Frasi su uscita
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“Comunque ho lasciato gli altri a pallavolare in palestra e sono uscita dalla scuola, c'era un sole pallido color miele. Sono andata al bar di fronte, a vedere le facce. Come faccio spesso, mi sono tappata le orecchie per concentrarmi e capire cosa succedeva intorno. E mi sono sentita strana. Qual'era il motivo del mio disagio? E quale segrato nascondeva la gente seduta?
L'uomo corpulento con la fronte sudata, che sbarrava gli occhi in segno di meraviglia, e disegnava rabbia con la mano. E l'uomo piccolo che ne seguiva il discorso scuotendo la testa e ricalcando i gesti dell'altro. E la giovane carica di gioielli come una Cleopatra che sibilava a bassa voce contro qualcuno, un veleno d'astio che le sue amiche assorbivano come un balsamo ristoratore, ammiccando tra loro per dividere il piacere. O il ragazzo che litigava ad alta voce con la ragazza, costringendola a guardarlo negli occhi, mentre lei si mordeva la mano per la vergogna, col volto rigato di lacrime. O la tavolata dove un giovane zerbinotto raccontava e tutti ridevano. O i due ragazzi che parlavano probabilmente di sport, uno battendo le mani su un giornale, l'altro interrompendolo con una voce roca.
E di colpo ho capito.
Quei signori e signore e ragazzi e ragazze seduti, tutti avevano ragione. E parlandone, si rafforzavano in questa loro certezza. E la loro ragione era costruita sul dileggio, sulla rovina, sul disprezzo degli altri. E più parlavano, più la ragione cresceva e chiedeva il suo tributo di parole, di minacce, di gesti. E sempre di più gli altri, quelli dalla parte del torto, diventavano lontani e miserabili. Ma guardando oltre la strada, nei bar di fronte, altra gente era seduta e anche loro avevano ragione. Una gigantesca, unica ragione divideva il mondo in quelli che l'avevano, cioè tutti, e gli altri, e cioè tutti.
E io, che sentivo di non avere ragione, cosa avrei fatto?
Sono tornata in classe e c'era aria pesante. Marra e Gasparrone avevano insultato Zagara chiamandolo terrone e figlio di galeotto. Lui li aveva assaltati con un tirapugni fatto con la maniglia di una porta. Erano finiti tutti e tre dal preside. Quante battaglie stupide e quante nobili e giuste ci sono nella giornata media di ognuno?”

Stefano Benni (1947) scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano

Margherita Dolce Vita

“Ieri sera un grosso ratto mi ha attraversato la strada in Fifty-seventh Street. È uscito da sotto lo steccato di un terreno vuoto vicino a Bendel's, ha aspettato una pausa nel traffico, poi è filato verso il lato nord della strada, si è fermato per un po' sul marciapiede buio ed è scomparso. Era il mio secondo ratto della settimana. Il primo è stato in un ristorante greco con le finestre dai davanzali all'altezza dei fianchi. Il ratto è sfrecciato lungo i davanzali puntando dritto verso di me, poi mi ha superata.
«L'hai visto» ha detto Will, sorseggiando la sua birra.
«Un grosso topo» ho risposto. «Ormai anche nei buoni alberghi si trova qualche topino, nel bar o nell'atrio». L'ultima volta che avevo visto Will era stato a Oakland; prima ancora, in Louisiana. Lavorava nel settore legale. Poi qualcosa, forse un senso di allarme ai margini del mio campo visivo, è spuntato da sinistra, correndo verso la mia faccia. Ho sentito l'acciottolio della forchetta.
«Stavi andando alla grande» ha detto Will, ghignando, «finché non hai perso la calma».
Il secondo ratto, naturalmente, poteva anche essere il primo che si era spostato più a nord, nel qual caso o il ratto mi segue, oppure fa i miei stessi tragitti e orari. Tuttavia sono convinta che la sanità mentale sia la scelta etica più profonda del nostro tempo. Due ratti, dunque. I tassisti non sentono neppure le indicazioni attraverso quei nuovi divisori, che a me non sembrano davvero antiproiettile, anche se, naturalmente, non ho mai verificato. Antirumore. Le dita s'incastrano, questo è certo, nei nuovi recipienti per i soldi. Be', qualcuno ha venduto i divisori. Qualcuno li ha comprati. Disonesti, chiaramente. Sembra che non esista uno spirito dei tempi. Stavo per alzarmi assurdamente presto, quando Will, che si butta nel sonno con una violenza pari alla sua mitezza da sveglio, mi ha detto: «Stai qui. è normale». Invece ho trovato un taxi per tornare a casa, sotto la pioggia, davanti a un'armeria.”

Renata Adler (1938) scrittore, critico cinematografico, giornalista

Mai ci eravamo annoiati

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“- Andiamo al British Museum.
Detto fatto. Per non perderci, ci demmo appuntamento a mezzogiorno in Mesopotamia. Non è una cosa da tutti i giorni poter fissare un appuntamento in un posto del genere.
In quel tipo di edifici, apprezzo ancora di più l’insieme che il dettaglio. Mi piace passeggiare, senza altra logica che il mio piacere, dall’antico Egitto alle Galapagos passando per Sumer. Ingozzarmi di tutta l’assiriologia mi rimarrebbe sullo stomaco, mentre piluccare qualche carattere cuneiforme a mo’ di aperitivo, rune come antipasto, la stele di Rosetta come piatto principale e delle mani a negativo preistoriche come dessert manda in estasi le mie papille.
Quello che non sopporto, nei musei, è il passo lento e solenne che le persone si credono obbligate in cuor loro ad adottare. Quanto a me, mi sposto con passo ginnico, abbracciando con lo sguardo vaste prospettive: che si tratti di archeologia o di pittura impressionista, ho notato i vantaggi di questo metodo. Il primo è evitare l’atroce effetto guida turistica: “Ammirate la bonarietà dello sceicco el-Beled: non vi sembra di averlo incrociato ieri al mercato?” oppure: “Una controversia oppone la Grecia e il Regno Unito a proposito del fregio del Partenone.” Il secondo è concomitante al primo: rende impossibili i commenti all’uscita dal museo. I Bouvard e Pécuchet moderni devono chiudere il becco. Il terzo vantaggio, e non il meno importante per quanto mi riguarda, è che impedisce l’insorgere del terribile mal di schiena museale.
Intorno a mezzogiorno, mi resi conto di essermi persa. Affrontai un responsabile in questi termini:
– Mesopotamia, please.
– Third floor, turn to the left – mi venne risposto nel modo più semplice possibile.
E questa è la dimostrazione che ci si sbaglia nel ritenere la Mesopotamia tanto inaccessibile.”

Pétronille

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“[Su Anne Hathaway] Qualcuno l'ha paragonata a Audrey Hepburn. Purtroppo i duelli sono fuorilegge, così mi limito a ricordare che Audrey pare pronta per un party anche quando in Colazione da Tiffany apre la porta a George Peppard appena scesa dal letto e con i tappi nelle orecchie. La povera Anne anche quando nella seconda parte di Il diavolo veste Prada è rivestita di abiti firmati ha l'eleganza di una anziana profuga uzbeka appena uscita da un Centro Caritas.”

Tommaso Labranca (1962–2016) scrittore, autore televisivo e conduttore radiofonico italiano

Profumo, 2008
Collateral
Variante: Qualcuno l’ha paragonata a Audrey Hepburn. Purtroppo i duelli sono fuorilegge, così mi limito a ricordare che Audrey pare pronta per un party anche quando in Colazione da Tiffany apre la porta a George Peppard appena scesa dal letto e con i tappi nelle orecchie. La povera Anne anche quando nella seconda parte di Il diavolo veste Prada è rivestita di abiti firmati ha l'eleganza di una anziana profuga uzbeka appena uscita da un Centro Caritas. (Profumo)

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“Presi in giro Hemingway sul romanzo in uscita e ridemmo molto e ci divertimmo e poi ci infilammo dei guantoni da boxe e mi ruppe il naso.”

Woody Allen (1935) regista, sceneggiatore, attore, compositore, scrittore e commediografo statunitense

2004
Rivincite (Getting Even), Un ricordo degli anni Venti

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“Necessitiamo della cooperazione con l'Etiopia in modo fraterno, […] È ora di trovare una via d'uscita. Dopo una lotta molto lunga, bisognerebbe ora riflettere.”

Mohammed Siad Barre (1919–1995) politico somalo

Variante: Abbiamo bisogno di collaborare fraternamente con l'Etiopia, [... ] È giunto il momento di trovare una via d'uscita. Dopo una lunga, lunga lotta, bisognerebbe ora riflettere.

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“Per me il futuro dei 27 ha la precedenza sulle discussioni per l'uscita della Gran Bretagna.”

Angela Merkel (1954) politica tedesca

Origine: Citato in Macron, lavoriamo mano nella mano con Germania in UE http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2017/06/22/macron-lavoriamo-mano-nella-mano-con-germania-in-ue_c20aeced-605f-4c62-bcc0-bdd55de0fad6.html, Euronews.it, 22 giugno 2017.

“[Chiedendo la soppressione della Ménagerie du Jardin des Plantes] L'umiliazione degli animali non è più tollerabile di quella delle persone. Proprio come un secolo fa, e ancora di più, vengono esibiti gattopardi, puma e tigri che sono, in realtà, morti viventi.
Sono disperati, ma soprattutto deprivati. Hanno perso il verde delle foglie degli alberi e dei prati così come la terra che calcavano. Le grandi zampe dei predatori, dai cuscinetti così delicati, si feriscono sul duro cemento. I rapaci si trascinano nei loro stessi escrementi. I fenicotteri rosa rimestano l'acqua delle fogne. […] In prigione, l'uomo perde la sua libertà; in una gabbia l'animale perde anche lo spazio in cui organizzava la sua esistenza in tutta la sua complessità: il suo comportamento viene sconvolto, la sua psiche scossa. Non trova altra via d'uscita che la follia, spesso misericordiosa. Ecco perché l'orso continua il suo vorticoso viavai lungo quel muro che lambisce con il muso. L'elefante si dondola senza tregua. Un giovane lupo si strappa le unghie. I prigionieri degli zoo, fatta salva qualche eccezione, sono dei malati mentali, ossessionati dalla loro condanna, frustrati, ansiosi e aggressivi.
Quest'ospedale psichiatrico, che sfrutta la sofferenza animale, non merita né il nostro tempo né le eminenti personalità da museo che lo amministrano. Il serraglio del Jardin des Plantes è solo un'enclave anacronistica e scandalosa, dove, nel cuore di Parigi, si possono vedere, per soli tre franchi, animali infelici, costruzioni traballanti e piastrelle rotte.
Sbarazzatevi di tutto ciò e piantate dei fiori!”

Philippe Diolé (1908–1977)

Origine: Da Prisons dans un jardin, Le Figaro, 11 giugno 1974; citato in Matthieu Ricard, Sei un animale!, traduzione di Sergio Orrao, Sperling & Kupfer, Milano, 2016, pp. 245-246. ISBN 978-88-200-6028-2

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“Tocca a noi rendere evidente che non ci sarà futuro per l'Italia senza l'orizzonte europeo. Che la nostra sovranità o sarà sempre più europea o non sarà. Che le ipotesi di uscita dall'euro avanzate da certa destra e dai Cinque Stelle sono follie pericolose per le sorti del nostro Paese.”

Maurizio Martina (1978) politico italiano

Origine: Citato in La Commissione Ue apre al piano Prodi: "Cambiare per fermare i nazionalismi" http://www.lastampa.it/2017/12/24/economia/la-commissione-ue-apre-al-piano-prodi-cambiare-per-fermare-i-nazionalismi-uXO7aUofrz2hSnlk8KWXlO/pagina.html, Repubblica.it, 24 dicembre 2017.

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“[Su Antonio Conte] Cura molto i particolari, dà certezze di copertura e di uscita che sono fondamentali per noi difensori, soprattutto per chi come me non ha i piedi così vellutati.”

Davide Astori (1987–2018) calciatore italiano

Origine: Dall'intervista di Andrea Elefante, Nazionale, Astori: "Conte mi piace. A volte è come Garcia" http://www.gazzetta.it/Calcio/Nazionale/07-09-2014/nazionale-astori-conte-garcia-90381323846.shtml, Gazzetta.it, 7 settembre 2014.

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“La posta in gioco sono centinaia di migliaia di profughi hutu, fuggiti dal Ruanda nel timore di una rappresaglia, dopo il genocidio dei '94. Una massa umana in bilico sul confine, respinta dai tutsi: e di cui si servono invece, come di un ariete, i superstiti dell'ex regime di Kigali, autore del massacro, ora alla ricerca di una rivincita, con l'aiuto dello Zaire. Là il dramma ruandese può essere il detonatore che fa saltare quell'autentica polveriera tribale che è l'ex Congo belga. Un paese disegnato sulle frontiere coloniali, senza tener conto della storia – non scritta – di quelle regioni: e che adesso rischia, come già accadde al momento dell'indipendenza, di andare in frantumi e di destabilizzare l'intera Africa centrale. È al tempo stesso allucinante ed esemplare. A conclusione di un secolo che ha conosciuto la morte del colonialismo, e che ora, arrivato alla fine, assiste alla non tanto lenta rovina del continente nero, questo dramma ruandese è in definitiva il risultato di quello che gli scrittori africani riuniti a Roma, nella primavera del '59, denunciarono come uno dei più gravi peccati occidentali: l'avere accettato, senza discutere, e diffuso, la nozione di un popolo, quello africano, "senza cultura."”

Bernardo Valli (1930) giornalista e scrittore italiano

Ed anche "senza storia", perché, appunto, la si tramandava per via orale. Partendo da questo principio, coloni e (spesso) missionari hanno creato una storia africana con un calco occidentale e hanno imposto la loro cultura come se prima ci fosse stato il vuoto. Ne sono uscite delle mostruosità.
Variante: La posta in gioco sono centinaia di migliaia di profughi hutu, fuggiti dal Ruanda nel timore di una rappresaglia, dopo il genocidio dei '94. Una massa umana in bilico sul confine, respinta dai tutsi: e di cui si servono invece, come di un ariete, i superstiti dell'ex regime di Kigali, autore del massacro, ora alla ricerca di una rivincita, con l'aiuto dello Zaire. Là il dramma ruandese può essere il detonatore che fa saltare quell'autentica polveriera tribale che è l'ex Congo belga. Un paese disegnato sulle frontiere coloniali, senza tener conto della storia – non scritta – di quelle regioni: e che adesso rischia, come già accadde al momento dell'indipendenza, di andare in frantumi e di destabilizzare l'intera Africa centrale. È al tempo stesso allucinante ed esemplare. A conclusione di un secolo che ha conosciuto la morte del colonialismo, e che ora, arrivato alla fine, assiste alla non tanto lenta rovina del continente nero, questo dramma ruandese è in definitiva il risultato di quello che gli scrittori africani riuniti a Roma, nella primavera del '59, denunciarono come uno dei più gravi peccati occidentali: l'avere accettato, senza discutere, e diffuso, la nozione di un popolo, quello africano, "senza cultura". Ed anche "senza storia", perché, appunto, la si tramandava per via orale. Partendo da questo principio, coloni e (spesso) missionari hanno creato una storia africana con un calco occidentale e hanno imposto la loro cultura come se prima ci fosse stato il vuoto. Ne sono uscite delle mostruosità.

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“[Dopo la morte di Davide Astori] O capitano, mio capitano. Perché non sei sceso a fare colazione insieme a tutti noi? Perché non sei passato a riprendere le tue scarpe fuori dalla camera di Marco e non sei venuto a bere la tua solita spremuta d'arancia? Ora ci diranno che la vita scorre, che lo sguardo va puntato in avanti e dovremo rialzarci, ma che sapore avrà la tua assenza? Chi arriverà ogni mattina in mensa a riscaldare l'ambiente con il proprio sorriso? Chi ci chiederà incuriosito ciò che abbiamo fatto la sera precedente per riderci su? Chi sgriderà i più giovani e chi responsabilizzerà i più esperti? Chi formerà il cerchio per giocare a "due tocchi" o chi farà ammattire Marco alla play? Con chi dibatteremo sulle puntate di Masterchef, i ristoranti fiorentini, le serie TV o le partite disputate? Su chi appoggerò la mia spalla a pranzo dopo un allenamento estenuante? Torna dai, devi ancora finire di vedere LaLaLand per poterlo analizzare come ogni film appena uscito. Torna a Firenze, ti attendono in sede per rinnovare il contratto e riconoscerti il bene e la positività che doni quotidianamente a tutti noi. Esci da quella maledetta stanza, ti aspettiamo domani alla ripresa degli allenamenti. Nella vita ci sono persone che conosci da sempre con le quali non legherai mai, poi ci sono i Davide che ti entrano immediatamente dentro con un semplice "Benvenuto a Firenze Ricky."”

Riccardo Saponara (1991) calciatore italiano

Ovunque tu sia ora, continua a difendere la nostra porta e dalle retrovie illuminaci il giusto cammino. O capitano, mio capitano. Per sempre mio capitano.
Origine: Da un post https://www.instagram.com/p/Bf8Kcfln3_C/?utm_source=ig_embed&utm_campaign=embed_ufi_test sul profilo Instagram.com, 5 marzo 2018.

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“Milosevic è una vistosa reliquia del nazionalismo primitivo, quello che, su scala assai più grande, con le sue degenerazioni ideologiche, ha provocato le tragedie del '900 europeo. È a questo nazionalismo, ricreatosi a pochi minuti di volo dalla nostra costa adriatica, che la Nato ha dichiarato di fatto la guerra. Quasi volesse distruggerlo prima di entrare nel nuovo millennio. È roba da lasciare al secolo che se ne va. Fallito il comunismo, anche nella sua eccentrica versione jugoslava, Milosevic si è gettato in quel nazionalismo: e nel giugno '89 ha dato solennità alla conversione recandosi nella pianura di Kosovo Polje, ai piedi del monumento alla battaglia del 1389 (da cui cominciò il dominio ottomano, durato quasi mezzo millennio), per annunciare che "mai più i serbi si sarebbero lasciati maltrattare". Con quel gesto e quelle parole Milosevic ha spazzato via tutto quel che Tito aveva fatto per contenere i nazionalismi balcanici. E ha dato il via, in modo più o meno diretto, a una serie di massacri in cui i serbi sono stati carnefici ma anche vittime, e da cui sono sempre usciti sconfitti. Sono stati ripudiati dagli sloveni e dai croati, e molti loro insediamenti secolari sono stati scalzati dalle province di confine bosniache e croate. E adesso il Kosovo. Il nazionalismo serbo assume a tratti una colorazione religiosa e messianica, ereditata dal ruolo nazionale che la Chiesa ortodossa ha avuto nei secoli. Nell'Europa occidentale il territorio della nazione si è sostanzialmente delineato prima che si creassero una lingua e una cultura comune. Al contrario la nazione serba non ha un quadro territoriale di riferimento. Le comunità, non sempre maggioritarie tra cattolici, ebrei e musulmani, si identificavano in rapporto alla Chiesa serba. Era serbo chi era ortodosso. Si sono così creati spazi mistici. Sono nate rivendicazioni territoriali stravaganti, dettate dagli avvenimenti politici del momento e dalle leggende. I poemi nazionali hanno cantato per secoli il Kosovo come "culla del popolo serbo", e così lo è diventato di fatto, e tale è rimasto benché abitato al novanta per cento da albanesi. Crollato il comunismo, Milosevic ha sfruttato quel sentimento, attorno al quale, nei momenti di tensione, si raccolgono anche tanti serbi di solito estranei ad ogni tipo di estremismo. La letteratura serba è generosa in opere in cui si piangono le terre perdute e in cui la nostalgia diventa passione violenta.”

Bernardo Valli (1930) giornalista e scrittore italiano
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“Dimitrov è con i tedeschi staliniani quando la destra buchariniana attacca Thaelman perché ha coperto la malversazione di una segretaria; è solo neutrale allorché Stalin, dopo aver federato Zinovev e Bucharin, per spacciare Trotskij, gioca la realtà uscita dalla rivoluzione contro quest'ultimo in seno all'Internazionale.”

Carlo Quintavalle (1932–1989) giornalista e scrittore italiano

Origine: Quella parte dei comunisti sovietici che si richiamavano alle tesi di Nikolaj Ivanovič Bucharin.
Origine: Georgi Dimitrov: dall'incendio del Reichstag nasce il «fronte popolare», p. 16

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“Vittorio Emanuele in Italia è già rientrato negli anni sessanta. Anzi, non ne è mai uscito. Fa parte a pieno titolo della storia recente del paese: quella storia italiana, invisibile e sotterranea, che ha a che fare con lobby riservate, logge segrete, aristocrazie occulte impegnate in affari internazionali, spesso sul crinale tra legalità e illegalità.”

Gianni Barbacetto (1952) giornalista e scrittore italiano

Origine: Da La vera storia di Vittorio Emanuele di Savoia, italiano offshore http://www.giannibarbacetto.it/2017/12/18/vittorio-emanuele-di-savoia-italiano-offshore/, Il Fatto Quotidiano; riportato in Giannibarbacetto.it, 22 settembre 2017.

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“Non è facile fermare un sasso quando è uscito dalla mano, né un discorso quando è uscito dalla bocca.”

Euripide (-480–-406 a.C.) tragediografo ateniese

Origine: Citato in Euripide, in Federico Roncoroni, La saggezza degli antichi, Mondadori, 2015 (edizione elettronica). ISBN 8852059814

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“I libri più vecchi, per chi non li ha letti, sono appena usciti.”

Samuel Butler (1835–1902) scrittore inglese

Origine: Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 14603-X

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“Quando provieni da un oscuro tunnel della vita… e passo dopo passo avanzi superando tutti gli ostacoli, all'uscita troverai la tua luce.”

Prevale (1983) disc jockey, produttore discografico e conduttore radiofonico italiano

Origine: prevale.net