiziosi perché porta male…”

Nino Frassica (1950) attore, comico e personaggio televisivo italiano

I migliori anni

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“Nessuno è più superstizioso degli scettici.”

Lev Trotsky (1879–1940) politico e rivoluzionario russo

da Letteratura e rivoluzione

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“Non credeva in Dio, ma era superstizioso, come tutti i figli di italiani.”

Jean-Claude Izzo (1945–2000) scrittore, giornalista e poeta francese

Chourmo Il cuore di Marsiglia

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“Una cosa non dovrebbe sorprendervi, ovvero che i ciclisti altro non sono che un branco di superstiziosi, me incluso.”

Tyler Hamilton (1971) ciclista su strada statunitense

La corsa segreta

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“Perciò la differenza tra me ed un uomo superstizioso consiste in questo: io non credo che un avvenimento verificatosi senza alcuna partecipazione della mia vita psichica possa rivelarmi cose arcane sul futuro; credo invece che un'espressione non intenzionale della mia vita psichica possa rivelarmi qualcosa di ignoto che, in fondo, appartiene solo alla mia vita psichica; credo alla casualità esterna (reale) ma non a quella interna (psichica). Insomma, il mio è l'atteggiamento esattamente opposto a quello del superstizioso; egli, non sapendo nulla della motivazione degli atti casuali e degli atti mancati, crede nella casualità psichica; è portato ad attribuire al caso esterno un'importanza che si manifesta nella realtà futura, ed a vedere nel caso un mezzo d'espressione di qualcosa che è nascosto nella realtà. Ci sono dunque due differenze tra me e l'uomo superstizioso: prima di tutto egli proietta all'esterno una motivazione che io cerco all'interno; in secondo luogo, egli interpreta il caso per mezzo di un avvenimento che io riconduco ad un'idea. Ciò che per lui è occulto per me è inconscio; in noi c'è la tendenza comune a non considerare il caso come tale, ma ad interpretarlo.
Ora io sostengo che quest'ignoranza cosciente e questa conoscenza inconscia della motivazione delle casualità psichiche sono una delle radici della superstizione. Proprio perché il superstizioso non sa nulla della motivazione dei suoi atti casuali e perché questa motivazione cerca di imporsi alla sua conoscenza, egli è obbligato a spostarla ed a collocarla nel mondo esterno.”

The Psychopathology of Everyday Life

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“Non c'è bisogno che vi ricordi [discorso di Kien ai libri della sua biblioteca] in modo particolareggiato la storia antichissima e superba delle vostre sofferenze. Scelgo soltanto un esempio per mostrarvi in maniera persuasiva quanto vicini siano odio e amore. La storia d'un paese che tutti noi in egual misura veneriamo, di un paese in cui voi avete goduto delle più grandi attenzioni e dell'affetto più grande, di un paese in cui vi si è tributato persino quel culto divino che ben meritate, narra un orribile evento, un crimine di proporzioni mitiche, perpetrato contro di voi da un sovrano diabolico per suggerimento di un consigliere ancor più diabolico. Nell'anno 213 avanti Cristo, per ordine dell'imperatore cinese Shi Hoang-ti − un brutale usurpatore che ebbe l'ardire di attribuire a se stesso il titolo di "Primo, Augusto, Divino" − vennero bruciati tutti i libri esistenti in Cina. Quel delinquente brutale e superstizioso era per parte sua troppo ignorante per valutare esattamente il significato dei libri sulla base dei quali veniva combattuto il suo tirannico dominio. Ma il suo primo ministro Li-Si, un uomo che doveva tutto ai propri libri, e dunque uno spregevole rinnegato, seppe indurlo, con un abile memoriale, a prendere questo inaudito provvedimento. Era considerato delitto capitale persino parlare dei classici della poesia e della storia cinese. La tradizione orale doveva venire estirpata a un tempo con quella scritta. Venne esclusa dalla confisca solo una piccola minoranza di libri; quali, potete facilmente immaginare: le opere di medicina, farmacopea, arte divinatoria, agricoltura e arboticoltura − cioè tutta una marmaglia di libri di puro interesse pratico. «Confesso che il puzzo di bruciato dei roghi di quei giorni giunge ancor oggi alle mie narici. A che giovò il fatto che tre anni più tardi a quel barbaro imperatore toccasse il destino che s'era meritato? Morì, è vero, ma ai libri morti prima di lui ciò non arrecò alcun giovamento. Erano bruciati e tali rimasero. Ma non voglio tacere quale fu, poco dopo la morte dell'imperatore, la fine del rinnegato Li-Si. Il successore al trono, che aveva ben capito la sua natura diabolica, lo destituì dalla carica di primo ministro dell'impero che egli aveva rivestito per più di trent'anni. Fu incatenato, gettato in prigione e condannato a ricevere mille bastonate. Non un colpo gli venne risparmiato. Fu costretto a confessare mediante la tortura i suoi delitti. Oltre all'assassinio di centinaia di migliaia di libri aveva infatti sulla coscienza anche altre atrocità. Il suo tentativo di ritrattare più tardi la propria confessione fallì. Venne segato in due sulla piazza del mercato della città di Hien-Yang, lentamente e nel senso della lunghezza, perché in questo modo il supplizio dura più a lungo; l'ultimo pensiero di questa belva assetata di sangue fu per la caccia. Oltre a ciò non si vergognò di scoppiare in lacrime. Tutta la sua stirpe, dai figli a un pronipote di appena sette giorni, sia donne che uomini, venne sterminata: tuttavia, invece di essere condannati al rogo, come sarebbe stato giusto, ottennero la grazia di venir passati a fil di spada. In Cina, il paese in cui la famiglia, il culto degli antenati, il ricordo delle singole persone sono tenuti così in gran conto, nessuna famiglia a mantenuto viva la memoria del massacratore Li-Si; solo la storia l'ha fatto, proprio quella storia che l'indegna canaglia, più tardi finita come ho detto, aveva voluto distruggere.”

1981, pp. 98-99
Auto da fé

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“La religione cristiana ridotta a poco a poco alla semplicità del Vangelo; riformate nel clero le soverchie ricchezze di pochi e la quasi indecente miseria di molti; diminuito il numero dei vescovati e dei benefici oziosi; tolte quelle cause che oggi separan troppo gli ecclesiastici dal governo e li rendono quasi indipendenti, sempre indifferenti e spesso anche nemici, ecc. ecc.: è la religione che meglio di ogni altra si adatta ad una forma di governo moderato e liberale. Nessun'altra religione tra le conosciute fomenta tanto lo spirito di libertà. La pagana avea per suo dogma fondamentale la forza: produceva degli schiavi indocili e dei padroni tirannici. La religion cristiana ha per base la giustizia universale: impone dei doveri ai popoli egualmente che ai re, e rende quelli più docili, questi meno oppressori. La religione cristiana è stata la prima che abbia detto agli uomini che Iddio non approva la schiavitù: per effetto della religione cristiana, abbiamo nell'Europa moderna una specie di libertà diversa dall'antica; ed è probabile che i primi cristiani, nella loro origine, altro non fossero che persone le quali volevano, in tempi corrottissimi, ridurre la più superstiziosa idolatria alla semplicità della pura ed eterna ragione, ed il più orribile dispotismo che mai abbia oppresso la cervice del genere umano (tale era quello di Roma) alle norme della giustizia.”

Vincenzo Cuoco (1770–1823) scrittore, giurista e politico italiano

Origine: Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, pp. 71-72

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“Il mio primo scudetto all'Inter non lo abbiamo vinto in campo bensì al centro sportivo di Appiano Gentile. Era un sabato e il nostro inseguitore era il Milan, che nell'anticipo di quella sera era stato battuto rendendoci così campioni. Era la terz'ultima di campionato e noi dovevamo giocare il giorno dopo col Siena. Al centro esplose subito la baldoria, con tutta la squadra a chiedermi di andare a festeggiare in Piazza Duomo assieme ai tifosi. Io ho pensato: se ci andiamo non andremo a letto prima delle tre-quattro del mattino e poi scendiamo in campo stanchi e addormentati e la striscia di partite di fila sempre vinte finisce lì. No, non possiamo farlo: "Tutti a letto" ho tuonato. Quando già ero in camera mia pronto a coricarmi bussa alla porta Júlio Cesar. Il suo era un grido di dolore, piangeva a dirotto: "Mister, dobbiamo andarci in Piazza Duomo, ci aspettano in migliaia. Se non ci andremo tu in vita tua non vincerai più niente". Parole che sembravano una maledizione. Ho pensato: "Sono fregato". Non sono superstizioso, ma quelle parole mi hanno lasciato traballante. Bene. Andiamoci tutti: e così è avvenuto. I tifosi quando ci hanno scoperto sono diventati pazzi. Siamo tornati ad Appiano verso le tre di domenica e nel pomeriggio i giocatori sono stati fantastici, dando tutto per non perdere l'imbattibilità e per non consentire agli avversari di dire che avevano battuto i neocampioni d'Italia. Questi ricordi, lo ripeto, mi procurano tanta nostalgia. Gioisco per i successi dell'Inter e soffro quando l'Inter viene battuta o fermata, com'è successo in queste ultime settimane… Fra l'altro, l'unica volta in vita mia in cui ho vinto ai rigori è stata la Supercoppa Italiana conquistata contro la Roma, il primo dei miei trofei nerazzurri. È che quando si va ai rigori per decidere il vincitore mi assale il panico. Così perdo sempre, comprese due finali di Champions League. Soltanto l'Inter mi ha regalato anche questa gioia.”

José Mourinho (1963) allenatore di calcio e calciatore portoghese

Real Madrid (2010 – 2013)

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