Frasi su contrada

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema contrada, uomo, parte, vita.

Frasi su contrada

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“Solo chi cade offre la vista edificante di rialzare il capo dal fondale sottostante.”

Vinicio Capossela (1965) cantautore e polistrumentista italiano

da Contrada Chiavicone, n. 10
Il ballo di San Vito

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“D'un de' tuoi monti fertili di spade, | niobe guerriera de le mie contrade, | leonessa d'Italia, | Brescia grande e infelice.”

Aleardo Aleardi (1812–1878) poeta e politico italiano

da Le tre fanciulle
Canti

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“Ma la maggior parte di quelli che hanno lo spirito d'avventura lo combinano con lo spirito di conquista. Vanno in lontane contrade non tanto per diffondervi la Fede, quanto per depradarle dell'oro. Questi uomini vogliono che il loro coraggo serva a loro, non a Dio. Non è necessario essere cristiano per questo! Qualunque pagano potrebbe fare altrettanto. Dov'è l'uomo che ha lo spirito dei veri crociati? L'uomo che vuole compiere una missione, non perché egli lo vuole, ma perché Dio lo vuole? Deus lo vult: non ho mai udito questo grido in tutta la mia vita! Lasciamo che le cose vadano per la loro via, e le future generazioni non capiranno nemmeno più come un grido di tal genere si sia potuto proferire. Lo traduranno nelle loro anime mercenarie come una strana specie di ipocrisia, Dio mi perdoni, come una superstizione.”

Variante: "Ma la maggior parte di quelli che hanno lo spirito d'avventura lo combinano con lo spirito di conquista. Vanno in lontane contrade non tanto per diffondervi la Fede, quanto per depradarle dell'oro. Questi uomini vogliono che il loro coraggo serva a loro, non a Dio. Non è necessario essere cristiano per questo! Qualunque pagano potrebbe fare altrettanto. Dov'è l'uomo che ha lo spirito dei veri crociati? L'uomo che vuole compiere una missione, non perché egli lo vuole, ma perché Dio lo vuole? Deus lo vult: non ho mai udito questo grido in tutta la mia vita! Lasciamo che le cose vadano per la loro via, e le future generazioni non capiranno nemmeno più come un grido di tal genere si sia potuto proferire. Lo traduranno nelle loro anime mercenarie come una strana specie di ipocrisia, Dio mi perdoni, come una superstizione."
Origine: L'ultimo crociato, p. 251

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“[Sul Palio di Siena] Il resto è una serie di immagini che non sembrano aver nesso tra loro, ordinate in rapida sequenza, come i passaggi improvvisi delle scene in un film. La luce del sole è ancora forte. Una fanfara di trombe e di tamburi che fa sporgere la gente avanti avidamente. Sessantamila persone. […] Il suono del campanone, ossessivo, un suono cupo, lugubre, da quando un fulmine ne ha modificato il timbro. […] Il resto è l'animale che striscia la testa per terra quasi rovesciandola, emettendo un gemito pietoso che pare di vedere uscire dalla bocca, i denti digrignanti; ed è come accorgersi all'improvviso che anche le bestie possano esprimere tensione, sofferenza, voglia di libertà in un palio fatto da loro ma non per loro. […] Il resto sono le finestre di una stessa casa che ti indicano: se nasci a destra sei di una contrada, se a sinistra di un'altra. I vestiti da mezzo quintale […]; le stanze che ti vengono aperte quando il sole si è abbassato e ricche di asgalani, bandiere ricamate a mano e una storia che non è cresciuta nei musei ma a Piazza del Campo, una conchiglia di nove spicchi a ricordo del governo dei Noverchi. Il resto è la storia con la maiuscola che si incrocia con la minuscola: le banche, gli uffici che avanzano e occupano il centro, il popolo che se ne va, costretto, fuori le mure, ma dentro di sé porta la vecchia contrada.”

Emanuela Audisio (1953) giornalista e scrittrice italiana

la Repubblica

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“[Casalnuovo] Fà raccapriccio il ripensare alla rovina cagionatale dal terremuoto del 1783: narra il Sarcone che tutto il territorio si sconvolse, quindi caddero tutti gli edifizj e perfino la superficie della contrada cambiò d'aspetto […].”

Attilio Zuccagni-Orlandini (1784–1872) cartografo italiano

da Corografia fisica, storica e statistica dell'Italia, volume 11, p. 368 https://books.google.it/books?id=6H85AAAAcAAJ&pg=PA368

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“È vero o no che Contrada tradì lo Stato per cui lavorava, mettendosi al servizio di Cosa Nostra che era pagato per combattere? La risposta è sì. E non – come vaneggia il solito amico di tutte le canaglie Giuliano Ferrara – per un processo fondato su "pentitismo e intercettazioni a strascico". Ma per i fatti spaventosi raccontati da una miriade di autorevolissimi testimoni. A cominciare dai colleghi di Falcone e Borsellino, che raccontano la diffidenza nutrita dai giudici – come pure da Boris Giuliano – nei confronti di "'u Dutturi": i magistrati Del Ponte, Caponnetto, Almerighi, Vito D'Ambrosio, Ayala. […] Tutti a ripetere davanti ai giudici di Palermo che Contrada passava informazioni a Cosa Nostra, incontrando anche personalmente alcuni boss, tipo Saro Riccobono e Calogero Musso. Le sentenze hanno accertato che: Contrada concesse la patente ai boss Stefano Bontate e Giuseppe Greco; agevolò la latitanza di Totò Riina e la fuga di Salvatore Inzerillo e John Gambino; intrattenne rapporti privilegiati con Michele e Salvatore Greco; spifferava segreti d'indagine ai mafiosi in cambio di favori e regali (come i 10 milioni di lire accantonati dal bilancio di Cosa Nostra a Natale del 1981 per acquistare un'auto a un'amichetta del superpoliziotto); e portò al suo processo falsi testimoni a sua difesa. […] E nulla di tutto questo è messo in dubbio dalla sentenza di Strasburgo. Chi piagnucola per l'"uomo innocente" e il "meccanismo infernale" si legga le carte e poi, se ci riesce, si vergogni.”

Marco Travaglio (1964) giornalista, saggista e scrittore italiano

da Contrada mafioso a sua insaputa, 16 aprile 2015
Il Fatto Quotidiano

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“Vigiak (Sorte, Foruna, Destino), che ricorda la tradizione pagana, è una delle principali feste armene, che comincia il giovedì dell'Ascensione e dura fino alla domenica di Pentecoste. Alla vigilia dell'Ascensione le ragazze del villaggio si riuniscono e scelgono fra loro una brigatella per organizzare la festa. Le prescelte prendono un'anfora di terra cotta, l'empiono d'acqua attinta a sette fonti o pozzi, ne ornano la bocca con fiori colti in sette campi diversi, poi vi gettano dentro un oggetto caro (bracciali, anelli, grani di monili o di corone, orecchini, fermagli, ecc.), facendo voti di gioia pei parenti e per l'amato, a occhi chiusi e con profondo raccoglimento. La notte dal mercoledì al giovedì, esse nascondono l'anfora in un cantuccio segreto di giardino, all'aperto, per esporla all'influsso delle stelle, e la sorvegliano, perché non sia rapita dai giovanotti, che la cercano per portarla via. Se i giovani vi riescono, le fanciulle, per riaver l'anfora, devono offrir loro gran quantità di non la rapiscano. – La domenica di Pentecoste, le ragazze si raccolgono per l'ultima volta; circondano l'anfora, e, dopo averla baciata, la mettono fra le braccia d'una di loro; poi, un'altra fanciulla, vestita da sposa, a rappresentar appunto la sposa della festa della "Vigiak", trae dal'anfora un oggetto, mentre una vecchia canta un ritornello, di felicità o di mal augurio o di burla; e così via via per ciascun oggetto gettato nell'anfora; onde le fanciulle si rallegrano o si attristano secondo il presagio lieto o triste. Nelle varie contrade dell'Armenia, la festa della Vigiak presenta qualche cambiamento; ma in tutte è deliziosamente gentile e pensosa, degna d'un popolo delle tradizioni derivate dall'India, la più poetica delle antiche nazioni.”

Domenico Ciampoli (1852–1929) scrittore e bibliotecario italiano
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“Il grande Giappone è una contrada divina. Solo il nostro paese fu fondato dalle divinità e trasmesso da Amaterasu ad una lunga serie di discendenti. Non vi è cosa simile nei paesi stranieri. Per questo il Giappone viene chiamato una contrada divina.”

Kitabatake Chikafusa (1293–1354)

Origine: Da Jinnō Shōtōki, Storia della vera successione dei divini .
Origine: Citato in Pacifico Arcangeli, Letteratura e crestomazia giapponese, p. 68

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“In ogni occasione il telecronista Paolo Frajese si fa interprete e voce delle manifestazioni più fanatiche del tifo contradaiolo, con frasi come "vivono tutto un anno per due minuti di corsa", "in questi minuti passano di mano enormi somme di denaro", rievocando ogni volta un folclore tramandato, fatto di violenze, di demenze e di incoscienze, "passato ogni volta per buono": come direbbero i sociologi, per valore positivo da incoraggiare. Le scene immediatamente successive, con gente in lacrime che abbraccia e bacia un cavallo, altri che si scazzottano belluinamente, altri che vengono portati via in barella, vengono accomunate alle "scene di esultanza" con cui gli alfieri sventolano i gonfaloni delle contrade. Se vogliamo ammazzarci, sembra essere la filosofia della piazza e del suo telecronista, lasciate che lo facciamo in festa. Si dice: il Palio è una tradizione, un rito. E anche: è un colossale affare economico. Erano riti, anche, i sacrifici umani, un tempo. E sono colossali affari economici moderni, per esempio, il gioco del calcio e la caccia. Eppure quelli, e tanti altri meno sanguinosi, li si è aboliti; e questi lì si sta sottoponendo a limitazioni e controlli.”

Gianluigi Melega (1935–2014) giornalista, scrittore e politico italiano

Origine: Da "Siena merita un volto migliore" http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/08/18/siena-merita-un-volto-migliore.html, la Repubblica, 18 agosto 1985, p. 12.

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“Il Padre Cristoforo è certamente la persona più alta, più ideale del romanzo, è quella che rivela di più le vie misteriose che congiungono il finito con l'infinito. Pare che in lui la religione non sia, a così dire, che una forma che ha assunto la sua stoica virtù, il suo sentimento imprescindibile del dovere. Gli altri personaggi, se ebbero qualche merito in terra, ebbero pure in terra la loro ricompensa. Renzo e Lucia hanno sopravvissuto alla peste per unirsi insieme con nodi che non li separeranno più. Don Abbondio ha la consolazione, grandissima per lui, di veder sparire dal mondo colui che lo teneva in tanta paura. L'Innominato vede quelli stessi ch'egli aveva offeso, rispettarlo e riverirlo. Ma il Padre Cristoforo è cacciato, fatto viaggiare lungi da ciò che aveva di più caro; egli va attraverso la vita oscuro, mendico, paziente; egli va a raccogliersi dove sono più guai, dove più l'uomo soffre tra le piaghe e il tanfo, estenuato, col corpo oppresso ma coll'anima pronta e placida. Il nostro cuore che è affezionato a lui, che lo ammira, gode di vederlo uscire da tanta miseria, e appena ci si sottrae all'occhio qui sulla terra, noi non possiamo a meno di vederlo in cielo. È il Padre Cristoforo solo, adunque, che ci eleva l'anima a dire: dove e quando che sia la virtù non può fallire a una ricompensa. Se questo non fosse vero, la vita sarebbe un campo di guerra e di dolori spaventosi. L'anima ne sarebbe atterrita, ella non vorrebbe sostenerla. Dimenticate il cappuccio di P. Cristoforo, dimenticate i suoi zoccoli e la sua sporta che vi hanno talvolta fatto adirare, e troverete in lui un filosofo: non di coloro che gridano nelle cattedre per raccogliere a sera i plausi nei circoli, ma caritatevole e umile, e non rimane del cappuccino che quella cieca obbedienza colla quale lascia la contrada e Renzo e Lucia negli impacci.”

Giovita Scalvini (1791–1843) scrittore, poeta e patriota italiano

Origine: Foscolo, Manzoni, Goethe, pp. 245-246; in 1973, pp. 265-266

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“A Firenze, Gentile, l'apparatore magnifico, riversa fiori nelle gotiche cornici, popola di cavalli, di cani, di scimmie, di uccelli la scena dellAdorazione dei Magi. Passano i Re sul fondo, di contrada in contrada, scendono le erte montane, varcano i ponti levatoi de' castelli, seguiti da cortigiani col falco in pugno, da cacciatori col. Il più vecchio si prostra, bacia un piede al divin Bambino che gli pone una manina sulla testa calva; e gli altri due Re offrono riverenti i doni chiusi come in gotici reliquiarî. Vesti di broccato e di damasco, cinture gemmate e con caratteri cufici, come ne' vasi ageminati della Persia, bardature e fornimenti d'oro de' cavalli, risplendono in quella scena strabocchevole di ricchezza, dove il pittore fa la ruota, pavone dalle iridiscenti penne occhiute.”

Adolfo Venturi (storico dell'arte) (1856–1941) storico dell'arte e accademico italiano

vol. 7, parte 1, pp. 196-198
Storia dell'arte italiana, La pittura del Quattrocento
Variante: A Firenze, Gentile, l'apparatore magnifico, riversa fiori nelle gotiche cornici, popola di cavalli, di cani, di scimmie, di uccelli la scena dellAdorazione dei Magi. Passano i Re sul fondo, di contrada in contrada, scendono le erte montane, varcano i ponti levatoi de' castelli, seguiti da cortigiani col falco in pugno, da cacciatori col. Il più vecchio si prostra, bacia un piede al divin Bambino che gli pone una manina sulla testa calva; e gli altri due Re offrono riverenti i doni chiusi come in gotici reliquiarî. Vesti di broccato e di damasco, cinture gemmate e con caratteri cufici, come ne' vasi ageminati della Persia, bardature e fornimenti d'oro de' cavalli, risplendono in quella scena strabocchevole di ricchezza, dove il pittore fa la ruota, pavone dalle iridiscenti penne occhiute. (vol. 7, parte 1, pp. 196-198)

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