Frasi su urlo

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema urlo, due-giorni, essere, dolore.

Frasi su urlo

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“Prima di sprofondare nel grande sonno voglio ascoltare l'urlo della farfalla.”

Jim Morrison (1943–1971) cantautore e poeta statunitense

Canzoni

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“Urlo, mamma e papà perché non posso essere chi voglio essere?”

Lady Gaga (1986) cantautrice e attivista statunitense

da Hair n.º 6

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“Nell'istante più importante, | sulla soglia della vita, | ogni spirito è diviso | e si deve ritrovare. | E quell'urlo in cui si è nati | è già il nome da cercare | per poi essere completi | ed insieme camminare.”

Angelo Branduardi (1950) cantautore, violinista e chitarrista italiano

da C'è una sala in Paradiso, n. 9
Domenica e lunedì
Origine: Testo di Eugenio Finardi e Angelo Branduardi.

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“Solo perché abbiamo sentito un urlo da far ghiacciare il sangue, tremare la spina dorsale e congelare il midollo nelle ossa non significa automaticamente che ci sia qualcosa che non va.”

Terry Pratchett (1948–2015) scrittore e glottoteta britannico

Serie del Mondo Disco, 15. All'anima della musica (1994)

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“Sorpasso pauroso come l'urlo di Munch!”

Guido Meda (1966) giornalista e conduttore televisivo italiano

Sorpasso di Rossi su Hayden a Indianapolis 2008
Tratte da alcune gare

“Quando morì Papa Pacelli, nel fatale 9 ottobre del 1958, lo stesso mese e anno in cui la legge Merlin chiuse i bordelli, l'archiatra pontificio Riccardo Galeazzi Lisi, novello Griso, tradì il suo padrone fotografandolo in punto di morte e consegnando l'odioso bottino ai giornali. Fu la prima pubblica dissacrazione della più sessuale intimità: l'agonia e morte di un semidio. Ebbe così inizio l'inesorabile decadenza dell'eros in occidente. I figli dei fiori e il libero amore, le comunità promiscue e fumate, il culto della perversione, la tivù scollacciata e la moda burina, hanno propiziato la catastrofe. Che per eccitarsi, con risultati deprimenti, si faccia ricorso alle cassette porno, alla pedofilia e a tutto il resto, la dice lunga ma anche brevissima, dice frigidità. Sesso in pillole, pillole del giorno dopo che dovrebbero cancellare ogni conseguenza dell'amore e invece cancellano solo l'amore e il bambino generando odio e mostri; droghe che sforzandosi di potenziare l'eros in realtà lo anestetizzano, sicché l'urlo interiore: "chi sta scopando al mio posto!?". La parola d'ordine è "non pensare!", ma senza pensiero la sessualità langue. È il pensiero di compiere qualcosa di peccaminoso, di audace, d'irreparabile, di unico ed eterno, che conferisce all'atto sessuale una gloria incancellabile nonostante tutti gli accorgimenti. Il peccato provoca, interroga, costringe a pensare, fa sudare, stringe in una morsa dolorosa; scrollarsi di dosso il peccato, per molti l'unico appiglio al simbolico, comporta svaporare nell'immaginario più sfrangiato.”

Umberto Silva (1943) psicoanalista e scrittore italiano
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“L'urlo dell'odio (1997) – sceneggiatore”

David Mamet (1947) drammaturgo, sceneggiatore e regista statunitense

Film

Questa traduzione è in attesa di revisione. È corretto?
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“Entriamo nella Basilica, e ci troviamo in mezzo a una folla di donne e di bambini, davanti ad un altare che è tutto un racconto fiabesco di ori e di luci, mentre un organo suona. Dopo un mese di vita in ambienti dove ogni cosa trasuda sporcizia e disperazione, dove ogni parola è un urlo, ogni comando è una minaccia, trovarsi d'improvviso in quell'aria serena, in mezzo a quel barbaglio d'oro, a quella calda onda di musica!…
Mi arresto perplesso sull'entrata, poi riprendo ad avanzare, e mi sembra d'essermi sfilato dal mio corpo coperto di stracci e d'averlo lasciato lì sulla porta, tanto mi sento leggero.
La targa d'oro della nicchia sopra l'altare si alza lentamente, e appare l'immagine miracolosa che – così nera in mezzo a quello scintillìo – è ancora più misteriosa e ancora più affascinante.
Si leva un canto dalla folla, e pare la voce stessa della Polonia: un dolore dignitoso di gente usa da secoli ad essere schiacciata e a risorgere. Di gente che viene uccisa sempre e che non muore mai.
Quando la targa d'oro si riabbassa, suona una fanfara che ha note piene di passione disperata e turba profondamente. "La fanfara ha stonato parecchio, oggi, perché mancavano i migliori elementi", spiega la guida.
Ed è così, ed erano soltanto stonature quelle note piene di passione disperata. D'accordo. Ma chi ci crede?
Ogni cosa in Polonia, ogni gesto, ogni accento, parla della passione polacca.”

Giovannino Guareschi (1908–1968) scrittore italiano

Origine: Diario clandestino, p. 17

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“E l'urlo di sempre che dice pian piano: "Non siamo, non siamo, non siamo."”

Francesco Guccini (1940) cantautore italiano

da Quello che non...
Quello che non...

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“Una volta stavamo tornando da Mosca, e lungo la via ci dettero un passaggio dei carrettieri, che venivano da Serpuchòv ed erano diretti a un bosco, da un mercante, per caricare del legname. Era il giovedì santo. Io m'ero seduto sulla telega davanti, accanto al carrettiere, un mužìk forte, rosso, grossolano, che ad ogni evidenza era anche un gran bevitore. Passando per un villaggio, vedemmo che dall'ultima casa stavano trascinando fuori un maiale, ben ingrassato, nudo, roseo, per ucciderlo. Urlava con una voce disperata, simile a un grido umano. E proprio mentre stavamo passando noi, si misero a sgozzarlo. Uno degli uomini gli fece un lungo taglio sulla gola, con un coltello. Il maiale mandò un urlo ancora più forte e penetrante, si divincolò e corse via, inondandosi di sangue. Io sono miope e non vidi tutto nei dettagli, vidi soltanto il corpo del maiale, un corpo roseo come un corpo umano, e udii quello strillo disperato; ma il carrettiere vide tutti i dettagli, e continuava a guardare senza mai distogliere gli occhi. Acchiapparono il maiale, lo rovesciarono a terra e si misero a finirlo. Quando il suo strillo tacque, il carrettiere fece un sospiro profondo: «Possibile che un giorno non dovranno rispondere di questo?» borbottò.
A tal punto è forte negli uomini la ripugnanza per ogni uccisione, ma con l'esempio, con lo stimolo dell'umana avidità, con il ripetere che Dio ha permesso queste cose, e soprattutto con l'abitudine, si spinge la gente fino al punto di perdere del tutto questo loro naturale sentimento.”

Lev Nikolajevič Tolstoj (1828–1910) scrittore, drammaturgo, filosofo, pedagogista, esegeta ed attivista sociale russo
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“Vent'anni fa, Leopold Mapple era il giovane scienziato più brillante del nostro corso per studenti superdotati all'Istituto di Scienze di Londra. Era un ragazzone di cento chili, roseo e ben vestito. Lo si sarebbe potuto prendere per un ricco rampollo nullafacente: invece era lo scienziato più importante nella ricerca sulla fisica subatomica. Ma era anche il più inveterato gaudente, mangione, bevitore, tabagista, donnaiolo e cultore di ogni altra cosa dai più chiamata vizio. Spesso veniva richiamato dal nostro rettore, gran lucertolone calvinista, ad un atteggiamento più morale, ma Apple gli rispondeva sempre: "Sono uno scienziato e ho studiato con attenzione il mondo: e dico mai, nelle mie osservazioni, né col microscopio, né con con la camera a bolle, né con le analisi chimiche, né coi raggi X ho mai visto apparirmi una cosa chiamata 'morale'. Era infatti Leopold Mapple, l'uomo più radicalmente ateo, più rigidamente materialista, più lontano da qualsiasi sbavatura filosofica o mistica, che io avessi conosciuto. Per lui tutto era materia, numero, osservazione, confronto, realtà: su tutto il resto egli spargeva abbondantemente la sua risata fragorosa, ben conosciuta in tutte le birrerie londinesi. "C'è un solo mezzo", egli ripeteva spesso, "per elevarsi da questa terra: ed è possedere una velocità superiore a 11,45 chilometri al secondo: tutto il resto è carburante per la superstizione e l'ignoranza." E a questo suo monolitico approccio all'esistenza, egli si manteneva coerente. Radunava un gruppo di amici, io, il dottor Hyde, e Bohr, e Fermi e Jacobson e ci trascinava nella Londra notturna. Mangiava e beveva smodatamente: "Nulla teoria, sine hosteria,"diceva e aggiungeva: "Certo non ci si ciba in fondo che di molecole, ma tra un piatto di idrogeno e un pasticcio di maiale, c'è una bella differenza." E a chi gli diceva che diventa sempre più grasso, rispondeva: "Nell'Universo, le cose grosse sono più rare delle piccole: pochi elefanti, molte zanzare, pochi grandi stelle, tanti pianetini." Insomma, un tipo piuttosto bizzarro, l'avrete capito: ma l'eccezionale bravura scientifica e l'allegria contagiosa, lo rendevano simpatico a tutti. Piaceva anche alle donne, anche se lui ripeteva spesso:"Considero ogni parola detta a letto, oltre le sei, come una conferenza, e come tale mi riservo di abbandonarla." Questo suo carattere gli causava anche qualche guaio, come una volta, quando vide alcuni bambini fermi davanti a un presepe sotto Natale. Subito volle spiegare loro: uno, che Gesù Bambino non poteva essere nato seminudo nella capanna perché sarebbe morto assiderato entro pochi minuti, due, che la Madonna non poteva averlo partorito restando vergine perché la fecondazione artificiale è stata inventata quasi duemila anni dopo, e tre, che se veramente sulla capanna fosse arrivata una cometa avrebbe ridotto tutta la Palestina a una voragine fumante. Inoltre i pastori che arrivavano con le pecore probabilmente non erano venuti per regalarle, ma per venderle come è loro abitudine, e che i tre re magi erano la più grande delle fandonie perché mai nella storia un re si è fatto una cammellata nella notte per andare a portare dei doni a un bambino nudo, magari a una bambina di sedici anni sì, ma a un neonato mai nei secoli dei secoli amen e dopo, siccome i bambini erano piuttosto choccati, li portò tutti in una pasticceria e offrì loro una montagna di kraffen dicendo: prendete e mangiate, eccovi dio infinitamente buono nella sua santa trinità di crema, marmellata di arance e cioccolato. Fu denunciato dai genitori, e si guadagnò una nota di biasimo dal rettore, che però non lo espulse perché proprio in quei mesi Mapple stava ultimando un esperimento straordinario: era riuscito a costruire una camera a bolle speciale dove era sicuro di scoprire la terza forza elementare, la forza che, diceva, sta all'origine di tutte, e non è né onda né particella, qualcosa di completamente diverso, e definitivo. "Farò l'ultimo strip-tease alla cosiddetta materia," ci disse, troneggiando tra macerie di lattine di birre, a una festa organizzata la sera prima dell'esperimento. "E quello che resterà alla fine, sarà il principio: altroché Buddha e Javeh e Visnù e altri figuri metà uomo e metà cane e splendenti e resuscitanti e volanti e sibilanti su e giù per il cielo. Basta con il traffico aereo degli impostori! Quello che troveremo al termine del mio esperimento, sarà Dio a tutti gli effetti di legge: ciò da cui tutto è composto, e creato, e causato: una particella, un'onda, una relazione. Non lancerà fulmini, nel suo nome nessun profeta sarà costretto a massacri, non avrà bisogno di travestirsi da toro di legno per scopare: sarà una formula, tutto lì. Gioiosa, semplice, tangibile, consistente, divulgabile nelle scuole, utilizzabile in industria. Ragazzi quel giorno andrò dal rettore e gli dirò: 'faccia mettere questa formula nel presepe al posto di Gesù Bambino. E vedrà se giuseppi e marie e pastori e pecorelle e reganti cammellari e angeli trombettieri non ci faranno la figura dei fessi!" Noi scoppiammo a ridere, qualcuno era un po' scandalizzato, ma Mapple ci travolse, beveva e cantava e petava come un cavallo gridando: "In interiore hominis vox veritatis!" e passammo in rassegna tutte le bettolacce di Sub-Chelsea e per contare i tappi di birra fatti saltare Bohr disse che ci sarebbe voluta un'equazione complessa, e tornammo a casa ubriachi fradici. Il giorno dopo, fragoroso come sempre, Mapple arrivò all'Istituto per l'esperimento. "Bene," disse "ora prendiamo un bell'atomo grassotto e prendiamolo a cazzotti finché non gli cascano giù tutti gli elettrodentoni." Era questo un suo modo colorito di definire gli esperimenti subatomici. Un giovane tecnico si calò nella grande camera a bolle, dentro la quale sarebbe avvenuto il bombardamento, fino all'ultima particella. Quella mattina Mapple era particolarmente euforico, e ben farcito di birra. Non si accorse che il tecnico si era sdraiato a terra per controllare la temperatura del suolo. Così lo chiuse senza accorgersene dentro la camera e iniziò il bombardamento. L'esperimento durò otto giorni: per quel tempo, il reparto restò chiuso a tutti. Il nono giorno ecco arrivare Mapple in smoking, reduce dalla solita notte di baldoria. C'eravamo tutti con lui, mentre si avviava alla camera nucleare: "Ragazzi", egli gridava, facendo roteare il bastone d'avorio, "le nuvole di duemila anni di incensi religiosi stanno finalmente per dissolversi. Migliaia di preti invaderanno gli uffici di disoccupazione in tutto il mondo. Nessun bambino verrà mai più atterrito da purgatori e inferni! Le marmellate in cima agli armadi verranno sterminate, senza paura di ritorsioni. Nelle chiese risuonerà, liberatorio, il tintinnio dei brindisi. Suore nude si concederanno a rabbini infoiati, ex voto, ex stole, ex messali, tiare, sottanoni e paramenti e ultime cene tutto brucerà, nello stesso fuoco in cui la chiesa ha bruciato i libri, gli eretici, i villaggi degli infedeli. L'ultima crociata è giunta! L'umanità è salva! Cristo è disceso in terra, anzi è sempre stato lì, e io ve lo mostrerò! La causa causarum, la sacra particula, il colui da cui, il primo motore, l'ordo initialis, l'uovo cosmico, il fabbro celeste, il danzatore eterno, l'occhio del Buddha, il kkien, il waugwa, il primo bit, il supremo artefice! Presto a voi in tutto il suo scientifico splendore! Seguitemi!" E noi lo seguimmo, eccitati, fin davanti la porta sigillata della camera dell'esperimento, e trattenemmo il fiato insieme a lui, quando lui aprì la porta e vide… vide… Vide il tecnico, con la barba lunga, i capelli incolti, con il viso scavato da otto giorni di digiuno, e il camice bianco strappato, che alzava al cielo le mani bruciate dalle ustioni radioattive e gridava: "Sono qui! Sono io, Mapple, finalmente mi hai trovato!" Descrivere il viso di Mapple in quel momento, non mi è possibile: diventò bianco come un marmo, gli occhi sembrarono uscirgli dalle orbite, ed egli lanciò un urlo, un urlo che fece tremare i vetri dell'Istituto, e i nostri cuori. "Nooooooooooooooooo!" Fuggì, travolgendo tutti. Nessuno di noi riuscì a raggiungerlo per spiegargli cos'era veramente successo. Sparì nel nulla e riapparve solo dopo molti giorni, la barba lunga, gli occhi rossi: capimmo subito che era uscito di senno. "Mapple," cercammo di spiegargli "quello che hai visto era solo il tecnico dell'Istituto, rimasto chiuso nella tua camera atomica per otto giorni!" "No amici," egli disse con voce ispirata, "era Dio! In fondo a ogni atomo c'è Dio." Due mesi dopo partì, con questa strana astronave, nello spazio. Da quel giorno egli vola per le galassie, portando la Religione ovunque, nelle stazioni spaziali, nei pianeti, nelle astronavi: non c'è culto o rito o confessione che egli non conosca e commerci. Cosi sia.”

Stefano Benni (1947) scrittore, giornalista e sceneggiatore italiano
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“Io racconto storie, non urlo e faccio buoni ascolti. Poi ognuno è libero di pensare quello che vuole.”

Barbara d'Urso (1957) conduttrice televisiva e attrice italiana

Confidenze, 7 dicembre 2010
Citazioni di Barbara d'Urso

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“[…] Sul'avvinto amore
passan le voci degli stolti, il fiero
urlo dei nembi e il mal della fortuna […]”

Guglielmo Felice Damiani (1875–1904) poeta e pittore italiano

Origine: La casa paterna, p. 61

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“Il tizzo acceso fin che arde fuma; | simile, o mesto amico, al nostro cuore | che in pianto si consuma | fin che arde l'amore. || Lascia dunque che s'alzi e che s'esali | questa nube di duol cotanto intenso; | essa abbraccia i tuoi mali | come grani d'incenso. || Sii in te stesso al par d'un vaso sacro | d'olocausto, di fede e di speranza; | vedi, il fumo pare acro, | ma il turibolo danza. || Non ispegner per tema o per ristoro | quell'incendio divin che ti fa egro, | non far che il carbon d'oro | si muti in carbon negro. || Anzi affronta gli spasmi ed il martiro, | cerca nell'ansia del tormento occulto | dopo il duol del sospiro | l'estasi del singulto; || troverai qualche vero. È la tempesta | esultazione a chi non sa temerla, | e sulla duna resta | dopo l'onda la perla. || Piangi, medita e vivi; un dì lontano | quando sarai del tuo futuro in vetta | questo fiero uragano | ti parrà nuvoletta. || *** || Oggi volli per te cantar la vita, | ma la dolce canzon sul metro mio | torna fioca e smarrita | per troppo lungo oblio. || Torva è la Musa. Per l'Italia nostra | corre levando impetuösi gridi | una pallida giostra | di poeti suicidi. || Alzan le pugna e mostrano a trofèo | dell'Arte loro un verme ed un aborto | e giuocano al palèo | colle teste di morto. || Io pur fra i primi di cotesta razza | urlo il canto anatemico e macabro, | poi, con rivolta pazza, | atteggio a fischi il. || Praga cerca nel buio una bestemmia | sublime e strana! e intanto muor sui rami | la sua ricca vendemmia | di sogni e di ricami. || Dio ci aiuti, o Giovanni, egli ci diede | stretto orizzonte e sconfinate l'ali; | ci diè povera fede | ed immensi ideali. || E il mondo ancor più sterile, o fratello, | ci fa quel vol di pöesia stupendo, | e non trovando il Bello | ci abbranchiamo all'Orrendo. || Dio ci aiuti! Su te sparga l'ulivo, | sparga la pace e le benedizioni, | sii sulla terra un vivo | felice in mezzo i buoni. || A me calma più piena e più profonda; | quella che splende nell'orbita d'una | pupilla moribonda, | mite alba di luna.”

Arrigo Boito (1842–1918) librettista italiano

A Giovanni Camerana., pp. 796-798
Origine: Citato in G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti e G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo , [Letteratura italiana con pagine di scrittori stranieri, Analisi dei testi e critica, vol III, tomo secondo, Dal Decadentismo ai giorni nostri, Storia del teatro e dello spettacolo a cura di Gigi Livio], Paravia, Torino, 1993. ISBN 88 395 0453 2

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“Anima, troppo vento oggi soffia per uscire. | In casa resteremo con le finestre serrate | ascoltando attenti il vento nelle gole muggire. | Non esser triste. Pensa che manca poco all'estate. || E allora tutto il giorno avremo calma e sole, | e sempre potremo uscire; e andremo a veder bruciare, | appena che il sole raggiorni, sui monti le carbonare, | e a mezzogiorno, tornando, faremo, pei boschi, giaggioli. || Tu sai che nostra madre molto ama i fiori del desco. | Vedrai che felicità! Anima, non ti pervade | la pace di quei tramonti, che per godere il fresco | s'esce a coglier bluastri sugli orli delle strade? || Pensa qual gioia, d'agosto, in certi crepuscoli rossi, | sentirsi l'ombra salire su su, fino ai ginocchi! | E in quelle notti tranquille e nitide come i tuoi occhi, | Anima, non ti ricordi come brillava di casti || inviti lontani la Terra, nei fuochi delle sue stoppie? | Ora non essere triste. Osserva attraverso i vetri | delle piccole finestre della casa di campagna | il vento che pèttina gli alberi con le sue mille dita. || Guarda! Nell'orto l'erbe più esili, in mezzo al tormento, | vibrano in un palpitìo simile a quello dei campi | nei mezzogiorni d'estate. Anima, andiamo nel vento! | Pensa che i miei capelli, anch'essi così vibreranno. || Vieni via; non temere! non questo è l'urlo dei lupi. | A capo scoperto andremo, lì presso: tra quelle rupi. | E all'Ave Maria, tornando, io ti darò conforto. | Ma oggi non voglio che canti. Se mai, con la vanga, l'orto.”

Arturo Onofri (1885–1928) poeta e scrittore italiano

da Canti delle oasi, I
Origine: Citato in Alberto Asor Rosa e Alberto Abbruzzese, Cultura e società del Novecento, Antologia della letteratura italiana, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1981<sup>1</sup>, pp. 430 431.

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“Butta quei popcorn in aria e lancia un urlo!”

John Carpenter (1948) regista statunitense

Throw that popcorn in the air and let rip a scream!

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“Camminavo lungo la strada con due amici, quando il sole tramontò. Il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai. Mi appoggiai, stanco morto a un recinto. Sul fiordo nero azzurro e sulla città, c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo, infinito, pervadeva la Natura.”

Edvard Munch (1863–1944) pittore norvegese

Origine: Dal Diario personale in Frammenti sull'arte, Abscondita, 2007, p. 48; citato in Francesco Eugenio Negro, L'uomo come opera d'arte: etica ed estetica in medicina, FrancoAngeli, 2012, p. 67 https://books.google.it/books?id=1FOUeUQoW8kC&pg=PA67. ISBN 8856844850

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“Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro.”

Indro Montanelli (1909–2001) giornalista italiano

Indro al Giro
Variante: Ma sapete voi con precisione che cosa sia una fuga, lo sapete? Non lo sapevo nemmeno io prima di vederla. Credevo che fosse l'uomo che, a un certo punto, si mette a pedalare più forte degli altri e li semina per via. Errattissima nozione. La fuga è invece un grande urlo e un gesto disperato che mettono d'improvviso in confusione tutta la carovana del Giro.

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