Frasi su imperatore
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“[Su Francesco II del Sacro Romano Impero] Dio salvi Francesco imperatore!”

Lorenz Leopold Haschka (1749–1827)

da Oesterreichische Volkshymne, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 692
Gott erhalte Franz den Kaiser!

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“Alla corte di un imperatore (che visse non importa quando) tra le molte gentildonne di Camera e Guardaroba, ce n'era una che, sebbene non fosse di altissimo grado, godeva molto più favore di tutte le altre.”

Murasaki Shikibu, Storia di Genji, il principe splendente. Romanzo giapponese dell'XI secolo, traduzione di Adriana Motti, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2008

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“[All'inizio del proprio regno, parlando di Francesco I] O io sarò un imperatore da strapazzo, o lui sarà un misero re.”

Carlo V del Sacro Romano Impero (1500–1558) Imperatore del Sacro Romano Impero

Attribuite
Origine: Citato in AA.VV., Storia universale: volume secondo, Rizzoli Larousse, Milano, 1973, p. 323.

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“Vogliamo essere spettacolo a tutto il mondo, nel senso che i sacerdoti diano un esempio di vita onesta e l'imperatore un esempio di modestia religiosa.”

Papa Simmaco (460–514) 51° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

Lettera Ad augustae memoriae, 362

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“[Durante il Giubileo del 1300] Io sono il pontefice, io sono l'imperatore.”

Papa Bonifacio VIII (1235–1303) 193° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

Origine: Tradotto dalla citazione in Peter de Rosa, Vicars of Christ http://xa.yimg.com/kq/groups/4625512/443167580/name/peter, Crown publishers, 1988.

“Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!.”

Giorgio Sfranze (1401–1477) generale e storico bizantino

citato in Sergio Berruti, Imperatori. Costantino XI Dragazes, l'ultimo Basileus http://www.imperobizantino.it/Imperatori-art15.htm, citando Caduta di Costantinopoli, 1976

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“Il Ciambellano fece una profonda quanto ironica riverenza all'onnisciente Imperatore. Protendendo il braccio offrì Kira al trono cominciando nel contempo un lungo e minuzioso sproloquio su come fosse riuscito a scovarla e a catturarla grazie alla sua abilità e scaltrezza. Avrebbe voluto continuare aggiungendo un'agghiacciante descrizione del destino degli Skeksis se lui non fosse riuscito nell'impresa, quando fu interrotto dal Maestro delle Cerimonie.
– Kelffinks Krakweekah! – strillò, indicando Kira, e si passò un artiglio di traverso alla gola per indicare quello che si proponeva di farle. Il Maestro delle Cerimonie aveva già fatto un passo avanti per afferrare la vittima destinata al sacrificio, quando il Generale dei Garthim lo fermò alzando lo scettro.
Il Maestro delle Cerimonie rimase dov'era, ma sfoderò egualmente il lungo e acuminato coltello sacrificale, che tenne pronto mentre fissava il Generale dei Garthim. Gesto e occhiata erano inequivocabili.
Intanto, il Ciambellano non era rimasto solo a guardare, e aveva cominciato a protestare: il Ghelfling era suo prigioniero e spettava a lui decidere cosa farne.
Il Generale dei Garthim chiamò a sé con un cenno lo Scienziato, e gli mormorò qualcosa a bassa voce. Lo Scienziato annuì più volte. Poi il Generale dei Garthim si rivolse all'assemblea e dichiarò: – Kelffinks na Rakkash!
Non tutti gli Skeksis approvarono la decisione. Qualcuno dubitava dell'abilità dello Scienziato. L'Artista, per esempio, aveva già pensato a come poteva servirsi della testa di Kira. Il Buongustaio pregustava già il sapore del resto del corpo, e tutti sapevano perfettamente quali erano le vere intenzioni del Generale dei Garthim. Forse, il vecchio Imperatore era morto per mancanza di vliya Ghelfling. Adesso, se lo Scienziato avesse trovato il modo di allevare i Ghelfling in cattività, con una produzione regolare di vliya, la salute del nuovo Imperatore non avrebbe più avuto nulla da temere, e lui sarebbe rimasto per sempre saldamente sul trono. Ma, come stava blaterando in quel momento il Maestro delle Cerimonie, lo Scienziato era capace solo di ottenere qualche risultato con i Podling, e basta. Inoltre, tutti lo consideravano un pazzo che si era automutilato. Non sarebbe stato meglio per tutti, chiese il Maestro delle Cerimonie, festeggiare la loro raggiunta salvezza col coltello sacrificale che lui impugnava?
Al Generale dei Garthim non piaceva come si stavano mettendo le cose. Lui stesso non nutriva un'eccessiva stima nei confronti dello Scienziato, però riteneva che gli altri lo stimassero. Quale di loro si sarebbe tagliato una mano o una gamba per puro amore della scienza?”

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“Imperatore Jagang: L'Ordine Imperiale entrerà comunque qui dentro e farà a pezzi questo posto e il tuo miserabile popolo. Non hanno bisogno di me per portare avanti la giusta causa per cui combattiamo. L'Ordine ripulirà l'umanità dal flagello della vostra gente egoista. La nostra causa non è solo morale, ma divina. Il Creatore è dalla nostra parte. La nostra fede lo dimostra.
Richard Rahl: La verità ha sostenitori che cercano la tolleranza. Le idee corrotte hanno miserabili piccoli fanatici che tentano di imporre le loro credenze attraverso l'intimidazione e la brutalità… attraverso la fede. La forza bruta è la servitrice obbediente della fede. La violenza su scala apocalittica può solo nascere dalla fede perché la ragione, per sua stessa natura, placa la crudeltà insensata. Solo la fede pensa di giustificarla.
Imperatore Jagang: Noi compiamo l'operato del Creatore! La sincera devozione verso il Creatore è l'unico modo vero e morale di vivere questa vita. La stretta aderenza ai nostri pii doveri ci porterà la salvezza e la vita eterna! È il sangue dei miscredenti come la tua gente che ci solleverà al fianco del Creatore stesso.
Richard Rahl: Questo non ha alcun senso.
Imperatore Jagang: Sei uno sciocco! La nostra fede da sola dimostra che abbiamo ragione! Solo noi saremo ricompensati nell'aldilà per il nostro profondo rispetto per Lui. Siamo i suoi veri figli e vivremo per sempre nella Sua luce.
Richard Rahl: Ho sempre trovato difficile credere che un uomo adulto potesse davvero credere a tali sciocchezze.”

Scontro finale, Dialoghi

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“Ho coniato il termine Con Art, un'abbreviazione per arte concettuale contemporanea, arte che truffa le persone. Arte concettuale contemporanea? Tutta l'arte è concettuale, nel senso che è frutto del pensiero. Ma l'arte deve essere anche creazione. Occorre poterla vedere l'arte, non può essere solo un pensiero proiettato. È così che l'imperatore si è vestito; i suoi costosi vestiti erano nella mente delle persone attorno a lui, quando in realtà non aveva niente addosso.”

I've coined the term Con Art, short for contemporary conceptual art and for art that cons people. Contemporary conceptual art? All art is a concept in the sense that it's the product of thought. But all art must also be a creation. You have to be able to see art; it can't just be a projected thought. That's how the emperor got dressed; his expensive robes were all in the minds of people around him, when in reality he had nothing on.
Origine: Gioco di parole. Il termine «con artist» è traducibile come «genio della truffa».

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“[…] per una strana alchimia il paese tutto conceda e tutto giustifichi al suo imperatore.”

Veronica Lario (1956) attrice italiana

citato in Dario Cresto-Dina, Veronica, addio a Berlusconi "Ho deciso, chiedo il divorzio" http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/politica/elezioni-2009-2/veronica-divorzio/veronica-divorzio.html, Repubblica, 3 maggio 2009

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“[Al Marchese di S. Marzano] Bisogna che i Lombardi dimentichino di essere italiani; le mie province d'Italia non debbono essere unite fra loro che dal vincolo dell'ubbidienza all'imperatore.”

Francesco Giuseppe I d'Austria (1830–1916) Imperatore d'Austria e Re di Ungaria

Origine: citato in Gesualdo Vannini, Introduzione a La Vita e le Opere di Raffaello Lambruschini, Tipografia Guainai, Eboli 1907

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“Testimone del prezzo di una passione | ho creato "La vetta del cielo", il mio regno | io l'imperatore filosofo come Marco Aurelio.”

Rayden (1985) rapper e beatmaker italiano

da Sulla carta come nella vita, n. 7
In Ogni Dove

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“In realtà l'imperatore Alessandro non era affatto un riformatore. Attribuendo a lui esclusivamente le riforme che caratterizzarono i primi anni del XIX secolo, si commette un errore storico tanto più grave in quanto poi ci si domanda quali furono le cause che lo spinsero a un cambiamento di quel suo indirizzo riformatore. certo, appena salito al trono, l'imperatore si era trovato di fronte a forme così gravi e multiformi di malcontento, che decise di correggere e modificare quelle cose che apparivano difettose, ma nessuna delle riforme fu sua opera personale e non vi fu riforma che gli venne ispirata senza difficoltà e che gli venne strappata senza sforzo. Nei primi anni del suo regno, si mostrò più conservatore di tutti i consiglieri che lo circondavano; finché costoro ebbero influenza su di lui ottennero ciò che avevano desiderato, ma appena questa azione cessò l'imperatore ritornò alle sue tendenze primitive.”

Pavel Aleksandrovič Stroganov (1774–1817) nobile e ufficiale russo

dai Quaderni
Origine: Il granduca Nicola Michailovich di Russia ordinò e utilizzò gli archivi del conte Stroganov. In bibliografia a p. 80 di Alessandro I sono dati per Nicola Michailovich i seguenti riferimenti bibliografici: Le Tsar Alexandre I, Payot, Parigi, 1931; Le Comte Paul Stroganov, Parigi, 1905, 3 voll. (sul Comitato segreto e le riforme di Alessandro).
Origine: Citato in Giuseppe Berti, Alessandro I, C.E.I., Giano. I tascabili doppi, Roma / Milano, 1966, p. 59.

“[A parlare è la personificazione di Roma]
Il principe potente e tre volte beato, Federico, Bagliore di fuoco, la meraviglia del mondo,
il cui arco è di bronzo e il cui dardo è folgore
che brucia da parte a parte i nemici,
a lui Federico, che ha il nome sfavillante e guida la gloria,
servono la terra, il mare e la volta del cielo.”

Giorgio di Gallipoli poeta e archivista italiano

da Colloquio della città di Roma con l'imperatore Federico II, vv. 20-25, testo e traduzione dal greco a cura di Marcello Gigante
Origine: Carme IX (circa 1244-1247), citazione in Marcello Gigante, Poeti bizantini in Terra d'Otranto nel secolo XIII, Napoli, 1979 (testo greco a p. 176; traduzione a p. 188).

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“[…] se si crede all'ipotesi di un Cosentino imperatore nel settore dei rifiuti, con il no all'utilizzo delle intercettazioni sembrerebbe essere un dono fattogli per cercare di riportare la nuova emergenza a una "normalità" di gestione consolidata.”

Roberto Saviano (1979) giornalista, scrittore e saggista italiano

Origine: Da Il fuoco che smaschera il grande bluff del Cavaliere http://www.repubblica.it/politica/2010/09/25/news/bluff_cavaliere-7409102/, Repubblica.it, 25 settembre 2010.

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“[Nella Roma antica] Tanto intensa era la sete di sangue, che un imperatore era meno impopolare se trascurava la distribuzione di grano che non se trascurava i giochi.”

Origine: Da History of European Morals from Augustus to Charlemagne, Longmans, London, 1869, vol. I, pp. 280-282; citato in Peter Singer, Liberazione animale, traduzione di Enza Ferreri, a cura di Paola Cavalieri, il Saggiatore, Milano, 2012, p. 200.

“Scrisse già Claudio Fauriel che l'Alighieri «ha voluto fare ed ha fatto di Sordello il tipo, l'ideale del patriotta in generale e più particolarmente forse del patriotta italiano; egli ne ha fatto un ghibellino, il quale non sa perdonare a Rodolfo d'Asburgo d'aver neglette le cose d'Italia, aggravandone con siffatta negligenza le condizioni; ma che tuttavia spera ed invoca ancora da un altro imperatore la salvezza della penisola». Vi sono in cotesto giudizio del dotto francese inesattezze gravi. Sordello non rappresenta già nel Purgatorio l'amor di patria in generale e neppur l'amore dell'Italia, bensì personifica, a mio avviso, nella sua forma più caratteristica, più primitiva, se così posso esprimermi, la carità verso il loco, la tenerezza, che lega indissolubilmente l'uomo al terreno dove posò pria, dove fu nudrito dolcemente, dove riposano l'ossa dell'uno e dell'altro suo parente. Dante ha voluto mostrare in lui non l'Italiano, bensì il Mantovano; e se egli sorge così impetuoso, obliando l'alterezza innata e l'abituale disdegno, ad abbracciare Virgilio, ciò è dovuto unicamente al magico suono di quel nome che spunta sul labbro del poeta: Mantua me genuit. S'egli non fosse nato tra i canneti del Mincio, se non trasse l'origine dal luogo ond'ei pure è venuto, avrebbe il cattano di Goito mutato sì prontamente contegno? No davvero. È dunque indubitabile: Sordello raffigura quel sentimento, quel vincolo che nasce dall'avere comuni, secondo dice Cicerone, i monumenti dei maggiori, i templi, i sepolcri.Ma codesto sentimento non esiste più nel petto degli italiani a' dì dell'Alighieri: esso ne è stato violentemente sradicato. In luogo suo i cuori non nutriscono che odio; e dall'odio son generate le fazioni, per colpa delle quali appaiono partiti non gli abitanti soltanto delle città tutte della penisola, ma quelli pure de' borghi, e fin de' villaggi.”

Francesco Novati (1859–1915) filologo italiano

Origine: Citato in Maria Acrosso, La critica letteraria, pp. 78-79

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“Il complicato disegno sui pavimenti del Castello del Cristallo Oscuro rappresentava un sentiero. Chiunque lo vedeva non aveva dubbi in proposito, ma quello che veniva lasciato all'interpretazione individuale era il punto d'inizio e quello d'arrivo, oltre allo scopo del tragitto.
Con le sue biforcazioni e intersecazioni, i suoi archi, i suoi cerchi e le sue spirali che portavano di stanza in stanza, avrebbe potuto essere interpretato, secondo un modo di vedere trascendentale, come la strada che un pellegrino doveva percorrere per raggiungere i più alti gradi dell'illuminazione. Il viaggiatore, fatto in origine di materia bruta, si sarebbe a poco a poco elevato fino a diventare un puro spirito, senza però mai procedere in linea retta ma seguendo un percorso contorto, che continuava anche quando pareva che il percorso fosse stato compiuto. (Perché anche l'anima, fatta di puro spirito, ha ancora dei compiti da assolvere, e per questo il ciclo del disegno dei pavimenti si snodava all'infinito.)
Gli Skeksis, tuttavia, non la pensavano a questo modo. Il presupposto che la pura spiritualità fosse superiore alla materia bruta era qualcosa che sfuggiva alla loro comprensione. Uno dei significati del labirinto fu chiaro ai loro occhi il giorno successivo a quello dei funerali dell'Imperatore: era la via che conduceva al trono.
Colui che aspirava a stringere fra gli artigli lo scettro, sapeva come seguirne il tracciato. Doveva farlo con apparente umiltà, con rispetto, dimostrando di volersi sottomettere a una debita disciplina. Così quei tre – il Maestro delle Cerimonie, il Generale dei Garthim e il Ciambellano – stavano percorrendo da alcune ore il labirinto, con la dovuta solennità, sotto lo sguardo attento degli altri Skeksis. I tre seguivano le circonvoluzioni del percorso, ne studiavano le difficoltà, si soffermavano alle biforcazioni, e scoprivano infine che portavano invariabilmente al punto di partenza.”

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“Nel 1939 il re imperatore Vittorio Emanuele III compì settant'anni. Da duecento anni ormai nessun principe regnante sabaudo era vissuto tanto a lungo da raggiungere quell'età; ed era un risultato genetico notevole per un primogenito del ramo Carignano della dinastia; ramo in cui i primogeniti morivano solitamente giovani. La sua sfida alle leggi della longevità e la povertà del sangue che scorreva nelle sue vene, dovuta ad un amore tra consanguinei, si rifletteva nel suo aspetto, negli occhi e nella pelle incartapecorita del volto. Rughe profonde percorrevano la sua fronte, i capelli erano caduti e i pochi rimasti dietro le orecchie, così come i baffetti ben arricciolati sulle labbra in perfetto stile fascista, erano diventati candidi. La sua mascella tremava più di prima, due borse violacee pendevano sotto gli occhi e la bocca era serrata in una smorfia grinzosa di fastidio, come se tutto quello che gli si era accumulato dentro fosse aggrovigliato in un nodo di incessante pena. (Parte quarta La caduta di Casa Savoia”

Robert Katz (1933–2010) giornalista, scrittore e storico statunitense

1922-1946), p. 368
La fine dei Savoia
Variante: Nel 1939 il re imperatore Vittorio Emanuele III compì settant'anni. Da duecento anni ormai nessun principe regnante sabaudo era vissuto tanto a lungo da raggiungere quell'età; ed era un risultato genetico notevole per un primogenito del ramo Carignano della dinastia; ramo in cui i primogeniti morivano solitamente giovani. La sua sfida alle leggi della longevità e la povertà del sangue che scorreva nelle sue vene, dovuta ad un amore tra consanguinei, si rifletteva nel suo aspetto, negli occhi e nella pelle incartapecorita del volto. Rughe profonde percorrevano la sua fronte, i capelli erano caduti e i pochi rimasti dietro le orecchie, così come i baffetti ben arricciolati sulle labbra in perfetto stile fascista, erano diventati candidi. La sua mascella tremava più di prima, due borse violacee pendevano sotto gli occhi e la bocca era serrata in una smorfia grinzosa di fastidio, come se tutto quello che gli si era accumulato dentro fosse aggrovigliato in un nodo di incessante pena. (Parte quarta La caduta di Casa Savoia (1922-1946), p. 368)
Origine: Umberto I e Margherita di Savoia, genitori di Vittorio Emanuele III, erano cugini.

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“In quegli anni circolavano due diverse immagini di Hailè Selassiè. Una, quella nota all'opinione pubblica internazionale, presentava l'imperatore come un monarca esotico ma capace, dotato di un'energia inesauribile, di una mente acuta e di una profonda sensibilità; un uomo che si era opposto a Mussolini, aveva riconquistato l'impero e il trono, e nutriva l'ambizione di sviluppare il proprio paese e di svolgere nel mondo un ruolo di rilievo. L'altra immagine, formata poco per volta dalla parte più critica, e inizialmente esigua, dell'opinione pubblica interna, lo mostrava come un monarca deciso a difendere il potere con ogni mezzo; ma soprattutto come un demagogo e un padre padrone che, con i fatti e con le parole, mascherava la corruzione, l'ottusità e il servilismo della classe dirigente da lui stesso creata e blandita. Le due immagini, come spesso succede, erano vere entrambe. Hailè Selassiè aveva una personalità complessa: per taluni piena di fascino, per altri odiosa; certuni lo adoravano, altri lo maledicevano. Governava un paese che conosceva solo i metodi più brutali per conquistare (o per conservare) il potere, e dove le libere elezioni erano sostituite da pugnali e veleni, e le libere discussioni da forche e fucilazioni. Lui stesso era un prodotto di quella tradizione, alla quale a suo tempo aveva fatto ricorso. Tuttavia si rendeva conto che in tutto ciò c'era qualcosa di stonato e di incompatibile con il mondo nuovo. Non potendo certo modificare il sistema che lo manteneva al potere (e per lui il potere veniva prima di ogni altra cosa), ricorreva alla demagogia, al cerimoniale e a quei discorsi sullo sviluppo così assurdi in un paese tanto povero e arretrato. Uomo simpatico, politico astuto, padre tragico e avaro patologico, condannava a morte gli innocenti e graziava i colpevoli: capricci del potere, tortuose manovre di Palazzo, ambiguità e misteri che nessuno riuscirà mai a decifrare.”

Ryszard Kapuściński (1932–2007) giornalista e scrittore polacco

Origine: Il negus, p. 105

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“In quanto imperatore, i potenti mi hanno dovuto portare rispetto.”

Jean-Bedel Bokassa (1921–1996) politico, militare e dittatore centrafricano

Origine: Citato in Riccardo Orizio, Parola del diavolo. Sulle tracce degli ex dittatori, Editori Laterza, RomaBari, 2002, pp. 30-54