Frasi sulla morte
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“La morte è il momento più importante della vita: godiamocelo. Bisogna che mi concentri. Non voglio perderne neanche un attimo: si muore una volta sola.”

Antonio Amurri (1925–1992) scrittore e paroliere italiano

da Stavolta m'ammazzo sul serio, Mondadori, 1977

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“Non perdo mai occasione d'imparare a morire; il più gran timor ch'io abbia della morte è di temerla.”

Vittorio Alfieri (1749–1803) drammaturgo italiano

Origine: Dai Giornali, 26 aprile 1777.

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“O Morte. Morte | Cui tanto invoco, al mio dolor tu sorda | Sempre sarai?”

Vittorio Alfieri (1749–1803) drammaturgo italiano

Origine: Da Mirra, V, 2.

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“Questo c'è di buono", notò, "che non si soffre a lungo quando la testa viene troncata."
"Così dicono tutti, e perciò hanno inventato quella così detta ghigliottina. A me invece balenò allora il sospetto: e se invece è quello il colmo della sofferenza? Questo vi parrà strano, vi farà ridere… eppure… Prendiamo, per esempio, la tortura: strazio, piaghe, scricchiolio di ossa, dolore materiale insomma, che distrae la vittima dalle sofferenze morali, fino a che non venga la morte. Ma il dolore principale, il più forte, non è già quello delle ferite; è invece la certezza, che fra un'ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi ora, subito, l'anima si staccherà dal corpo, e che tu, uomo, cesserai irrevocabilmente di essere un uomo. Questa certezza è spaventosa. Tu metti la testa sotto la mannaia, senti strisciare il ferro, e quel quarto di secondo è più atroce di qualunque agonia. Questa non è una mia fantasia: moltissimi ci sono che pensano come me. E ve ne dico anche un'altra. Uccidere chi ha ucciso è, secondo me, un castigo non proporzionato al delitto. L'assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante. La vittima del brigante è assalita di notte, in un bosco, con questa o quell'arma; e sempre spera, fino all'ultimo, di potersi salvare. Si sono dati casi, in cui l'assalito, anche con la gola tagliata, è riuscito a fuggire, ovvero, supplicando, ha ottenuto grazia dai suoi assalitori. Ma con la legalità, quest'ultima speranza, che attenua lo spavento della morte, ve la tolgono con una certezza matematica, spietata. Attaccate un soldato alla bocca di un cannone, e accostatevi con la miccia: chi sa! Penserà il disgraziato, tutto è possibile… Ma leggetegli la sentenza di morte, e lo vedrete piangere o impazzire. Chi ha mai detto che la natura umana può sopportare un tal colpo senza perdere la ragione? A che dunque questa pena mostruosa e inutile? Un solo uomo potrebbe chiarire il punto; un uomo cui abbiamo letto la sentenza di morte, e poi detto:"Va', ti è fatta la grazia!". Di un tal strazio anche Cristo ha parlato… No, no, è inumana la pena, è selvaggia e non può né deve essere lecito applicarla all'uomo".”

Fëdor Dostoevskij (1821–1881) scrittore e filosofo russo

Myskin; II, 2

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“Ma sarà meglio parlarvi di un altro individuo, che conobbi or fa un anno. C'era, nel suo caso, una circostanza strana: dico strana, perché rara. Era stato condannato, insieme con altri, alla fucilazione. Per non so che delitto politico, doveva essere giustiziato. Gli fu letta la sentenza di morte. Se non che, venti minuti dopo, arrivò la grazia, cioè la commutazione della pena. Nondimeno, durante quei venti o quindici minuti, egli visse nella ferma convinzione che di lì a poco sarebbe morto. […] E così egli distribuì il suo tempo: due minuti per dire addio ai compagni, due altri per raccogliersi e pensare a sé, un minuto per dare un'occhiata intorno. Aveva ventisette anni; era sano e robusto. Accomiatandosi da uno dei compagni, si ricordava di aver fatto una domanda insignificante e di averne aspettato con interesse la risposta. Agli addii successero i due minuti di raccoglimento. Sapeva già a che cosa avrebbe pensato: "Adesso sono vivo; ma fra tre minuti, che sarò? Qualcuno o qualche cosa, e dove?". Non lontano sorgeva una chiesa, e la cupola dorata splendeva nel sole. Aveva guardato fisso a quella cupola: gli pareva che quei raggi ripercossi fossero la sua nuova natura e che fra tre minuti egli si sarebbe con essi confuso. L'ignoto che lo attendeva era certamente terribile; ma più assai l'atterriva l'assiduo pensiero: "E se non morissi? se la vita continuasse?… che eternità! e tutta, tutta a mia disposizione… Oh allora, di ogni minuto io farei una esistenza e non un solo ne perderei!" Questo pensiero a tal segno lo invadeva, che avrebbe voluto esser fucilato all'istante."
[…] "Siete un po' saltuario, principe", osservò Aleksandra. "Che volete provare, insomma? che ogni attimo della vita è prezioso, e che a volte cinque minuti valgono più di un tesoro? E sia, ammettiamolo pure… Ma, scusate, a quel vostro amico che vi contava i suoi spasimi gli commutarono la pena, non è così?… In altri termini, secondo lui e secondo voi, gli fecero dono di una vita senza fine, di un tesoro. E che ne fece egli di questo tesoro? tenne poi conto scrupoloso di ogni minuto?"
"Nient'affatto! Glielo domandai una volta, e mi confessò di averne perduti molti."
"Cosí abbiamo una prova che utilizzare tutti, tutti i minuti della vita è impossibile… Per una ragione o per l'altra, fatto sta che non è possibile.”

Fëdor Dostoevskij (1821–1881) scrittore e filosofo russo

II, 5)

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“Ogni ripudio del linguaggio è una morte.”

Roland Barthes (1915–1980) saggista, critico letterario e linguista francese

Miti d'oggi

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“La certezza della morte è l'unico segreto che conosciamo a proposito di tutti i nostri simili e di noi stessi, anche se, intimamente, non riusciamo a credere in questa fatale prospettiva.”

Fernando Savater (1947) filosofo e scrittore spagnolo

da Dizionario filosofico, traduzione di Francesca Saltarelli, Laterza, Roma-Bari 1996

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“[A proposito del terremoto di Sendai del 2011] Mons. Orazio Mazzella, (1860-1939) arcivescovo di Rossano Calabro, all'indomani della tragedia fece una serie di riflessioni che vi riassumo (La provvidenza di Dio, l'efficacia della preghiera, la carità cattolica ed il terremoto del 28 di Dicembre 1908: cenni apologetici, Desclée e C., Roma 1909).
In primo luogo le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio, che ci scuote e ci richiama col pensiero ai nostri grandi destini, al fine ultimo della nostra vita, che è immortale.
Infatti se la terra non avesse pericoli, dolori, catastrofi, eserciterebbe sopra di noi un fascino irresistibile, non ci accorgeremmo che essa è un luogo d'esilio, e dimenticheremmo troppo facilmente, che noi siamo cittadini del cielo. […]
In secondo luogo, osserva l'arcivescovo di Rossano Calabro, le catastrofi sono talora esigenza della Giustizia di Dio, della quale sono giusti castighi.
Alla colpa del peccato originale si aggiungono infatti, nella nostra vita, le nostre colpe personali; nessuno di noi è immune dal peccato e può dirsi innocente e le nostre colpe possono essere personali o collettive: possono essere le colpe di un singolo o quelle di un popolo: ma mentre Dio premia o castiga i singoli nell'eternità è sulla terra che premia o castiga le nazioni, perché le nazioni non hanno vita eterna, hanno un orizzonte terreno. […]
Terzo punto infine: le grandi catastrofi sono spesso una benevola manifestazione della misericordia di Dio.
Abbiamo detto infatti che nessuno, mettendosi la mano sulla coscienza, potrebbe dare a se stesso un certificato d'innocenza. Un giorno, quando il velo, che copre l'opera della Provvidenza, sarà sollevato, ed alla luce di Dio vedremo ciò che Egli avrà operato ne' popoli e nelle anime, ci accorgeremo che per molte di quelle vittime, che compiangiamo oggi, il terremoto è stato un battesimo di sofferenza che ha purificato la loro anima da tutte le macchie, anche le più lievi, e grazie a questa morte tragica la loro anima è volata al cielo prima del tempo perché Dio ha voluto risparmiarle un triste avvenire. […]
Le grandi catastrofi sono certamente un male, però non sono un male assoluto, ma un male relativo, dal quale sorgono beni di ordine superiore e più universali. La luce della fede ci insegna che le grandi catastrofi, o sono un richiamo paterno della bontà di Dio, o sono esigenze della divina giustizia, che infligge un castigo meritato, o sono un tratto della divina misericordia, che purifica le vittime aprendo loro le porte del Cielo. Perché il Cielo è il nostro destino eterno.”

Roberto de Mattei (1948) storico italiano

da Riflessioni sul mistero del male – Intervento del prof. Roberto de Mattei a Radio Maria del 16 marzo 2011; citato in Corrispondenza Romana http://www.corrispondenzaromana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1560:intervento-del-prof-roberto-de-mattei-a-radio-maria-del-16-marzo-2011&catid=138:varie&Itemid=55=, 25 marzo 2011

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“Nella fama in due diversi modi si può esser offeso; o disonoratamente morendo, o quando da troppo acerba morte n'è il corso impedito della futura gloria.”

Leonardo Salviati (1539–1589) umanista, filologo e scrittore italiano

da Orazione II, p. 33, in Opere, Vol. V
Orazioni

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“Il ragazzo morto non era uno dei nostri, era un black block.”

Vittorio Agnoletto (1958) politico e medico italiano

dalla prima dichiarazione alla stampa il giorno della morte di Carlo Giuliani, TG5, 20 luglio 2001

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“Ho costruito la mia reputazione su un giornalismo onesto e diretto. Fare qualunque altra cosa mi suonerebbe finto.”

Walter Cronkite (1916–2009) giornalista e personaggio televisivo statunitense

da «L'uomo più fidato d'America» Che pianse per la morte di JFK https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/2009/luglio/19/uomo_piu_fidato_America_Che_co_8_090719033.shtml, Corriere della sera, 19 luglio 2009

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“Cosa vorrei sulla mia epigrafe? Data di nascita, data di morte. Punto. Le parole delle epigrafi sono tutte uguali. A leggerle uno si chiede: ma scusate, se sono tutti buoni, dov'è il cimitero dei cattivi?”

Giulio Andreotti (1919–2013) politico, scrittore e giornalista italiano

Origine: Citato in Il saluto ad Andreotti del popolo romano http://www.iltempo.it/politica/2013/05/08/news/il-saluto-ad-andreotti-del-popolo-romano-888378/, IlTempo.it, 8 maggio 2013.

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“[Sulla morte] Non sono pronto. Spero di morire il più tardi possibile. Ma se dovessi morire tra un minuto so che nell'aldilà non sarei chiamato a rispondere né di Pecorelli, né della mafia. Di altre cose sì. Ma su questo ho le carte in regola.”

Giulio Andreotti (1919–2013) politico, scrittore e giornalista italiano

Origine: Citato in Corriere della Sera, 3 maggio 1999; citato anche in Massimo Franco (a cura di), Sono postumo di me stesso, p. 38 https://books.google.it/books?id=bNTk39EN3uwC&pg=PT38#v=onepage&q&f=false.

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“È emerso [durante il funerale] un Agnelli silenziosamente devoto della Consolata e disponibile a prepararsi alla morte in modo edificante.”

Giulio Andreotti (1919–2013) politico, scrittore e giornalista italiano

In morte di Gianni Agnelli

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“[Su Andreas Hofer] Non aveva Andrea alcuna qualità eminente, dico di quelle, alle quali il secolo va preso: bensì era un uomo di retta mente e di incorrotta virtù. Vissuto sempre nelle solitudini dei tirolesi monti ignorava il vizio e i suoi allettamenti. I parigini e i milanesi spiriti, anche i più eminenti, correvano alle lusinghe napoleoniche; povero albergator di montagna perseverava Hofer nell'innocente vita. Allignano in ordinario in questa sorte di uomini due doti molto notabili, l'amore di Dio e l'amore della Patria: l'uno e l'altro risplendevano in Andrea. Per questo la tirolese gente aveva posto in lui singolare benevolenza e venerazione. Non era in lui ambizione. Comandò richiesto non richiedente. Di natura temperatissima, non fu mai veduto, né nella guerra sdegnato, né nella pace increscioso, contento a servire o al principe o alla famiglia. Vide vincitori insolenti, vide pacifici tugurj, vide lo strazio e la strage dei suoi: né per questo cessò dall'indole sua moderata e uguale: terribile nella battaglia, mite contro i vinti, non mai sofferse che chi le guerriere sorti avevano dato in sua potestà, fosse messo a morte; anzi i feriti dava in cura alle tirolesi donne, che, e per sé, e per rispetto di Hofer gli accomodavano di ogni più ospitale servimento. Distruggeva Napoleone le patrie altrui, sdegnoso anche contro gli amici: difendeva Hofer la sua, dolce anche contro coloro che la chiamavano a distruzione e a morte.”

Carlo Botta (1766–1837) storico e politico italiano

citato in Massimo Viglione, Rivolte dimenticate: le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815, Città Nuova, p. 115

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“Tra vita e morte – un orizzonte.”

Grazyna Miller (1957–2009) scrittrice polacca

Alibi di una farfalla

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“La pallida morte batte ugualmente al tugurio del povero come al castello dei re.”

Quinto Orazio Flacco (-65–-8 a.C.) poeta romano

I, 4, 13-14

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“Forse accadrà che [la morte] mi prenda per mano | E mi conduca alla sua oscura terra | E mi chiuda gli occhi e mi tolga il respiro … || Ma ho un appuntamento con la Morte | A mezzanotte in una città in fiamme, | Quando la primavera ritornerà quest'anno a nord | Ed io, fedele alla parola data, | Non mancherò all'appuntamento.”

Alan Seeger (1888–1916) poeta statunitense

It may be he shall take my hand | And lead me into his dark land | And close my eyes and quench my breath ... || But I've a rendezvous with Death | At midnight in some flaming town, | When springs trips north again this year, | And I to my pledged word am true, | I shall not fail this rendezvous.
Origine: Questa era la poesia preferita da John Fitzgerald Kennedy, secondo quanto riferisce il suo biografo Arthur M. Schlesinger Jr. (I mille giorni di John F. Kennedy, Rizzoli editore, Milano, 1966, pag. 120)

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“La verità di un uomo non è tale che dinanzi alla sua morte. Così anche la storia.”

Sergio Quinzio (1927–1996) teologo e aforista italiano

da L'esilio e la gloria – In forma di parole, Gianni Scalia, Bologna, 1998

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“Tutte le cattive azioni derivano e prendono a esempio delle buone azioni.”

Gaio Sallustio Crispo (-86–-34 a.C.) storico romano in lingua latina e senatore della repubblica romana

Cesare, commentando il precedente che costituirebbe la messa a morte di un cittadino romano: 51,27

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“Il duca di Blacas è sepolto ai piedi di Re Carlo X, senza iscrizione, senza lapide sepolcrale: nobile umiltà degna di un cuor fedele sino alla morte.”

Georges de Pimodan (1822–1860) militare francese, al servizio dell'Austria-Ungheria e dello Stato pontificio

Origine: Memorie, p. 8

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