Frasi su disagio
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“[…] come concepire la pena, come ordinare il carcere? Pura retribuzione, o vendetta, della comunità lesa nel suo diritto di sicurezza e di tranquillità, oppure anche tentativo di promuovere e di favorire la liberazione del condannato dalla scelta delinquenziale? Se non ci si abbandona a un istinto sommario ma si vuole riflettere secondo razionalità, bisogna riconoscere che la seconda alternativa, per quanto complessa e difficile, difende meglio, più a fondo, l'interesse collettivo. Il pianeta carcere con i suoi abitanti non può essere considerato qualcosa di siderale, di «totalmente altro» da noi che ne stiamo fuori. È una parte della società che, a causa dei suoi comportamenti antisociali, dei reati commessi violando le leggi, sconta la pena inflitta al termine di un processo non solo legittimo ma doveroso, inderogabile. Dunque la società libera non può lavarsene le mani come se non la riguardasse, deve, al contrario, farsene carico. […] non ci si può limitare a chiedere che i rei siano posti in condizione di non nuocere più: ci si deve innanzitutto interrogare se del reato commesso non esista una responsabilità collettiva, sia pure indiretta, in quanto non abbiamo saputo intervenire in tempo per risolvere un disagio e prevenirne le conseguenze criminose (la prevenzione, di cui tanto si parla, non è delegabile interamente agli organi di polizia, è compito di tutti […]).”

Mario Gozzini (1920–1999) scrittore, politico e giornalista italiano

cap. 1, 2: p. 6
La giustizia in galera?

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“Della mia permanenza all'Accademia di Belle Arti debbo dire, per la verità, che gli insegnamenti che mi venivano impartiti non ebbero altro effetto che di porre il mio spirito in uno stato di profondo disagio. Ben dopo di ciò che ora serve alla mia arte vi appresi.”

Giorgio Morandi (1890–1964) pittore e incisore italiano

18 febbraio 1928
Origine: Autobiografia da L'Assalto, settimanale della federazione fascista di Bologna, dalla rubrica Autobiografie di scrittori e artisti del tempo fascista, 18 febbraio 1928, p. 3; in Lettere, a cura di Lorella Giudici, Abscondita, 2004, ISBN 978-88-8416-322-6

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“[…] quel che resta sono le opere aristocratiche dei vinti, i Tomasi e i Buzzati, i Praz e i Morselli, i Berto e gli Alianello. O di vinti a disagio nel campo dei vincitori, come Pavese e Pasolini.”

Marcello Veneziani (1955) giornalista e scrittore italiano

da I vinti: i perdenti della globalizzazione e loro elogio finale, Mondadori, Milano, 2004, p. 121

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“Michel Onfray si lamenta di ricevere critiche senza essere letto? Ebbene, l'ho quindi letto. L'ho fatto sforzandomi di mettere da parte, per quanto possibile, i vecchi cameratismi, le amicizie comuni, come anche la circostanza — ma questo era evidente — che entrambi siamo pubblicati dallo stesso editore. A dir la verità, sono uscito da questa lettura ancora più costernato di quanto lasciassero presagire le recensioni di cui, come tutti, ero venuto a conoscenza. Non che per me, come invece per altri, l'«idolo» Freud sia intoccabile: da Foucault a Deleuze, a Guattari e ad altri ancora, molti se la sono presa con lui e io, pur non essendo d'accordo, non ho mai negato che abbiano fatto avanzare il dibattito. E nemmeno sono il risentimento anti-freudiano, la collera, addirittura l'odio, come ho letto qua e là, a suscitare il mio disagio alla lettura del libro Crépuscule d'une idole. […] si fanno grandi libri con la collera! E che un autore contemporaneo mescoli i propri affetti con quelli di un glorioso predecessore, che si misuri con lui, che faccia i conti con la sua opera in un pamphlet che, nell'ardore dello scontro, apporta argomenti o chiarimenti nuovi è, in sé, qualcosa di piuttosto sano. Del resto, Onfray l'ha fatto spesso, altrove, e con vero talento. No, non è questo. Quel che infastidisce nel Crépuscule d'une idole è di essere banale, riduttivo, puerile, pedante, talvolta al limite del ridicolo, ispirato da ipotesi complottistiche assurde quanto pericolose.”

Bernard-Henri Lévy (1948) filosofo, giornalista e imprenditore francese
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“Proprio nei momenti di difficoltà economica come quelli che stiamo attraversando si impone una particolare attenzione alla condizione e ai diritti delle persone con disabilità, così da evitare che il disagio sociale si traduca in emergenza, come purtroppo in troppi casi sta avvenendo.”

Giorgio Napolitano (1925) 11º Presidente della Repubblica Italiana

Origine: Citato in Messaggio del Presidente Napolitano in occasione della IV Conferenza sulle politiche della disabilità http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Comunicato&key=15348, quirinale.it, Roma, 12 luglio 2013.

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“La professione del prete è questa: godere e far credere alle moltitudini stupide ch'egli soffre di privazioni e di disagi.”

Giuseppe Garibaldi (1807–1882) generale, patriota e condottiero italiano

cap. XLIX; p. 113
Clelia: il governo dei preti

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“[…] le persone si sentono a disagio con un vegano al loro tavolo, più di quanto non lo siano con una lesbica. È come se si suggerisse che ciò che qualcun altro sta facendo è cattivo o sbagliato, e li colpisce su un livello più personale.”

Portia de Rossi (1973) modella, attrice e scrittrice australiana

Origine: Da un'intervista alla rivista VegNews; citato in Portia De Rossi: "È più difficile essere vegani che essere gay!" http://www.gaywave.it/articolo/portia-de-rossi-e-piu-difficile-essere-vegani-che-essere-gay/32907/, gaywave.it, 30 luglio 2011.

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“Appena a sud del carbonio c'è il silicio. Come accade spesso tra i vicini si tratta di una prossimità ambigua, che crea un po' di disagio. Come il carbonio, ma in misura minore, il silicio ha la capacità di formare alcune tra le lunghe molecole a catena necessarie per i processi complessi come la vita. E tuttavia il silicio non ha dato origine a un proprio tipo di vita; forse però da questo punto di vista è solamente dormiente. I prodotti principali del carbonio, gli organismi viventi, hanno impiegato miliardi di anni per mettere a punto meccanismi di accumulo e dispersione dell'informazioni (una definizione austera e sintetica di ciò che intendiamo per «vita»); nel frattempo il silicio è rimasto in attesa. La recente alleanza tra le due regioni, che ha visto organismi basati sul carbonio sviluppare utensili basati sul silicio per la tecnologia dell'informazione, ha portato alla schiavizzazione del silicio. Però gli organismi basati sul carbonio sono ricchi d'inventiva e stanno sviluppando sempre più le potenzialità nascoste del silicio, tanto che forse un giorno il silicio capovolgerà i rapporti di forza con il suo vicino settentrionale e assumerà il ruolo dominante. Sicuramente sui tempi lunghi il silicio ha grandi potenzialità, perché il suo metabolismo e la sua replicazione possono essere meno complessi di quelli del carbonio. Questo potrebbe rivelarsi uno dei più astuti giochi di alleanze di tutto il Regno: il silicio potrà realizzare il proprio potenziale soltanto se il carbonio si sarà prima sobbarcato tutto il lavoro preparatorio.”

Peter Atkins (1940) chimico, saggista e divulgatore scientifico britannico

Origine: Il Regno periodico, pp. 29-30

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“Durante le riprese del primo episodio [Una donna vera] tutto il vecchio cast era venuto a trovarci, facendoci sentire parte del gruppo. Così non ci sentivamo a disagio.”

Kal Penn (1977) attore e politico statunitense

citato nei contenuti speciali dei DVD della quarta stagione di Dr. House, Universal Pictures

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“Il rondone si mette per la inconstanza: il quale sempre sta in moto, per non sopportare alcuno minimo disagio.”

Leonardo Da Vinci (1452–1519) pittore, ingegnere e scienziato italiano

Inconstanza; 1979, p. 56
Bestiario o Le allegorie

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“Abbiamo combattuto, per esempio, contro il ministro Luca Zaia, un padano svagato e incosciente, che non capisce i disagi del mondo agricolo.”

Nichi Vendola (1958) politico italiano

Origine: Citato in Lello Parise, Puglia, Vendola si ricandida e spiazza i democratici http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/11/21/puglia-vendola-si-ricandida-spiazza-democratici.html?ref=search, la Repubblica, Bari, 21 novembre 2009.

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“[Su Juventus-Milan, finale di Champions League del 2003] La vittoria in Champions è anche un premio ad una certa strategia societaria. Il Milan ha scelto la strada della grandeur (o comunque della ricchezza sportiva) e la Juve quello della ricchezza economica. […] Se la Juve vende Vieri, Henry, Zidane e Inzaghi e poi si ritrova a giocare la gara più importante degli ultimi sette anni con Zalayeta e Birindelli, le colpe non possono soltanto attribuirsi alla sfortuna che le ha impedito a Manchester di schierare lo squalificato Nedved. Lippi ha anche sbagliato formazione con un Montero a sinistra chiaramente a disagio e un Tudor centrale, ruolo che contro Inzaghi non è in grado di ricoprire. Ma c'è anche qualcosa sulla preparazione atletica che ha lasciato perplessi: mai la Juve negli ultimi due anni era stata messa sotto sul piano dinamico come lo è stata a Manchester nel primo tempo. Ma il Milan ha giocato alla grande, a pieno ritmo nei primi quarantacinque minuti e nel finale, in dieci, è stato trascinato da Paolo Maldini, forse il più grande calciatore italiano dell'ultimo ventennio. Seedorf alla sua terza Champions con tre squadre diverse, Sheva finalmente primo in una grande manifestazione e Ancelotti praticamente perfetto gli artefici di un successo invidiato da tutti.”

Franco Rossi (1944–2013) giornalista italiano

Con data
Origine: Da Grandeur del Milan premiata in Europa: quando a vincere sono anche i soldi https://web.archive.org/web/20030712132134fw_/http://www.dialoga.com/francorossi/Admin/Leggi_Articolo.asp?id=732, Francorossi.com, 29 maggio 2003.

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“Amo la naturalezza della vostra unione, la guardo con un sorriso, voi, in qualche misura, mi avete protetto da me stesso. Io non mi sono mai sentito "naturale", mi sono impegnato per esserlo, tentativi striduli, perché impegnarsi per essere naturali e già una sconfitta. Così ho accettato il modello che mi avete ritagliato nella carta velina dei vostri bisogni. Sono rimasto un ospite fisso in casa mia. Non mi sono indignato nemmeno quando in mia assenza, durante le giornate di pioggia, la cameriera ha spostato lo stenditoio con i vostri panni accanto al calorifero nel mio studio. Mi sono abituato a queste umide intrusioni senza ribellarmi. Sono rimasto sulla mia poltrona senza poter allungare troppo le gambe, ho posato il libro sulle ginocchia e mi sono fermato a guardare la vostra biancheria. Ho trovato in quei panni umidi una compagnia che forse superava quella delle vostre persone, perché in quelle trame sottili e candide io catturavo il profumo fraterno della nostalgia, di voi, certo, ma soprattutto di me stesso, della mia latitanza. Lo so, Angela, per troppi anni i miei baci, i miei abbracci sono stati goffi, stentati. Ogni volta che ti ho stretta, ho sentito il tuo corpo scosso da un fremito d'impazienza, se non addirittura di disagio. Non ti ci ritrovavi, ecco tutto. Ti è bastato sapere che c'ero, guardarmi in lontananza, come un viaggiatore appeso al finestrino di un altro treno, scialbato da un vetro. Sei una ragazza sensibile e solare, ma di colpo il tuo umore cambia, diventi rabbiosa, cieca. Ho sempre avuto il sospetto che questa ira misteriosa, dalla quale riaffiori sconcertata e un po' triste, ti sia cresciuta dentro per causa mia.
Angela, a ridosso della tua schiena incolpevole c'è una sedia vuota. Dentro di me c'è una sedia vuota. Io la guardo, guardo la spalliera, le gambe, e aspetto, e mi sembra di ascoltare qualcosa. È il rumore della speranza. Lo conosco, l'ho udito affannarsi nel fondo dei corpi e affiorare negli occhi delle miriadi di pazienti che ho avuto davanti, l'ho sentito fermarsi in stallo tra le mura della sala operatoria, ogni volta che ho mosso le mie mani per decidere il corso di una vita. So esattamente di cosa m'illudo. Nei grani di questo pavimento che ora si muovono lenti come fuliggine, come ombre morenti, m'illudo che quella sedia vuota si riempia anche per un solo lampo di una donna, non del suo corpo, no, ma della sua pietà. Vedo due scarpe décolletées color vino, due gambe senza calze, una fronte troppo alta. E lei è già davanti a me per ricordarmi che sono un untore, un uomo che segna senza cautela la fronte di chi ama. Tu non la conosci, è passata nella mia vita quando ancora non c'eri, è passata ma ha lasciato un'impronta fossile. Voglio raggiungerti, Angela, in quel limbo di tubi dove ti sei coricata, dove il craniotomo scassinerà la tua testa, per raccontarti di questa donna.”

Origine: Non ti muovere, pp. 21-23

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“[…] noi donne europee, abbiamo bisogno di cominciare una discussione vera su quello che l'immigrazione sta portando nei nostri paesi; sul disagio, e sulle vere e proprie minacce alla nostra incolumità fisica che avvertiamo nelle strade, sui bus, nei quartieri delle nostre città.”

Lucia Annunziata (1950) scrittrice, giornalista e conduttrice televisiva italiana

Citazioni di Adriano Celentano
Origine: Da Sul corpo delle donne no pasaran http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/blog-direttore_b_8920534.html, Huffington Post.it, 6 gennaio 2016.

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“Comunque ho lasciato gli altri a pallavolare in palestra e sono uscita dalla scuola, c'era un sole pallido color miele. Sono andata al bar di fronte, a vedere le facce. Come faccio spesso, mi sono tappata le orecchie per concentrarmi e capire cosa succedeva intorno. E mi sono sentita strana. Qual'era il motivo del mio disagio? E quale segrato nascondeva la gente seduta?
L'uomo corpulento con la fronte sudata, che sbarrava gli occhi in segno di meraviglia, e disegnava rabbia con la mano. E l'uomo piccolo che ne seguiva il discorso scuotendo la testa e ricalcando i gesti dell'altro. E la giovane carica di gioielli come una Cleopatra che sibilava a bassa voce contro qualcuno, un veleno d'astio che le sue amiche assorbivano come un balsamo ristoratore, ammiccando tra loro per dividere il piacere. O il ragazzo che litigava ad alta voce con la ragazza, costringendola a guardarlo negli occhi, mentre lei si mordeva la mano per la vergogna, col volto rigato di lacrime. O la tavolata dove un giovane zerbinotto raccontava e tutti ridevano. O i due ragazzi che parlavano probabilmente di sport, uno battendo le mani su un giornale, l'altro interrompendolo con una voce roca.
E di colpo ho capito.
Quei signori e signore e ragazzi e ragazze seduti, tutti avevano ragione. E parlandone, si rafforzavano in questa loro certezza. E la loro ragione era costruita sul dileggio, sulla rovina, sul disprezzo degli altri. E più parlavano, più la ragione cresceva e chiedeva il suo tributo di parole, di minacce, di gesti. E sempre di più gli altri, quelli dalla parte del torto, diventavano lontani e miserabili. Ma guardando oltre la strada, nei bar di fronte, altra gente era seduta e anche loro avevano ragione. Una gigantesca, unica ragione divideva il mondo in quelli che l'avevano, cioè tutti, e gli altri, e cioè tutti.
E io, che sentivo di non avere ragione, cosa avrei fatto?
Sono tornata in classe e c'era aria pesante. Marra e Gasparrone avevano insultato Zagara chiamandolo terrone e figlio di galeotto. Lui li aveva assaltati con un tirapugni fatto con la maniglia di una porta. Erano finiti tutti e tre dal preside. Quante battaglie stupide e quante nobili e giuste ci sono nella giornata media di ognuno?”

Stefano Benni (1947) scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano

Margherita Dolce Vita

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“Con la fantasia, Bridget tornò mille volte a quel primo bacio appassionato, rendendolo sempre più perfetto.
Ma non andò oltre.
Per molte ore, dopo avere lasciato Eric, rimase sveglia nel sacco a pelo.
Tremava.
Aveva gli occhi pieni di lacrime.
Ecco che cominciavano a scendere.
Lacrime di tristezza, di disagio, d’amore.
Erano il genere di lacrime che le venivano quando si sentiva troppo colma: aveva bisogno di fare un po’ di spazio.
Guardò il cielo.
Era più grande, quella notte.
Quella notte i suoi pensieri si avventuravano negli spazi infiniti e, come diceva Diana, non trovavano alcun ostacolo su cui rimbalzare per tornare indietro.
Andavano avanti e avanti, finché nulla sembrava più reale.
Neppure il pensiero. Bridget si era stretta a Eric, piena di desiderio, insicura, spavalda e impaurita.
C’era una tempesta nel suo corpo, e quando era diventata troppo violenta, lei era andata via. Si era lasciata levitare fino alle fronde delle palme.
Lo aveva già fatto altre volte.
Avrebbe lasciato affondare la nave senza il capitano.
Quello che era successo con Eric era insondabile, indescrivibile.
Ora tutto questo era lì con lei, incerto, desideroso di qualcuno che se ne prendesse cura: ma Bridget non sapeva come.
Richiamò indietro i propri pensieri, raccogliendoli ad anello come il filo di un aquilone.
Si arrotolò il sacco a pelo sotto il braccio e tornò furtiva alla baracca. Si distese sul letto.
Quella notte non avrebbe concesso ai suoi pensieri di avventurarsi oltre le travi sbiadite del soffitto”

Ann Brashares (1967) scrittrice statunitense

The Sisterhood of the Traveling Pants

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“La guerra in Spagna era da qualche mese finita, e stava per cominciare quella mondiale, quando in una bottega di vecchi libri mi sono imbattuto nel grosso volume delle Obras di josé Ortega y Gasset pubblicato dalla Espasa—Calpe (Bilbao— Madrid—Barcelona: e questi nomi di citta‘ erano per me ancora intrisi della passione con cui avevo seguito le vicende della guerra civile) nel 1932. Un volume rilegato in tela arancione e stava accanto ad un altro di uguali dimensioni rilegato in tela rossa e che portava il timbro di un circolo socialista di Zaragoza: El capital di Marx.
Era facile pensare che qualcuno li avesse portati dalla Spagna come preda di guerra: e mi commuoveva l’immagine di quel reduce dalla guerra fascista che chi sa per quale sentimento, interesse o intento si era caricato di quei due pesanti volumi, portandoli dalla Spagna in Italia. Era un’immagine che dava alla fantasia e inclinava alla retorica. Mi faceva affiorare alla mente quella frase di Shakespeare che l’anno prima il premier inglese Chamberlain aveva declamato tornando da Monaco: “Dentro una selva di pericoli abbiamo colto questo fiore” (e intendeva, il pover’uomo, il fiore della pace). Dentro i disagi, i pericoli e lo strazio della guerra — e di una guerra di cui altro non sapeva che era contro quei “rossi” di cui nulla sapeva — ecco che l’ignoto reduce italiano aveva riportato, come un fiore, dei libri. E forse non per sè. Per me, in definitiva.”

Leonardo Sciascia (1921–1989) scrittore e saggista italiano

Ore di Spagna

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“Chi sa ballare alla persiana?” domando. Tutte si voltano a guardare Sanaz. Lei si schermisce, fa di no con la tessta. Cominciamo ad insistere, a incoraggiarla, formiamo un cerchio intorno a lei. Quando inizia a ballare, piuttosto a disagio, battiamo le mani e ci mettiamo a canticchiare. Nassrin ci chiede di fare più piano. Sanaz riprende, quasi vergognandosi, a piccoli passi, muovendo il bacino con grazia sensuale. Continuiamo a ridere e a scherzare, e lei si fa più ardita; muove la testa a destra e sinistra, e ogni parte del suo corpo vibra; balla anche con le dita e le mani. Sul suo volto compare un'espressione particolare, spavalda, ammicante, che attrae, cattura, e al tempo stesso sfugge e si nasconde. Appena smette di ballare, tuttavia, il suo potere svanisce.
Esistono varie forme di seduzione, ma quella che emana dalle danze tradizionali persiane è unica, una miscela di impudenza e sottigliezza di cui non mi pare esistano eguali nel mondo occidentale. Ho visto donne di ogni estrazione sociale assumere lo stesso sguardo di Sanaz, sornione, seducente e l'ho ritrovato anni dopo sul viso di Leyly, una mia amica molto sofisticata che aveva studiato in Francia, vedendola ballare al ritmo di una musica piena di parole come naz e eshveh e kereshmeh, che potremmo tradurre con “malizia”, “provocazione”, “civetteria”, senza però riuscire a rendere l'idea.
QUesto tipo di seduzione è al tempo stesso elusiva, vigorosa e tangibile. Il corpo si contorce, ruota su se stesso, si annoda e si snoda. Le mani si aprono e si chiudono, i fianchi sembrano avvitarsi e poi sciogliersi. Ed è tutto calcolato: ogni passo ha il suo effetto, e così il successivo. È un ballo che seduce in un modo che Daisy Miller non si sognava neanche. È sfacciato, ma tutt'altro che arrendevole. Ed è tutto nei gesti di Sanaz. La veste nera e il velo - che ne incorniciano il volto scavato, gli occhi grandi e il corpo snello e fragile - conferiscono uno strano fascino ai suoi movimenti. Con ogni mossa, Sanaz sembra liberarsene: la vesta diventa sempre più leggera, e aggiunge mistero all'enigma della danza.”

Reading Lolita in Tehran

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“[…] Egli fu per il suo tempo quello che lo psicanalista è per il nostro: a suo modo non denunciava anche lui «il disagio della civiltà»? (In tutte le epoche confuse e raffinate, un Freud tenta di alleggerire le anime). Più che con Socrate, è con Epicuro che la filosofia scivolò verso la terapeutica. Guarire e soprattutto guarirsi, questa era la sua ambizione: benché volesse liberare gli uomini dalla paura della morte e da quella degli dèi, provava egli stesso sia l'una che l'altra. L'atarassia di cui si fregiava non costituiva la sua esperienza ordinaria: la sua «sensibilità» era notoria. Quanto al disprezzo per le scienze, disprezzo che gli è stato in seguito rimproverato, sappiamo come sovente sia proprio dei «cuori feriti». Questo teorico della felicità era un malato: vomitava, a quanto pare, due volte al giorno. In mezzo a quali miserie doveva dibattersi per aver tanto odiato i «turbamenti dell'anima»! Quel poco di serenità che riuscì a conquistare, senza dubbio la riservò ai suoi discepoli, i quali, riconoscenti e ingenui, gli crearono una reputazione da saggio. Siccome le nostre illusioni sono ben più deboli di quelle dei suoi contemporanei, intravediamo agevolmente il rovescio del suo Giardino…”

Emil Cioran (1911–1995) filosofo, scrittore e saggista rumeno

La tentazione di esistere
Variante: [... ] Egli fu per il suo tempo quello che lo psicanalista è per il nostro: a suo modo non denunciava anche lui « il disagio della civiltà»? (In tutte le epoche confuse e raffinate, un Freud tenta di alleggerire le anime). Più che con Socrate, è con Epicuro che la filosofia scivolò verso la terapeutica. Guarire e soprattutto guarirsi, questa era la sua ambizione: benché volesse liberare gli uomini dalla paura della morte e da quella degli dèi, provava egli stesso sia l'una che l'altra. L'atarassia di cui si fregiava non costituiva la sua esperienza ordinaria: la sua «sensibilità» era notoria. Quanto al disprezzo per le scienze, disprezzo che gli è stato in seguito rimproverato, sappiamo come sovente sia proprio dei «cuori feriti». Questo teorico della felicità era un malato: vomitava, a quanto pare, due volte al giorno. In mezzo a quali miserie doveva dibattersi per aver tanto odiato i «turbamenti dell'anima»! Quel poco di serenità che riuscì a conquistare, senza dubbio la riservò ai suoi discepoli, i quali, riconoscenti e ingenui, gli crearono una reputazione da saggio. Siccome le nostre illusioni sono ben più deboli di quelle dei suoi contemporanei, intravediamo agevolmente il rovescio del suo Giardino...

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“Nelle vicinanze della strada dove viveva c'erano ancora alcuni lampioni accesi. QUesta volta non li evitò: si sentiva sicuro, fiducioso, se qualcuno lo avesse bloccato, avrebbe spiegato tranquillamente la storia della ferita, dimostrato che tutto faceva parte, era chiaro, della stessa cospirazione contro la sicurezza e il benessere della città. Non ce ne fu bisogno. Nessuno gli chiese di mostrare il palmo della mano. Le poche strade illuminate erano gremite di gente. Era difficile riuscire ad attraversarle. E in una, appollaiato sopra un camion, un sergente dell'esercito di terra (et) atava leggendo un proclama, o un avviso:
-Si informano tutti i cittadini utenti che, per ordine dello stato-maggiore-generale delle forze armate (smgfa), sarà bombardato, a partire dalle sette del mattino e da parte dell'artiglieria (ar) e dell'aviazione (av), il settore est della città, come prima misura di rappresaglia. I cittadini utenti che abitano nel settore da bombardare sono già stati evacuati dalle loro case e si trovano attualmente alloggiati in edifici governativi, debitamente sorvegliati. Saranno indennizzati per tutte le perdite materiali e per tutti i disagi morali che il presente ordine inevitabilmente finirà per causare. Il governo (g) e lo stato-maggiore-generale delle forze armate (smgfa) garantiscono ai cittadini utenti che il piano di contrattacco elaborato sarà portato fino alle sue estreme conseguenze. Date le circostanze, ed essendosi rivelata infruttuosa la parola d'ordine «sorveglianza e mano aperta», la stessa parola d'ordine è sostituita dalla seguente: «Sorvegliare e attaccare».”

José Saramago (1922–2010) scrittore, critico letterario e poeta portoghese

da Cose, in Oggetto quasi

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“Peter Gabriel è stato un uomo che è riuscito ad abbracciare il mondo intero. Un artista che ha cercato di trovare le parole giuste per infondere speranza e forza a tutte quelle persone che si vedevano e che si vedono costrette a dover affrontare enormi disagi spesso dovuti alla solitudine.”

Carlo Zannetti (1960) chitarrista, cantautore e scrittore italiano

Origine: Da Peter Gabriel, il genio che riuscì ad abbracciare il mondo intero http://www.ilpopoloveneto.it/notizie/musica/2017/04/01/34951-peter-gabriel-genio-riusci-ad-abbracciare-mondo-intero, Il Popolo Veneto.it, 1 aprile 2017.

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“La scorsa notte ho visto quella roba in televisione, e vedere quelle scimmie da quei paesi africani… Diamine, sono ancora a disagio a indossare le scarpe!”

Ronald Reagan (1911–2004) 40º presidente degli Stati Uniti d'America e attore

Origine: Citato in È emersa una telefonata razzista del 1971 fra Ronald Reagan e Richard Nixon https://www.ilpost.it/flashes/reagan-nixon-telefonata-razzista/, Ilpost.it, 1 agosto 2019

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