Frasi sulla sofferenza
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“Quando abbiamo da sopportare una grande prova, da affrontare un pericolo o una sofferenza, passiamo nella preghiera solitaria gli ultimi momenti, l'ultima ora che ce ne separa.”

Charles de Foucauld (1858–1916) religioso cattolico francese, esploratore e studioso della cultura Tuareg

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“Non c'è bisogno che vi ricordi [discorso di Kien ai libri della sua biblioteca] in modo particolareggiato la storia antichissima e superba delle vostre sofferenze. Scelgo soltanto un esempio per mostrarvi in maniera persuasiva quanto vicini siano odio e amore. La storia d'un paese che tutti noi in egual misura veneriamo, di un paese in cui voi avete goduto delle più grandi attenzioni e dell'affetto più grande, di un paese in cui vi si è tributato persino quel culto divino che ben meritate, narra un orribile evento, un crimine di proporzioni mitiche, perpetrato contro di voi da un sovrano diabolico per suggerimento di un consigliere ancor più diabolico. Nell'anno 213 avanti Cristo, per ordine dell'imperatore cinese Shi Hoang-ti − un brutale usurpatore che ebbe l'ardire di attribuire a se stesso il titolo di "Primo, Augusto, Divino" − vennero bruciati tutti i libri esistenti in Cina. Quel delinquente brutale e superstizioso era per parte sua troppo ignorante per valutare esattamente il significato dei libri sulla base dei quali veniva combattuto il suo tirannico dominio. Ma il suo primo ministro Li-Si, un uomo che doveva tutto ai propri libri, e dunque uno spregevole rinnegato, seppe indurlo, con un abile memoriale, a prendere questo inaudito provvedimento. Era considerato delitto capitale persino parlare dei classici della poesia e della storia cinese. La tradizione orale doveva venire estirpata a un tempo con quella scritta. Venne esclusa dalla confisca solo una piccola minoranza di libri; quali, potete facilmente immaginare: le opere di medicina, farmacopea, arte divinatoria, agricoltura e arboticoltura − cioè tutta una marmaglia di libri di puro interesse pratico. «Confesso che il puzzo di bruciato dei roghi di quei giorni giunge ancor oggi alle mie narici. A che giovò il fatto che tre anni più tardi a quel barbaro imperatore toccasse il destino che s'era meritato? Morì, è vero, ma ai libri morti prima di lui ciò non arrecò alcun giovamento. Erano bruciati e tali rimasero. Ma non voglio tacere quale fu, poco dopo la morte dell'imperatore, la fine del rinnegato Li-Si. Il successore al trono, che aveva ben capito la sua natura diabolica, lo destituì dalla carica di primo ministro dell'impero che egli aveva rivestito per più di trent'anni. Fu incatenato, gettato in prigione e condannato a ricevere mille bastonate. Non un colpo gli venne risparmiato. Fu costretto a confessare mediante la tortura i suoi delitti. Oltre all'assassinio di centinaia di migliaia di libri aveva infatti sulla coscienza anche altre atrocità. Il suo tentativo di ritrattare più tardi la propria confessione fallì. Venne segato in due sulla piazza del mercato della città di Hien-Yang, lentamente e nel senso della lunghezza, perché in questo modo il supplizio dura più a lungo; l'ultimo pensiero di questa belva assetata di sangue fu per la caccia. Oltre a ciò non si vergognò di scoppiare in lacrime. Tutta la sua stirpe, dai figli a un pronipote di appena sette giorni, sia donne che uomini, venne sterminata: tuttavia, invece di essere condannati al rogo, come sarebbe stato giusto, ottennero la grazia di venir passati a fil di spada. In Cina, il paese in cui la famiglia, il culto degli antenati, il ricordo delle singole persone sono tenuti così in gran conto, nessuna famiglia a mantenuto viva la memoria del massacratore Li-Si; solo la storia l'ha fatto, proprio quella storia che l'indegna canaglia, più tardi finita come ho detto, aveva voluto distruggere.”

1981, pp. 98-99
Auto da fé

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“Allargai il raggio delle mie osservazioni, esaminai la vita di enormi masse di uomini, sia di quelli passati sia di quelli contemporanei. E di uomini che avevano capito il senso della vita, che avevano saputo vivere e morire io ne vedevo non due, tre, dieci, bensì centinaia, migliaia, milioni. E tutti loro, infinitamente diversi per indole, intelligenza, educazione, condizione, tutti allo stesso modo e in completa contrapposizione alla mia ignoranza conoscevano il senso della vita e della morte, sopportavano privazioni e sofferenze, vivevano e morivano vedendo in ciò non la vanità, ma il bene.
Ed io fui preso da amore per quegli uomini. Quanto più penetravo nella loro vita di uomini viventi e nella vita degli uomini che erano già morti, dei quali leggevo o sentivo raccontare, tanto più io li amavo, e tanto più mi diventava facile vivere. Vissi così circa due anni e in me si verificò quel rivolgimento che da tempo già si preparava e del quale erano sempre esistite dentro di me le premesse. Mi accadde che la vita della nostra cerchia – dei ricchi, delle persone istruite non solo mi disgustò, ma perse qualsiasi senso. Tutto quello che noi facevamo, i nostri ragionamenti, la nostra scienza, le nostre arti, tutto ciò mi apparve come un trastullo da ragazzi. Io capii che non si doveva cercare un senso in tutto ciò. E invece quel che faceva il popolo lavoratore, il quale costruisce la vita, mi appariva come l'unica occupazione degna di rispetto. E capii che il senso che veniva attribuito a quella vita era la verità, e l'accettai.”

Lev Nikolajevič Tolstoj (1828–1910) scrittore, drammaturgo, filosofo, pedagogista, esegeta ed attivista sociale russo

cap. X

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“Così come il dolore è una sensazione necessaria alla conservazione del nostro corpo, la sofferenza è necessaria alla conservazione della nostra anima.”

Lev Nikolajevič Tolstoj (1828–1910) scrittore, drammaturgo, filosofo, pedagogista, esegeta ed attivista sociale russo

Origine: Dal Ciclo di letture, 28 ottobre; citato in Tatiana Tolstoj, p. 204.

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“Di nuovo una notte insonne e tormentosa: io provo questo sentimento, io, che ridevo delle sofferenze degl'innamorati. Quello di cui ti ridi è poi quello che servi.”

Lev Nikolajevič Tolstoj (1828–1910) scrittore, drammaturgo, filosofo, pedagogista, esegeta ed attivista sociale russo

10 settembre 1862, p. 208

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“Considerate, ad esempio, il virus umano papilloma (HPV). Tra le malattie sessualmente trasmesse, ormai HPV è la più comune negli Stati Uniti. Questo virus infetta più della metà della popolazione americana e causa la morte di quasi 5000 donne ogni anno per cancro cervicale; i Centri Per Il Controllo Delle Malattie (CDC) stimano che ogni anno in tutto il mondo muoiono più di 200.000 persone per questo motivo. Adesso abbiamo un vaccino per l'HPV che sembra sia sicuro e funzionante. Il vaccino ha prodotto il 100% dell'immunita nelle 6000 donne che lo hanno ricevuto in un esperimento clinico. Eppure, i conservatori cristiani nel nostro governo si sono opposti al programma di vaccinazione sostenendo che HPV è utile ad impedire il sesso prematrimoniale. Queste persone pie vogliono mantenere il cancro cervicale come incentivo all'astinenza, anche se sacrifica le vite di migliaia di donne ogni anno. Uno degli effetti più perniciosi della religione è che tende ad allontanare la moralità dalla realtà della sofferenza umana ed animale. La religione induce le persone a pensare che le loro preoccupazioni siano morali quando in realtà non lo sono ― perche non hanno niente a che vedere con la sofferenza e la sua alleviazione. Anzi, la religione fa pensare le persone che le loro preoccupazioni siano morali quando in realta sono altamente immorali ― perché attuarle significa infliggere sofferenze terribili e non necessarie su esseri umani innocenti. Questo spiega perché i cristiani spendano più energia "morale" ad opporsi all'aborto piuttosto che a combattere il genocidio. Spiega perché si preoccupino più degli embrioni umani che della promessa di salvare vite che ci giunge dalle cellule staminali embrionali. E spiega perché possano predicare contro l'uso del preservativo nell'Africa subsahariana quando milioni di persone lì muoiono ogni anno di Aids. Voi Cristiani credete che le vostre preoccupazioni religiose sul sesso abbiano qualcosa a che fare con la moralità. Eppure, i vostri sforzi di porre restrizioni al comportamento sessuale di adulti consenzienti ― e persino di scoraggiare i vostri stessi figli dal fare sesso prima del matrimonio ― non sono quasi mai finalizzati ad alleviare la sofferenza umana. In verità, alleviare la sofferenza sembra essere una delle ultime cose nella vostra lista di priorità.”

Lettera a una nazione cristiana

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“Gli uomini sentono più il peso delle loro sofferenze presenti che delle paure future.”

III, 39; 1997
Graviora quae patiantur videri iam hominibus quam quae metuant.
Ab urbe condita, Proemio – Libro X

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“Eravamo specialisti in sofferenze, da tanti anni ormai alla Sampdoria. Ora cerchiamo di specializzarci in gioie.”

Paolo Mantovani (1930–1993) imprenditore e dirigente sportivo italiano

1983
Origine: Citato in AAVV, Quelli che il baciccia, Fratelli Frilli Editori, Genova 2002.

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“Il cento per cento del male, e dunque della sofferenza nel mondo, proviene dal peccato originale e nient'altro.”

Daniel Ange (1932) monaco eremita, sacerdote e scrittore franco-belga

Il perdono medicina di Dio

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“È un volantino. Per una vendita all'incanto di attrezzi agricoli usati e sacchi di concime! Avrà luogo al consorzio di San Maurizio – Dio sa dov'è quel buco – martedì prossimo. Cento copie. Che verranno affisse sulla porta del cesso esterno di qualche fattoria o buttate nel fosso più vicino. E lei si preoccupa per un accento!»
«Disperatamente. Sa cosa insegna la Cabala? Che tutto il male, tutte le sofferenze dell'umanità provengono dallo sbaglio di uno scrivano pigro o incompetente che sentì male, o trascrisse erroneamente, un'unica lettera, un'unica e sola lettera nel Testo Sacro. Ogni orrore successivo ci è pervenuto tramite e a causa di quell'unico erratum. Non lo sapeva, vero? […] È proprio qui che conta, più che mai in passato. Agire diversamente è segno del più profondo disprezzo. Disprezzo per quelli che non si possono permettere di sfogliare un'edizione di lusso, che non vedranno mai un foglio di carta di qualità o dei caratteri artigianali. Disprezzo per quelli cui Dio, sì, Dio!, ha concesso il diritto di avere un volantino senza pecche, anche per una svendita di concime! È proprio per quelli che vivono in qualche sperduto buco di campagna, nei bassifondi, che dovremmo produrre il lavoro migliore. Perché qualche scintilla di perfezione penetri nelle loro vite sconsolate. Non capisce quanto disprezzo ci sia in un accento sbagliato o in un trattino fuori posto? Come se lei sputasse su un altro essere umano.”

George Steiner (1929–2020) scrittore e saggista francese

cap. X, pp. 76 sg.
Il correttore

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“Con Lui e in Lui, la sofferenza è trasformata in amore. E là si trova la gioia.”

Papa Benedetto XVI (1927) 265° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica

Messaggi, Messaggio per la XXVII GMG

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“Non sono le elezioni. Siamo una comunità unita da una comune sensibilità. Siamo quelli che si commuovono vedendo una donna al mercato che si conta l'euro, quelli che guardano al calvario degli handicappati, respiriamo la sofferenza del mondo nelle guerre, siamo quelli che almeno una volta si sono ribellati alle ingiustizie, quelli che hanno insegnato ai figli a non vergognarsi per il sudore dei padri.”

Vincenzo De Luca (1949) politico italiano

Origine: Dal discorso elettorale di piazza del Plebiscito, 20 marzo 2010; citato in Politica di piazza, numeri da circo http://www.napolitoday.it/blog/politica/Politica-di-piazza-grandi-numeri-e-insulti-bipartisan.html, NapoliToday.it, 22 marzo 2010.

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“Questo c'è di buono", notò, "che non si soffre a lungo quando la testa viene troncata."
"Così dicono tutti, e perciò hanno inventato quella così detta ghigliottina. A me invece balenò allora il sospetto: e se invece è quello il colmo della sofferenza? Questo vi parrà strano, vi farà ridere… eppure… Prendiamo, per esempio, la tortura: strazio, piaghe, scricchiolio di ossa, dolore materiale insomma, che distrae la vittima dalle sofferenze morali, fino a che non venga la morte. Ma il dolore principale, il più forte, non è già quello delle ferite; è invece la certezza, che fra un'ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi ora, subito, l'anima si staccherà dal corpo, e che tu, uomo, cesserai irrevocabilmente di essere un uomo. Questa certezza è spaventosa. Tu metti la testa sotto la mannaia, senti strisciare il ferro, e quel quarto di secondo è più atroce di qualunque agonia. Questa non è una mia fantasia: moltissimi ci sono che pensano come me. E ve ne dico anche un'altra. Uccidere chi ha ucciso è, secondo me, un castigo non proporzionato al delitto. L'assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante. La vittima del brigante è assalita di notte, in un bosco, con questa o quell'arma; e sempre spera, fino all'ultimo, di potersi salvare. Si sono dati casi, in cui l'assalito, anche con la gola tagliata, è riuscito a fuggire, ovvero, supplicando, ha ottenuto grazia dai suoi assalitori. Ma con la legalità, quest'ultima speranza, che attenua lo spavento della morte, ve la tolgono con una certezza matematica, spietata. Attaccate un soldato alla bocca di un cannone, e accostatevi con la miccia: chi sa! Penserà il disgraziato, tutto è possibile… Ma leggetegli la sentenza di morte, e lo vedrete piangere o impazzire. Chi ha mai detto che la natura umana può sopportare un tal colpo senza perdere la ragione? A che dunque questa pena mostruosa e inutile? Un solo uomo potrebbe chiarire il punto; un uomo cui abbiamo letto la sentenza di morte, e poi detto:"Va', ti è fatta la grazia!". Di un tal strazio anche Cristo ha parlato… No, no, è inumana la pena, è selvaggia e non può né deve essere lecito applicarla all'uomo".”

Fëdor Dostoevskij (1821–1881) scrittore e filosofo russo

Myskin; II, 2

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“All'inizio è stato complicato accettarlo, anche perché in questi anni ho vissuto sì sofferenze ma anche tante gioie, ma quel momento di dubbio l'ho superato. Potrei giocare qualche esibizione, ma il professionismo è una pagina chiusa.”

Gastón Gaudio (1978) tennista argentino

Origine: Citato in Davide Uccella, Il ritiro, in punta di piedi, di Gaston Gaudio http://www.ubitennis.com/sport/tennis/2011/09/01/573036-ritiro_punta_piedi_gaston_gaudio.shtml, Ubitennis.com, 1 settembre 2011

“[A proposito del terremoto di Sendai del 2011] Mons. Orazio Mazzella, (1860-1939) arcivescovo di Rossano Calabro, all'indomani della tragedia fece una serie di riflessioni che vi riassumo (La provvidenza di Dio, l'efficacia della preghiera, la carità cattolica ed il terremoto del 28 di Dicembre 1908: cenni apologetici, Desclée e C., Roma 1909).
In primo luogo le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio, che ci scuote e ci richiama col pensiero ai nostri grandi destini, al fine ultimo della nostra vita, che è immortale.
Infatti se la terra non avesse pericoli, dolori, catastrofi, eserciterebbe sopra di noi un fascino irresistibile, non ci accorgeremmo che essa è un luogo d'esilio, e dimenticheremmo troppo facilmente, che noi siamo cittadini del cielo. […]
In secondo luogo, osserva l'arcivescovo di Rossano Calabro, le catastrofi sono talora esigenza della Giustizia di Dio, della quale sono giusti castighi.
Alla colpa del peccato originale si aggiungono infatti, nella nostra vita, le nostre colpe personali; nessuno di noi è immune dal peccato e può dirsi innocente e le nostre colpe possono essere personali o collettive: possono essere le colpe di un singolo o quelle di un popolo: ma mentre Dio premia o castiga i singoli nell'eternità è sulla terra che premia o castiga le nazioni, perché le nazioni non hanno vita eterna, hanno un orizzonte terreno. […]
Terzo punto infine: le grandi catastrofi sono spesso una benevola manifestazione della misericordia di Dio.
Abbiamo detto infatti che nessuno, mettendosi la mano sulla coscienza, potrebbe dare a se stesso un certificato d'innocenza. Un giorno, quando il velo, che copre l'opera della Provvidenza, sarà sollevato, ed alla luce di Dio vedremo ciò che Egli avrà operato ne' popoli e nelle anime, ci accorgeremo che per molte di quelle vittime, che compiangiamo oggi, il terremoto è stato un battesimo di sofferenza che ha purificato la loro anima da tutte le macchie, anche le più lievi, e grazie a questa morte tragica la loro anima è volata al cielo prima del tempo perché Dio ha voluto risparmiarle un triste avvenire. […]
Le grandi catastrofi sono certamente un male, però non sono un male assoluto, ma un male relativo, dal quale sorgono beni di ordine superiore e più universali. La luce della fede ci insegna che le grandi catastrofi, o sono un richiamo paterno della bontà di Dio, o sono esigenze della divina giustizia, che infligge un castigo meritato, o sono un tratto della divina misericordia, che purifica le vittime aprendo loro le porte del Cielo. Perché il Cielo è il nostro destino eterno.”

Roberto de Mattei (1948) storico italiano

da Riflessioni sul mistero del male – Intervento del prof. Roberto de Mattei a Radio Maria del 16 marzo 2011; citato in Corrispondenza Romana http://www.corrispondenzaromana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1560:intervento-del-prof-roberto-de-mattei-a-radio-maria-del-16-marzo-2011&catid=138:varie&Itemid=55=, 25 marzo 2011