Frasi su volgo

Una raccolta di frasi e citazioni sul tema volgo, essere, natura, due-giorni.

Frasi su volgo

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“*E allor t'amai, non come il volgo suole | l'amica, ma qual padre ama la prole. | Or ti conobbi, o Lesbia; e se ancor ardo, | pur son meno di te lieve e codardo. | Come mai? Chiedi. Ahi, se la stima muore, | le stesse infedeltà crescon l'amore!”
Dilexit tum te non tantum ut uulgus amicam, | sed pater ut gnatos diligit et generos. | Nunc te cognoui: quare etsi impensius uror, | multo mi tamen es uilior et leuior. | Qui potis est? inquis. Quod amantem iniuria talis | cogit amare magis, sed bene velle minus.

Gaio Valerio Catullo (-84–-54 a.C.) poeta romano

LXXII; vv. 3-8
Carmi
Variante: E allor t'amai, non come il volgo suole | l'amica, ma qual padre ama la prole. | Or ti conobbi, o Lesbia; e se ancor ardo, | pur son meno di te lieve e codardo. | Come mai? Chiedi. Ahi, se la stima muore, | le stesse infedeltà crescon l'amore!

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“Il mondo, direbbe il volgo, è sempre mezzo da comperare e mezzo da vendere.”

Luigi Guanella (1842–1915) presbitero italiano

Massime di spirito e metodo d'azione

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“Virtude io servo fede | Più che il volgo non si crede.”

Vincenzo Monti (1754–1828) poeta italiano

Origine: Il cespuglio delle quattro rose, p. 70

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“L'infuriare d'una rivoluzione — come tutto ciò che è critico; e nessuno, in un senso o in un altro, vorrà negare che lo stato della lingua italiana d'oggi sia tale — richiede ben altro che la sovrana flemma del teorico. Si voglia imbrigliarla o guidarla, non si avrà da lui più di questo: una volta arrivati a chiudere quel certo particolare problema nel complesso quadro dei suggerimenti attinti da trattati e codici, e trovato quindi, finalmente, come affrontarlo, gli sviluppi avranno cambiato faccia all'intera situazione, così da obbligare a un nuovo studio daccapo, su un nuovo problema particolare. Non rimarrà dunque, come risultato, che assistere passivamente. Ed è ciò che appunto fanno il Migliorini e chi ne segue i princìpi […]. […] Non la glottotecnica, ma il videotecnico (si veda a suo luogo), ha potere sull'italiano dei nostri giorni; cioè il popolo, secondo un ordine o disordine molto più naturale; cioè tutti, nel senso proprio che quest'aggettivo non ha mai avuto quanto oggi: senza distinzione di soggetti, com'è ormai senza distinzione di generi la lingua stessa, l'oggetto. Tutti, dunque, con mano libera sulla lingua di tutti (che non è più né comune né tecnica né letteraria e via dicendo).
Volgo disperso, anche se in begli abiti, quei tutti mancano d'una vera guida; perché manca, come abbiamo visto, l'altro elemento naturale nella fucina della lingua nuova: il poietès, l'artigiano studioso e colto… Se n'è andato, se ne va continuamente ("evadendo"); va e viene secondo il comodo o secondo, diremo meglio, il costume dei tempi. Eppure, c'è chi ancora, contro il sovvertimento d'ogni idea, guarda a lui, alla sua ideale e naturale torretta, aspettando di lì, e non da quella del linguista, i lumi. Giacché una lingua non può far a meno di saldi e disciplinati e meditati esemplari scritti: modelli vivi, che ricompongano, nella città dei parlanti e scriventi, l'armonia fra popolo e maestri.
Maestro di lingua, in ogni tempo, è sempre stato prima di tutti lo scrittore. E gli stessi maestri con titolo, insegnanti d'ogni grado di scuola, l'hanno imparata da. lui, più che dalle università. Da lui sono stati educati; da lui, nella sciatteria e nella "facilità", diseducati.”

Franco Fochi (1921–2007) linguista e saggista italiano

Filologi e scrittori, p. 349
Lingua in rivoluzione

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“Disprezzo il volgo dei profani, e lo scaccio. Tacete.”

Quinto Orazio Flacco (-65–-8 a.C.) poeta romano

III, I, 1-2

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“Ora la mia disposizione è questa: benché io ammiri molto il Cristianesimo, nondimeno non riesco a formare nel mio animo la persuasione del Cristianesimo ortodosso. Devo dirvi con tutta umiltà che l'induismo, come lo conosco, soddisfa interamente l'anima mia, riempie tutto il mio essere, ed io trovo nella Bhagavad Gita e nelle Upanishadi una consolazione che non riesco a sentire nemmeno nel Sermone del Monte. Non perché io non apprezzi l'ideale e gli insegnamenti di quel Sermone, ma perché, quando io mi sento nel dubbio e nella delusione e non vedo nessun raggio di luce all'orizzonte, io mi volgo alla Bhagavad Gita, e vi trovo un versetto che mi conforta, e subito comincio a sorridere in mezzo all'opprimente tristezza. La mia vita è stata piena di tragedie esteriori, e se esse non hanno lasciato nessun effetto visibile ed indelebile in me, lo devo agli insegnamenti della Bhagavad Gita.”

Mahátma Gándhí (1869–1948) politico e filosofo indiano

da una conferenza del 28 luglio 1925, pubblicata in Young India, 6 agosto 1925
Origine: Citato in La religiosità di Gandhi, Civiltà Cattolica, Quaderno n. 1960, anno 1932, vol. I, pp. 335-350 http://www.traditio.it/SANPIETRO/2011/agosto/22/Gandhi%20%20il%20suo%20anticattolicesimo%20e%20indifferentismo%20religioso.%20La%20Civilt_.pdf. Nel testo originale http://www.hinduwisdom.info/quotes1_20.htm "induismo" è scritto con l'iniziale maisucola.

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“Il volgo s'annoia a pensare, e volentieri s'acconcia alle idee altrui; così pochi scaltri fanno lopinione che si dice pubblica, e partorisce ruine.”

Giacinto de' Sivo (1814–1867) scrittore e storico italiano

da Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Vol. 1 p. 20

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“Fate che anche un uomo del volgo vegga un malato pallido, debole, tossicotoso, emaciato, egli vi dirà costui essere un tisico. Allorché taluni vi sono, che sebbene non abbiano i polmoni ulcerati, tuttavia sono consunti da diuturne febbri, hanno la tosse, ma secca, dura e senza sputi, anche questi propriamente sono chiamati tisici. Hanno anche questi una oppressione di petto, una infermità di polmone, l'angoscia, l'intolleranza, la nausea, i brividi vespertini e calori mattutini, un molesto sudore vaporoso sino al petto, emettono nella espettorazione materie di diversa qualità, come di sopra notammo: hanno la voce rauca, il collo alquanto ritorto e gracile, non pieghevole ma come irrigidito: le dita sottili, e grosse le loro articolazioni, talché sembra che le sole ossa ne siano rimaste. Diresti che tabidi ne sono i muscoli: le unghie si rendono adunche, il polpaccio di esse si fa rugoso e spianato, imperocchè per il dimagrimento perdono le parti molli circolari, e la loro rotondità. Tutta la l'orza è circoscritta alle loro estremità e nelle loro unghia uncinate, colle quali soltanto come membra solide sostengono alcune fatiche. Similmente le narici diventano acuminate e gracili: le guance prominenti e rossastre: gli occhi incavati lucidi splendenti: tumefatta emaciata, pallida o livida è la faccia: le labbra assottigliate stringonsi sui denti, sicché somigliano a chi ride: in tutto finalmente ti rappresentano un cadavere.”

Areteo di Cappadocia medico greco antico

Origine: Delle cause, dei segni e della cura delle malattie acute e croniche, pp. 34-35

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“Una scorpacciata di generici plausi non soddisfa il saggio. Vi sono alcuni talmente avidi di popolarità, da riporre ogni diletto non già nelle soavissime brezze di Apollo, ma nell'alito del volgo.”

Baltasar Gracián (1601–1658) gesuita, scrittore e filosofo spagnolo

da Non esser volgare in nulla, p. 45
Oracolo manuale e arte di prudenza

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