Frasi su colonnello

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema colonnello, stato, due-giorni, prima.

Frasi su colonnello

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“Ma… ma… ma, signor colonnello.”

Benito Mussolini (1883–1945) politico, giornalista e dittatore italiano

Attribuite, Ultime parole
Origine: Citato in Franco Bandini, Vita e morte segreta di Mussolini, A. Mondadori, 1978, p. 314.

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“Non si muore quando si deve, ma quando si può.”

Il colonnello Aureliano Buendía a Ursula: 1968, p. 252
Cent'anni di solitudine

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“Paolo Luigi Courier descrive nelle sue lettere gli episodi quotidiani di questa guerra di parte, che aveva finito col prendere dai due lati un carattere atroce. «Figuratevi», egli dice, «sul pendio di qualche collina, lungo le rocce ornate come vi ho già detto, un distaccamento di un centinaio dei nostri, in disordine. Si marcia alla ventura, non si ha cura di nulla. Prendere delle precauzioni, stare attenti, perché? Da più di otto giorni non si sono avute truppe massacrate in questa zona. Alla base della collina scorre un ripido torrente che bisogna attraversare per giungere sull'altra salita: parte della fila è già in acqua, parte di qua e di là. Tutto a un tratto da diversi punti spuntano mille contadini, banditi, forzati, evasi, disertori, comandati da un suddiacono, bene armati, eccellenti tiratori; fan fuoco sui nostri, prima di esser visti; gli ufficiali cadono per primi; i più fortunati muoiono sul posto; gli altri, per qualche giorno, servono di balocco ai loro carnefici».
«Intanto il generale, colonnello o capo, non importa di qual grado, che ha fatto partire questo distaccamento senza pensare a nulla, senza sapere, quasi sempre, se il passaggio era libero, edotto della sconfitta, si vendica sui villaggi vicini; v'invia un aiutante di campo con 500 uomini. Si saccheggia, si viola, si sgozza, e quelli che sfuggono, vanno ad ingrossare la banda del suddiacono.»”

François Lenormant (1837–1883) assiriologo e numismatico francese

Origine: La Magna Grecia. Paesaggi e storia, La Calabria (vol. III), pp. 40-41

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“Quando seppi quello che era successo a My Lai potevo benissimo dirmi: è la guerra, in guerra si muore, in Vietnam gli altri uccidono senza guardare in faccia a chi ha la divisa e chi non ce l'ha, lascia perdere, Ron, cosa te ne viene a raccontare la storia di Song My. Me lo dissi del resto. Ma conclusi che dovevo denunciare ciò che sapevo di Song My. Lo dovevo fare nel quadro di una denuncia completa della guerra e delle sue atrocità. A spingermi non è stato il desiderio di veder puniti i colpevoli del massacro di Song My ma la convinzione che portando dinanzi agli occhi del mondo un fatto specifico potevo contribuire a dimostrare la bestialità della guerra. Ho scritto trenta lettere, le ho imbucate, e per due settimane non ho saputo nulla. Poi è arrivato un colonnello dell'ispettorato generale militare. Mi ha detto: stia tranquillo, la faccenda non sarà insabbiata, ma avevo paura che si cercasse di impedire lo scandalo. Certo che al Pentagono la presero molto alla larga: bisogna essere prudenti, mi dicevano. Per qualche tempo ebbi l'impressione che il Pentagono cercasse di limitare l'affare buttando la responsabilità su qualche uomo del plotone, per tenerne fuori gli ufficiali e i comandanti. Allora scrissi un'altra lettera con cui dicevo che se le cose non si fossero mosse avrei informato la stampa.”

Ronald Ridenhour (1946–1998) giornalista statunitense

dall'intervista pubblicata sullEuropeo; citato in Oriana Fallaci, prefazione a Niente e così sia, BUR, 2002

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“La cosa più irritante di questi giorni insanguinati sono le facce dei capi della destra che sfilano in tv con cupi sorrisi e una soddisfazione implosa che irrigidisce i loro sguardi, tipo: lo sapevamo che sarebbe finita così. Quel loro pattinare sui nervi scoperti del Paese per annettersi qualche voto, qualche consenso, qualche maledizione. Gianfranco Fini in impermeabile bianco che sfila, insieme al suo manipolo di colonnelli, tra le sterpaglie di Tor Di Quinto, dove è stata uccisa Giovanna Reggiani. Fuma, si guarda in giro, vede tutto per la prima volta, ma la racconta come se fosse l'ultima: è copla del governo, è colpa di Veltroni. Silvio Berlusconi che passa la serata al Bagaglino, sale sul palco, racconta barzellette, se la spassa, poi esce e davanti ai cronisti ritorna in parte: sono davvero addolorato per la vittima. Ma è tutta colpa del governo, è colpa di Veltroni. Pierferdinando Casini che torna, come un figliol prodigo, tra gli applausi, nei saloni bianchi di Palazzo Grazioli all'ultimissimo vertice della destra, convocato sul tema "sicurezza", per dire che finalmente sì "siamo tornati tutti insieme, perche gli italiani non meritano divisioni". E che per il resto è tutta colpa del governo, è colpa di Veltroni. Ma se era tutto risaputo, se la violenza del giorno per giorno, vittima per vittima, stava già chiarissima davanti ai loro fiammeggianti occhi, come mai in cinque anni di governo non hanno varato niente di niente, a parte cancellare il falso in bilancio, tagliare i tempi delle prescrizioni, ideare le migliori modalità per inceppare rogatorie e processi, difendere Previti, occupare la Rai, scalare il Corriere, scassare i conti pubblici?”

Pino Corrias (1955) giornalista e scrittore italiano

da Destra http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/, 6 novembre 2007

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“Lei è stato straordinariamente energico e astuto, […] anche se io non riesco a immaginare che cosa spera di guadagnarci. Lei mi è contro. Per una giornata intera mi ha dato la caccia, ha cercato di privarmi anche del riposo notturno. Ma io ho trovato da mangiare e, nonostante tutto, ho anche dormito. Ora la partita è solo all'inizio: incomincia ora. Adesso incomincia il terrore. Questa lettera le annuncia il primo giorno del terrore. Port Burdock non è più sotto la regina, lo dica pure al colonnello di polizia e a tutti gli altri. È sotto di me: il terrore! Questo è il primo giorno, dell'anno primo, della nuova era. È l'era dell'uomo invisibile. Io sono l'uomo invisibile. Il mio governo sarà facile: tanto per cominciare, il primo giorno ci sarà un'esecuzione capitale, che serva da esempio, un uomo di nome Kemp. La morte, oggi, si mette in moto per lui; egli può rinchiudersi, nascondersi, circondarsi di guardie, mettersi pure un'armatura se vuole… ma la morte, la morte invisibile giungerà lo stesso. Che egli prenda pure le sue precauzioni: ciò colpirà di più i miei sudditi. La morte parte a mezzogiorno dalla cassetta postale. La lettera vi cadrà dentro all'arrivo del postino, e poi via! Incomincia la partita! La morte si mette in moto. Non lo aiutate, o miei sudditi, altrimenti la morte cadrà anche su di voi. Oggi Kempo deve morire.”

lettera di Griffin: 1998, p. 171
L'uomo invisibile

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“Calma, signor mio, calma. Non dimenticare quel che nell'illuminato Settecento diceva il matematico e philosophe Jean-Baptiste d'Alembert. In un'isola selvaggia e disabitata diceva, un poeta (leggi scrittore) non sarebbe molto utile. Un geometra sì. Il fuoco non fu certo acceso da uno scrittore, la ruota non fu certo inventata da un romanziere. Quanto al mestiere più esaltante e più appagante del creato, aggiungerai, domandalo agli scrittori che scrivono ogni ora e ogni giorno per anni, che a un libro immolano la loro esistenza. Ti risponderanno colonnello, crede seriamente che per dare un tale giudizio basti scrivere qualche ora dopocena a Beirut? Crede seriamente che per scrivere un libro basti avere idee o costruire a grandi linee una storia? Crede seriamente che scrivere sia una gioia?!? Glielo spieghiamo noi che cos'è, colonnello. È la solitudine atroce d'una stanza che a poco a poco si trasforma in una prigione, una cella di tortura. È la paura del foglio bianco che ti scruta vuoto, beffardo. È il supplizio del vocabolo che non trovi e se lo trovi fa rima col vocabolo accanto, è il martirio della frase che zoppica, della metrica che non tiene, della struttura che non regge, della pagina che non funziona, del capitolo che devi smantellare e rifare rifare rifare finché le parole ti sembrano cibo che sfugge alla bocca affamata di Tantalo. È la rinuncia al sole, all'azzurro, al piacere di camminare, viaggiare, di usare tutto il tuo corpo: non solo la testa e le mani. È una disciplina da monaci, un sacrificio da eroi, e Colette sosteneva che è un masochismo: un crimine contro sé stessi, un delitto che dovrebb'esser punito per legge e alla pari degli altri delitti. Colonnello, c'è gente che è finita o finisce nelle cliniche psichiatriche o al cimitero per via dello scrivere. Alcoolizzata, drogata, impazzita, suicida. Scrivere ammala, signor mio, rovina. Uccide più delle bombe.”

l'immaginaria moglie del Professore: II, VI, IV; p. 418
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“È una macchina diabolica, l'esercito, e il militarismo un ingranaggio mortale. Lo sai qual è la ricetta per fotter le reclute fin dal momento in cui arrivano alla caserma, Bernard? Prima si schierano sul piazzale coi loro abiti borghesi affinché ricordino d'appartenere a una società priva di uguaglianza, vale a dire un consorzio nel quale c'è chi veste bene e chi veste male. Poi gli si infila l'uniforme affinché si illudano d'accedere a un sodalizio di uguali, vale a dire un consorzio nel quale tutti vestono i medesimi panni. Subito dopo si rimbecilliscono con le esercitazioni e le marce che stroncano. E-marciando-cantate-così-tenete il passo. (Però il passo non c'entra, Bernard. C'entra che a cantare non pensano, e a non pensare non s'accorgono di venir fottuti.) Infine si cancella la loro personalità, la loro individualità. Perché il soldato non deve essere un individuo, una persona: deve esser parte d un nucleo perfetto che agisce all'unisono. E lo sai qual è l'ingrediente per ottenere un nucleo perfetto o quasi perfetto? L'odio. L'odio collettivo cioè diretto verso lo stesso bersaglio, e non il bersaglio rappresentato dal nemico che la guerra ti procura o ti procurerà: il bersaglio rappresentato da un paria coi gradi di sergente. Il sergente becero, ignorante, di cui subisci la tirannia che gli è stata delegata dal tenente al quale è stata delegata dal capitano al quale è stata delegata dal maggiore al quale è stata delegata dal colonnello al quale è stata delegata dal generale al quale è stata delegata dalla Macchina, a cui hanno insegnato a berciare come a un cantante si insegna a gorgheggiare do-re-mi-fa-sol-la. Sì, gli hanno insegnato a usare la voce per comandarti e sfotterti e umiliarti, Bernard. E lui la usa nel modo prescritto. «Sei laureato, tu? Bene, allora va' a pulire i cessi.» Al contadino e all'operaio, invece: «Razza di piercolo, da che fogna vieni? Non sai nemmeno contare, somaro?» Poi dispetti, addestramenti forzati, canagliate, fino a quando laureati e contadini e operai lo odiano in uguale misura, e il nucleo quasi perfetto è ottenuto. "Quasi" perché manca il tocco finale, l'ingrediente decisivo, e indovina qual è il tocco finale. L'ingrediente decisivo. È l'amore. L'amore concentrato sullo stesso bersaglio che stavolta è il tenente o meglio ancora il capitano. Insomma l'ufficiale buono, comprensivo, paterno, che ascolta e consola e magari si rivolge a te con il Lei. «È laureato, lei? Bravo, me ne rallegro. È contadino, lei? Bravo, me ne compiaccio. È operaio, lei? Bravo, me ne complimento.» Oppure: «Sì, la rampogna del sergente è stata eccessiva: lo rimprovererò a mia volta. Voglio essere un amico, per voi, in caso di bisogno rivolgetevi a me.» Bisogno? Che bisogno? Ormai l'unico bisogno di cui hanno bisogno è ricevere amore, darlo, e dall'odio per il sergente passano all'amore per il tenente o il capitano. Il-mio-capitano. Per il loro capitano accettano qualsiasi sacrificio, qualsiasi martirio, sono pronti a crepare. Con lui salteranno fuori dalla trincea, con lui si lanceranno contro la mitragliatrice che falcia, con lui uccideranno il nemico cioè il disgraziato che dall'altra parte della barricata ha subìto l'identico trattamento, con lui creperanno come bovi al macello. E questo, inutile dirlo, senza che sospettino d'esser le vittime d'un lurido imbroglio, le ruote di un ingranaggio ben oliato e ben collaudato. Perenne.”

I, IV, I; pp. 110–112
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“Dunque," mormorò, "secondo lei le feste natalizie sono un'epoca poco favorevole ai delitti."
"E' quel che penso."
"Perché?"
"Perché?" Johnson parve un pò perplesso. "Perché, come ho detto, c'è un senso diffuso di allegria, di buona volontà… di buoni pranzi…"
"Come siete sentimentali, voi inglesi!"
"Bé, e anche se fosse così, che male ci vede? E' forse un male amare le tradizioni, le vecchie feste?"
"Oh no, nessun male, anzi è una cosa molto poetica! Ma esaminiamo i fatti. Lei ha detto che Natale è un'epoca di buoni pranzi. Questo significa che in questi giorni si mangia e si beve troppo… Per conseguenza… indigestioni, e all'indigestione si accompagna spesso una speciale irritabilità del carattere."
"Ma i delitti non vengono commessi per irritabilità."
"uhm! Non ne sono troppo sicuro… Ma partiamo anche da un altro punto di vista. A Natale impera lo spirito di "buona volontà". Vecchi litigi vengono dimenticati, coloro che si trovano in disaccordo fanno la pace… Sia pure provvisoriamente, le famiglie che sono state separate per tutto l'anno si raccolgono ancora una volta. In queste occasioni, amico mio, deve ammettere che i nervi possono venir sottoposti a dura prova. Persone che non hanno alcuna voglia di essere amabili fanno uno sforzo per apparirlo… C'è in essi molta ipocrisia, a Natale, onorevole ipocrisia, senza dubbio, ipocrisia pour le bon motif, ma sempre ipocrisia."
"Bé… io non presenterei le cose in questo modo," disse Johnson con aria dubbiosa.
Poirot gli sorrise.
"No, no, sono io che le presento così… e che sostengo come lo sforzo per essere buoni e amabili crei un malessere che può riuscire in definitiva pericoloso. Chiudete le valvole di sicurezza del vostro contegno naturale, e, presto o tardi, la caldaia scoppierà provocando un disastro."
Il colonnello Johnson guardò il piccolo belga.
"Non riesco mai a capire quando parla sul serio e quando si sta burlando di me."
"Non parlo sul serio, no!" disse Poirot ridendo. "Nemmeno per sogno. Ma sostengo che condizioni artificiali di vita finiscono sempre con una naturale reazione.”

Hercule Poirot's Christmas

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“[Gaffe] Non giustifichiamo tutto, altrimenti mi verrebbe da pensare che un giorno si potrebbe anche dire che le stragi naziste, i morti in Siberia, i regimi violenti come quello di Pino Chet, o i colonnelli in Argentina o Pol Pot in Cambogia furono voluti da vittime di un sistema politico deviato e di un'infanzia sfortunata e infelice.”

Sara Paglini (1961) politica italiana

Origine: Da un post su Facebook.com; citato in Matteo Cruccu, La gaffe della senatrice m5S: Pinochet diventa Pino Chet e i «colonnelli» sono argentini http://www.corriere.it/politica/13_novembre_13/gaffe-senatrice-cinque-stelle-pinochet-diventa-pino-chet-d63f8828-4c62-11e3-b498-cf01e116218a.shtml, Corriere.it, 13 novembre 2013.

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“Mia cara Miledy — Son più morta che viva. I rapporti di Pignatelli fatti a Luzzj, i documenti forniti da quelle canaglie di nobili provano che la rivoluzione è intieramente consumata. Il popolo è unito col potere costituente. Essi hanno disarmata tutta l'infame truppa, castelli, arsenale ec. Mack è scomparso. Calandra con 2500 uomini dice di non poter far nulla. Tutta la truppa chiama il popolo e dà loro le armi. Zurlo è stato trascinato ferito innanzi il tribunale dell'infame città e messo in castello. Ciò prova che la nobiltà dirìge tutto. Tre colonnelli, Fardella, Bologna e Baumont tradotti innanzi al tribunale; i due primi messi in libertà, il terzo imprigionato, infine orrori. Castellammare e Salerno sono già in rivoluzione. M'aspetto domani sentir l'istesso delle Calabrie. Sono così afflitta, che preferisco l'entrata dei Francesi e che tolgano a quei miserabili fino all' ultima camicia, piuttosto che di vedere i nostri proprii sudditi bestie vili, poltroni, ma furfanti, condursi in tal guisa. Il pranzo è contramandato. Ohimè, mia cara, sono molto sventurata. Dio voglia che il contro colpo non si faccia sentire in Sicilia: sono desolata, ma bisogna riacquistar Napoli e difendere la Sicilia. Egli è certo che qualche birbante nascosto vi tien la mano. Questi sciocchi… non ho più testa: in una parola, sono molto fuor di speranza. Se potessi vedervi alle ore 23 o 24 col cavaliere ed il nostro eroe Nelson mi sarebbe di sollievo, bisogna efficacemente pensare a salvarci. Compatite un onesta amica, un alleata fedele, ma un affettuosa madre, sposa e sventurata regina.”

Maria Carolina d'Asburgo-Lorena (1752–1814) regina consorte di Napoli e Sicilia, moglie di Ferdinando I delle Due Sicilie

dalla lettera del gennaio 1799, p. 59
Carteggio di Maria Carolina Regina delle due Sicilie con Lady Emma Hamilton

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